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Il momento del vino italiano in Usa, dal sorpasso francese al fenomeno Prosecco, dalla comunicazione ai fondi Ocm: a WineNews l'analisi di Francesco Zonin, Ettore Nicoletto (Santa Margherita) Enrico Viglierchio (Banfi) e Sandro Sartor (Ruffino)

Italia
Francesco Zonin, Ettore Nicoletto (Santa Margherita), Enrico Viglierchio (Banfi) e Sandro Sartor (Ruffino)

Atteso, scongiurato, inevitabile: il sorpasso della Francia sul mercato Usa, per il mondo del vino italiano, è una doccia fredda in un momento, comunque, positivo. Come raccontano i dati dell’Osservatorio Paesi terzi di Business Strategies e Nomisma-Wine Monitor, dopo i primi nove mesi dell’anno i vini transalpini hanno toccato quota 1,22 miliardi di euro a valore, contro gli 1,21 miliarrdi del vino tricolore. Belpaese che rallenta, ma non si ferma, e che nel complesso, nei dati Istat elaborati da Ismea, cresce nei primi sette mesi del 2017 sia in valore (+8%, a 3,3 miliardi di Euro) che in volume (+7%, a 12 milioni di ettolitri di vini e mosti). Eppure, il +3% a valore fatto registrare sul mercato Usa suona, inevitabilmente, come un campanello d’allarme, perché non è solamente 6 volte inferiore al +18,8% della Francia, ma è anche distante dalla crescita complessiva delle importazioni statunitensi di vino (+8%). Numeri, dati, tendenze, che sottintendono dinamiche importanti, analizzate per WineNews da alcuni dei protagonisti del vino italiano sul grande mercato americano: Francesco Zonin, a capo di Zonin1821, il più grande gruppo enoico privato d’Italia, Ettore Nicoletto, amministratore delegato del Gruppo Santa Margherita, Enrico Viglierchio, general manager di Banfi, che in Usa ha iniziato la propria avventura nel vino, e Sandro Sartor, amministratore delegato della toscana Ruffino. I punti cardine? Un mercato sempre più competitivo, in cui non c’è da aver paura solo della Francia, che è stata capace di legare il suo nuovo boom ad un territorio nuovo, la Provenza, con i suoi rosati, ma anche i limiti di un’offerta, quella italiana, frammentaria, proprio come lo stanziamento e l’utilizzo delle risorse in promozione, senza dimenticare i ritardi e la mancanza di una strategia solida e condivisa dovuti più alla burocrazia che alla volontà di aziende e Consorzi.

Ma procediamo con ordine, dalle parole di Francesco Zonin, che mette in primo piano la fase storica che il vino italiano sta vivendo in Usa. “Stanno arrivando sul mercato le nuove generazioni di consumatori, i Millennials, e dobbiamo adeguarci. Siamo stati abituati per almeno 20 anni ad un certo tipo di consumatore di riferimento, da Brunello e Barolo, poi sono arrivati gli amanti dei varietali, Pinot Grigio e Prosecco, ma oggi c’è da fare i conti con la concorrenza di tanti Paesi, che non sono certo rimasti a guardare la nostra crescita con le mani in mano. Nel mercato dei grandi numeri - spiega Zonin - è cambiato molto, e poi c’è il tema distribuzione: si bevono cose diverse, ci sono trend diversi, c’è chi li anticipa, chi li crea e chi arriva dopo. Il 30% del vino venduto in Usa è riconducibile a Gallo, che può permettersi un approccio diverso da quello del resto del mondo, sono vicini al mercato, anticipano o impongono dei trend, portando nicchie a diventare fette importanti di consumo. Noi, in Italia, abbiamo un approccio diverso, per certi versi ancora fermo agli anni Novanta, tra varietali e denominazioni, e facciamo fatica ad andare oltre, a trovare nuove chiavi di lettura. La Francia - sottolinea il vice presidente della Zonin 1821 - ad esempio, ha il rosé dalla Provenza”. Eccola, l’arma segreta della Francia, che si riassume “in un milione di casse di rosé di Provenza, pari a 12 milioni di bottiglie, vendute nei primi 6 mesi del 2017, con i soliti Bordeaux, Champagne e soprattutto Borgogna che continuano a lavorare bene. Chi si ferma - continua Zonin - è invece l’Argentina, con l’Italia che rallenta, perché dopo la grande bolla del Prosecco non siamo riusciti a far emergere nient’altro, in un mercato che, comunque, continua a crescere anche come produttore”.

