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Vino & comunicazione, la cluster identity nei territori: nello studio “From firm’s brand identity to cluster’s brand identity. A web-based analysis of Tuscan wineries”, le parole che raccontano Chianti, Chianti Classico e Brunello

Quando si parla di marketing e promozione, il rischio di perdersi negli inglesismi è quantomai reale. Eppure, dietro ad espressioni come brand identity o brand equity si celano concetti fondamentali anche per la comunicazione del vino, fatta, come per ogni altro prodotto, di regole ben precise. E sempre più legata, come emerge dallo studio “From firm’s brand identity to cluster’s brand identity. A web-based analysis of Tuscan wineries”, firmato dai ricercatori dell’Università di Siena Matteo Devigili e Tommaso Pucci, guidati dal professore Economia e Gestione Aziendale Lorenzo Zanni, alla Cluster Identity, all’identità territoriale, intesa come singola denominazione, alla cui definizione, volenti o nolenti, concorrono tutte le aziende di un determinato territorio. Lo dimostra la letteratura (per la verità non moltissima) dedicata alla brand equity, ossia al patrimonio di marca, delle aziende del vino, spesso analizzate in relazione all’indicazione geografica, al packaging, al turismo del vino, ignorando un aspetto ormai importante: la presenza online, e la narrazione, scelta dalle centine, per raccontarsi sul web. Proprio su questo si concentra la ricerca, che ha preso in considerazione i siti internet di 452 aziende delle tre denominazioni più importanti di Toscana: Chianti, Chianti Classico e Brunello di Montalcino, per dimostrare la differenza dei punti di forza di ognuna di esse, e sottolineare così l’importanza delle differenziazione nella costruzione della propria identità.

Ma come si struttura la brand identity di un’azienda di vino? I ricercatori hanno individuato tre macro categorie: “product/process attributes”, ossia le caratteristiche del prodotto (colore, vitigno, varietà, stile, annata) e del suo processo produttivo (ambiente, sostenibilità); “locational attributes”, di cui fanno parte l’identificazione territoriale (denominazione, località, Regione, Paese) e le esperienze collaterali (wine & food, ospitalità, photo gallery, tenuta); “social attibutes”, divisa tra approvazione esterna (premi, stampa, social networks) e valori legati alla governance (famiglia, innovazione, tradizione, narrazione). Attraverso le maglie di queste categorie è stato “passato” il contenuto dei siti internet delle aziende prese in considerazione, di tre territori, come detto, molto diversi l’uno dall’altro, sia per volumi produttivi, che per storia recente che per valore di mercato. Alla fine, le parole più usate, quelle fondamentali nella creazione della brand identity, sono state 457, inserite nelle categorie sopraelencate.

Il risultato è che ci sono 4 parole dotate di un enorme potere discriminante tra le tre denominazioni: “regione”, “località”, “produzione” e “ospitalità”. Meno discriminanti, in termini di variabilità, ma comunque importanti nell’identificazione dei diversi territori, “denominazione”, “tradizione”, “ambiente e sostenibilità” e “wine & food”. Non discriminanti, perché utilizzate in maniera simile da tutti, categorie come “caratteristiche del vino”, “paese”, “photo gallery”, “tenuta”, “premi”, “stampa”, “social networks”, “famiglia”, “story telling” e “innovazione”. L’analisi, così, rivela che “Regione” è uno dei driver principali che differenziano il Chianti dalle altre due denominazioni, mentre “ospitalità” è un concetto ad appannaggio del Chianti Classico, mentre “produzione” e “località” sono le due categorie più ricorrenti nei siti web delle aziende del Brunello di Montalcino. Poi ci sono fattori meno discriminanti, perché condivisi da due territori: Chianti e Chianti Classico, ad esempio, sono accomunati nella loro identità, da concetti come “wine & food”, “tradizione”, e “ambiente e sostenibilità”, mentre “denominazione” appartiene sia al Chianti che al Brunello di Montalcino.

Da sottolineare, però, è che la maggioranza delle parole usate rientrano sotto la categoria “prodotto e processo”, che risulta così come l’aspetto più importante quando si parla di vino: la produzione, così, in termini di marketing, diventa il primo veicolo per comunicare la qualità, mentre tematiche in un certo senso più attuali, come “ambiente e sostenibilità”, mostrano una percentuale di utilizzo decisamente inferiore. Ma emerge anche l’importanza della “località”, segno che ci sono sottozone e luoghi talmente riconducibili alla qualità da prendere il sopravvento da indicazioni geografiche più generiche e regioni: se la Regione funziona come un “brand ombrello”, sotto cui possono ripararsi tutte le aziende, la distinzione diventa fondamentale, e passa per la “località”. Per quanto riguarda gli “attributi sociali”, c’è ancora un forte legame tra le aziende e la “famiglia”, che porta con sé il valore positivo della “tradizione”, decisamente più rilevante dell’“innovazione”. Così, come detto, come risultato di una strategia tutt’altro che condivisa tra i diversi attori (le aziende) delle singole Denominazioni, il Brunello di Montalcino ha legato la propria identità territoriale alle categorie della “produzione” e della “località”, il Chianti Classico ha nell’ospitalità la sua cifra distintiva, ed il Chianti punta forte sull’identificazione con la Regione di appartenenza, la Toscana.

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