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Cala per il secondo anno il consumo di alcolici negli USA: -66,6 milioni di litri (-0,2%), ma crescono vino (+1,3%) e spirits (+2,3%), con l’exploit del Prosecco (+23,2%) che traina l’intero comparto enoico. Ecco l’analisi preliminare 2017 by IWSR

Addio ai “six-pack” di birra industriale, benvenuto agli whisky e alle bollicine - particolarmente se in formati alternativi, e associabili a un consumo più moderato e salutare - e premiumizzazione sempre più marcata: ecco i trend che hanno caratterizzato il consumo di bevande alcoliche nel 2017 secondo l’analisi dei dati di mercato compilata da Iwsr (www.theiwsr.com). Il dato complessivo, che racconta di un altro anno di flessione nei consumi in volume (-0,2%, con 66,6 milioni di litri lasciati sul campo rispetto al 2016), non deve spaventare, puntualizzano gli analisti della società, visto che a patirne le conseguenze è stata la bevanda alcolica più popolare nella società americana, la birra, che ha diminuito la sua quota di mercato di mezzo punto percentuale e confermando così la sua parabola discendente - anche se si parla pur sempre di un gigantesco 79% in volume.
Il motivo del calo complessivo risiede, secondo gli osservatori di Iwsr, nel consolidarsi della tendenza verso un consumo più moderato e salutare, che si fa sentire in tutti i comparti del mercato, risultando in bevande composte da ingredienti più “naturali”, con un minore contenuto di alcol o addirittura dalla crescita di “mocktails” del tutto privi di gradazione. La buona notizia, particolarmente per i produttori enoici del Belpaese, è che, insieme ai superalcolici (+2,3%), è proprio il vino a risentire più positivamente del calo di popolarità della birra, con un +1,3% in volume che, sottolinea Iwsr, è dovuto in larga parte al Prosecco, la cui popolarità negli States ha saputo garantire alla bollicina italiana una crescita anno su anno del 23,2%, e alla tipologia degli spumanti il ruolo di attore principale della performance del nettare di Bacco, con la crescita dei fermi che si è limitata a un +1%.
La crescita dei volumi, inoltre, è stata accompagnata e guidata anche da un’altra tendenza di mercato che non accenna a rallentare, ovvero una premiumizzazione che si sta sempre più facendo sentire sia nel settore del vino (con il 22% dei volumi appartenenti alla categoria di prodotti classificabili come premium o superiori) che in quello degli spirits (33%), a fronte di percentuali che nel 1990 erano appena del 2% e del 12%, rispettivamente.
Altrettanto ha fatto anche una sensibile crescita della domanda per vino e superalcolici in formati alternativi e di minore capienza, con il vino in formati da mezzo litro e da 187 millilitri - la misura standard per il consumo al bicchiere - in crescita a doppia cifra. In aggiunta ad una percezione culturale che vede sempre meno il vino in formati diversi dalla classica bordolese come sinonimo di bassa qualità, insomma, l’informalità del consumo enoico delle generazioni più giovani (Millennial, ma anche Gen-Xer) sta portando sempre più produttori a rompere il “tabù” del formato alternativo, sia esso il bag-in-box o la lattina in alluminio, generando un circolo virtuoso nel quale la presenza di sempre più vino di qualità in formati alternativi ne stimola la domanda - e, forse, contribuendo in maniera rilevante all’affermarsi di un consumo moderato, ma quotidiano, e di qualità, ma flessibile.

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