Il futuro, come è ovvio che sia, passa per la conquista dei nuovi consumatori, che in un Paese tanto grande sono “tra i 2 ed i 4 milioni ogni anno, ed hanno bisogno di un’offerta diversa: bisogna studiarci e lavorare, investendo bene, a lungo termine. Si deve fare meglio, ma deve cambiare la mentalità, perché la promozione non si può fare per tutti allo stesso modo, bisogna fare delle scelte, concentrarsi su alcuni vini ed alcune denominazioni e partire da lì. L’importante - ricorda Zonin - è che si parli di Italia e dei suoi vini e dei suoi territori. La Francia quando promuove lo fa come sistema, con un lavoro di squadra tra grandi e piccoli che qui non funziona al meglio. Se guardiamo le denominazioni più importanti, sono tutte nate dalla testa di un artigiano, ma hanno raggiunto il successo grazie a grandi aziende, che l’hanno fatto conoscere in Italia e fuori dai confini nazionali. Quello Usa, comunque, è un mercato pieno di spazio, e la qualità media dei vini italiani è così alta che può puntare su qualsiasi denominazione, ci sono talmente tante nicchie che ognuna potrebbe offrire uno spazio adeguato. Certo, vanno capiti i nuovi stili di consumo: chi sceglie il vino all’ora dell’aperitivo, ad esempio, può essere il target giusto per i bianchi del Sud. Dobbiamo imparare - dice ancora Zonin - a muoverci su target diversi, perché il vino italiano ha questa possibilità”.

Di certo, però, ha anche di fronte a sé ostacoli che non hanno i nostri competitor. “A giugno la Francia aveva il 30% degli investimenti previsti dall’Ocm Promozione già ripagato, noi i bandi a settembre. Sicuramente non abbiamo fatto una bella figura, siamo in ritardo di 9 mesi, la promozione in Italia già non si muove benissimo, così però ci stiamo dando la zappa sui piedi, perché i fondi sono molto importanti. E poi - conclude Francesco Zonin - in Francia e Spagna i criteri sono più attuali e moderni e legati al mercato. Alla fine ce la facciamo sempre, ma questi ritardi non aiutano, potremmo spenderli meglio, specie in un mercato così grande e veloce, dove il gap si allarga in tempi brevissimi”.

Non è così distante la lettura del momento che sta attraversando il vino italiano in Usa di Ettore Nicoletto, che a WineNews parla di un “rallentamento oggettivo, lo dicono i numeri. Le statistiche non mentono, ma non siamo preoccupati. Dobbiamo però prestare attenzione: se guardiamo ai driver del sistema Italia, ci sono Prosecco e Pinot Grigio al top con il resto del panorama enoico, fatto da decine di Dop diverse, che si muove in un trend di galleggiamento. Questi - ripete Nicoletto - sono i due elementi di attenzione: la forte dipendenza da Prosecco e Pino Grigio, compresa la nuova Dop Pinot Grigio delle Venezie) e la frammentazione eccessiva dell’offerta”. Sul recupero, ed il sorpasso della Francia, l’ad del Gruppo Santa Margherita ha le idee chiare: “la Francia ha tre denominazioni molto forti e un territorio come la Provenza, con i suoi rosati, capiamo così la maggiore vivacità rispetto a noi, che siamo un po’ statici. E poi, non aiuta un altro elemento, ossia i problemi legati all’Ocm, che tolgono continuità d’azione alla nostra promozione, e questo è un aspetto innegabile ed ineludibile. Gli Usa - continua Nicoletto - generano il maggior valore sulla filiera, è il mercato che dobbiamo analizzare e studiare meglio di qualunque altro, per questo dobbiamo prestare attenzione a sto che sta succedendo, ma non c’è vera e propria preoccupazione. Certo, adesso la Francia ha una nuova carta da giocare, ed è unica, non è facile replicare con i nostri rosati, è una vocazione che noi non abbiamo”.

Quando l’analisi prescinde dal “momentum”, e si fa più generale, emergono ancora una volta i soliti limiti del Belpaese enoico. “A livello di sistema Paese - riprende Nicoletto - c’è una valorizzazione del patrimonio vinicolo, in Francia, che noi ancora non abbiamo, e questo principalmente perché ci lavoriamo in maniera disunita. Senza dimenticare il tema del sostegno: non abbiamo una Sopexa, che tra l’altro oggi è privata e fa assistenza persino ad altri Paesi, compresa l’Italia. E poi l’utilizzo dei fondi, a partire da quelli dell’Ocm Promozione: loro fanno tutto velocemente, noi siamo imbrigliati da tempistiche troppo incerte e poco chiare. Mettendo insieme tutti questi elementi, si capisce il perché di questa frenata”.

Il futuro, invece, è legato ai consumatori del futuro, comunque, secondo Nicoletto, già ben disposti verso i vini italiani, grazie, essenzialmente, al successo del Prosecco che, “come sistema, ha aperto la strada verso i gruppi di consumatori più giovani, è sinonimo di generazione X e Y, anche se non limiterei il discorso ad una questione di generazioni, quanto di comunicazione: bisogna guardare ai giovani wine lover cambiando linguaggi e toni. Del resto, tutto il territorio italiano ha la possibilità di emergere, penso al Vermentino e alla Lugana, che potrebbero rivelarsi i nuovi Pinot Grigio, o affermarsi in maniera complementare al Pinot Grigio, sono perfetti per incontrare il gusto dei giovani. Sui rossi, ci sono Abruzzo e Puglia, con Montepulciano e Primitivo, in pole, ma anche la Sicilia, che dopo essere emersa pare essersi addormentata ultimamente. L’Italia ha tantissime possibilità, ma manca la consapevolezza da parte dei territori che il primo passo da fare è quello di comunicarsi in maniera univoca. Ci vuole un messaggio forte e comune - continua l’ad di Santa Margherita - altrimenti la Francia resterà sempre irraggiungibile. Ci vuole uno sforzo comune, unitario, per fare massa critica, o continueranno a funzionare bene solo le denominazioni da mezzo miliardo di bottiglie”.

