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Italiani in viaggio? Uno su tre lo fa per la passione del cibo o del vino, proprio come gli stranieri. Toscana, Sicilia e Puglia le mete top, in cerca di cibo locale, mercati e food truck. Così il primo “Rapporto sul turismo enogastronomico italiano”

Italia
Università di Bergamo, Italiani in viaggio ... uno su tre lo fa per la passione del cibo o del vino, proprio come gli stranieri

Italiani in viaggio? Oggi, uno su tre lo fa per la passione del cibo o del vino. Secondo il 30%, l’enogastronomia non è un elemento “accessorio”, ma una componente che influenza (anzi, spesso determina) la scelta della meta. Lo ha certificato il primo “Rapporto sul turismo enogastronomico italiano, condotto dall’Università degli Studi di Bergamo assieme alla World Food Travel Association e presentato oggi a Milano nella sede del Touring Club Italiano. Il “succo” del Rapporto, al di là dei numeri, è chiaro: in Italia il turismo enogastronomico ha ancora ampio spazio di crescita, sia perché il trend è in aumento (nel 2016, come rilevato dal Food Travel Monitor 2016, il dato parlava di un italiano su 5 e ora siamo a uno su 3, tradotto in un 10% in più) sia perché c’è una domanda (o tante domande) che non trovano soddisfazione nell’offerta. Quindi, per gli operatori del settore che vogliono espandersi o per chi vuole entrare le possibilità ci sono, eccome.
Lo studio, curato da un’esperta del settore, Roberta Garibaldi, docente all’Università di Bergamo e, tra le varie cariche, membro del Board of Advisors della World Food Travel Association - con il patrocinio di Touring Club, Ismea Qualivita, Federculture e la collaborazione di Seminario Veronelli e The Fork- TripAdvisor - è stato condotto su un campione rappresentativo della popolazione italiana che ha fatto negli ultimi 12 mesi una vacanza che prevedesse almeno un pernottamento o un viaggio. Quindi, in pratica, si tratta di un’indagine su mille turisti italiani. Che si sono rivelati assomigliare sempre di più agli stranieri, in cerca di identità, territori ed “heritage”. “La ricerca - dice Roberta Garibaldi - mette a fuoco un trend in forte ascesa: risulta sempre più evidente che la gastronomia sta condizionando la scelta dei viaggi. Ora gli italiani si muovono anche per cercare esperienze legate al cibo e al vino. Un atteggiamento sempre più simile a quello di molti stranieri”.
Il 63% dei turisti italiani, quando sceglie la meta del viaggio, ritiene importante la presenza di un’offerta enogastronomica o di esperienze tematiche. Elementi imprescindibili sono la qualità e la sostenibilità non soltanto nell’agroalimentare, ma anche (42%) nella scelta delle strutture ricettive e degli eventi. Le esperienze food più popolari, dopo il mangiare piatti tipici in un ristorante locale (indicata dal 73% dei turisti), sono visitare un mercato con prodotti del territorio (70%) e comprare cibo da un food truck (59%). L’interesse verso il beverage si manifesta non soltanto nel vino, ma anche verso la birra locale.
Ma esistono altri “interessi”, all’interno del food and beverage, che non sono soddisfatti, gap fra le esperienze desiderate e quelle a disposizione: tra questi, gli italiani indicano andare alla scoperta di cibo con un esperto enogastronomico (40%) e partecipare a un viaggio enogastronomico di più giorni organizzato da un’agenzia di viaggio o da un Tour Operator (36%). Perché gli enoturisti sono viaggiatori che non improvvisano e sanno che visitare una cantina non è facile come entrare in un museo: bisogna prenotare prima e se c’è qualcuno che lo fa per loro tanto meglio. Inoltre, hanno voglia di qualcuno che li accompagni.
“Il turista enogastronomico è acculturato, ha una maggiore capacità di spesa e cerca nell’enogastronomia un’opportunità di conoscenza e di contatto con la cultura di un territorio - spiega Garibaldi - organizza il suo viaggio affidandosi al web sia per raccogliere informazioni sia per prenotare le singole componenti del viaggio. Ma ha una propensione maggiore rispetto al turista generico alla prenotazione attraverso intermediari. Preferisce percorsi misti, non monotematici, e se si trova bene torna anche una seconda volta”. L’offerta in Italia è a macchia di leopardo: ci sono segmenti più avanti e altri più indietro. “La ristorazione è un settore evoluto e organizzato, con una vasta gamma di esperienze per ogni target, così come molte cantine, che offrono visite ben strutturate - commenta Garibaldi - . invece, si potrebbero incentivare altre realtà ad aprirsi di più al turismo, come i caseifici, le cioccolaterie, i pastifici. Qui sarebbe necessario limitare i lacciuoli anche legislativi, che ancora frenano alcune potenzialità”.
Settori che sono più avanti di altri, ma anche destinazioni che sono preferite rispetto ad altre. La Regione più desiderata dai turisti italiani è la Toscana e c’è un forte interesse per il Sud, in primis Sicilia e Puglia. Molte Regioni hanno un potenziale inespresso e non vengono percepite come mete enogastronomiche rilevanti, nonostante siano ricche di eccellenze. Lombardia, Piemonte e Veneto, per esempio, vantano un’offerta che in termini numerici si colloca immediatamente dietro alla Toscana. Ma non riescono a intercettare la domanda e, ha osservato il presidente del Touring Club, Franco Iseppi, “questo dimostra che il turista non cerca tanto l’alta gastronomia perché in Lombardia i ristoranti stellati abbondano quanto esperienze più legate ai piatti tipici”.
Sulle potenzialità del turismo enogastronomico ha drizzato le antenne anche la politica. I Ministri delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, Maurizio Martina e quello dei Beni Culturali e del Turismo, Dario Franceschini hanno proclamato il 2018 Anno nazionale del cibo italiano. Da gennaio sono organizzati iniziative ed eventi legati alla cultura e alla tradizione enogastronomica dell’Italia. “C’è una domanda crescente di servizi per i turisti del cibo che va soddisfatta di più e meglio - ha commentato con un intervento scritto il Ministro Martina - serve aprirsi ancora di più, aggiungendo alla qualità e alla sostenibilità la parola multifunzionalità. La ricezione turistica, anche attraverso l’apertura delle strutture produttive ai visitatori, può diventare uno strumento essenziale per avvicinare produttori e consumatori, oltre che essere una voce di reddito aggiuntiva. Su questa strada dobbiamo fare di più a partire dalla formazione professionale. Abbiamo bisogno di professionisti del cibo. Il nostro impegno andrà avanti, come dimostrato di recente anche dalle nuove regole dell’enoturismo”.

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