Bisogna, però, che ogni attore della filiera rinunci a qualcosa di sé per un obiettivo più grande, capace di guardare al futuro: “se i leader capiscono che devono rinunciare a qualcosa per crescere di più in futuro - riprende Nicoletto - abbiamo trovato la chiave di volta. La fiducia, in questo, è un elemento fondamentale, ce lo dice il successo della sharing economy, come AirBnb, è la fiducia che alimenta il business. Si deve rinunciare ad un pizzico di sovranità per avere successo insieme, e la Provenza lo dimostra”. Un messaggio unitario, certamente, ma anche facile, perché “il consumatore che vogliamo attrarre - sottolinea l’ad di Santa Margherita - viaggia per semplificazioni, più la proposta è complessa più rischi di non essere sexy: quando parliamo di Chianti o Chianti Classico parliamo di un posto che occupa uno spazio molto attrattivo nell’immaginario del consumatore americano, ma è complesso da essere promosso. Il Chianti, del resto, trasuda complessità anche in virtù di un dualismo mai risolto, e se noi apprezziamo le sottigliezze e le differenze, lo stesso non si può dire per il consumatore del Terzo Millennio, che non è così evoluto, ed ha bisogno di una decodifica in tempi brevissimi. Noi, però, è al consumatore medio che dobbiamo parlare, e non lo stiamo facendo sempre bene. Il tema è: semplificare per valorizzare. Non significa banalizzare il messaggio - conclude Nicoletto - ma renderlo accessibile, al consumatore moderno”.

Chi non si fa prendere da eccessive preoccupazioni, parlando di “un normale rilassamento del mercato”, invece, è Enrico Viglierchio, general manager di Banfi, che ha Montalcino ha il fulcro di una galassia con diramazioni produttive in Piemonte e commerciali e distributive in Usa. “Non vedo grandi problematiche sul mercato Usa - dice Viglierchio - negli ultimi anni siamo cresciuti in maniera importante, e adesso rallentiamo.
Di certo la concorrenze è enorme, tutti vorrebbero stare sul primo mercato del vino al mondo, e le regole sono cambiate rispetto a qualche anno fa, dobbiamo fare i conti con la crescita della California, ma il vino italiano, semmai, fatica tra i più giovani, i Millennials. Ci vorranno strategie di comunicazione diverse da quelle usate fin qui, ma io ho fiducia, non vedo grandi problemi”.

La concorrenza, ammonisce però Viglierchio, “non è solo quella che arriva dalla Francia, perché gli Usa sono un mercato solido, sotto tutti i punti di vista, ed offre prospettive importanti per tutti, dalla Spagna all’Argentina, dal Cile all’Australia”. Il paragone con la Francia, però, anche in termini promozionali, non è facile, perché “noi abbiamo uno scacchiere produttivo radicalmente diverso da quello francese, è difficile dire, come ha fatto la Francia con i rosati della Provenza, con quale denominazione andare a conquistare i giovani americani, semmai è importante il come ci si presenta. All’interno del nostro panorama produttivo - continua il general manager di Banfi - sappiamo di avere tipologie ben diverse, capaci potenzialmente di incontrare il gusto di ogni tipo di consumatore. Intanto, lavoriamo bene sulle denominazioni già presenti sul mercato, comunicandole meglio, capiamo se, e come, possono conquistare i giovani, e poi affianchiamo loro altri prodotti, altre denominazioni, da agganciare, in un certo senso, al traino delle più grandi”.

Un ostacolo su cui tutti sono d’accordo, invece, è quello rappresentato dalla cattiva gestione dei fondi Ocm. “Un rallentamento non programmato delle attività di promozione sui mercati terzi un effetto negativo ce l’ha, è fuori discussione, alcune iniziative si sono dovute ridimensionare, e questo ha ridotto l’efficacia di un supporto vitale. I fondi Ocm, ad esempio, servono spesso come start up per nuove tipologie e nuovi prodotti, che per affermarsi hanno bisogno di programmazione e progettazione, che per ovvi motivi raggiunge un orizzonte temporale di 2-3 anni”. Infine, l’atavico limite del prezzo medio, “che è esattamente ciò su cui dobbiamo lavorare, ma al quale poi, alla fine dei conti, non diamo il giusto peso”.
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Sandro Sartor, ad della toscana Ruffino, fiore all’occhiello del gruppo Usa Constellation Brands, predica calma e gesso, perché “è vero che sul mercato Usa nei primi 6 mesi dell’anno registriamo un rallentamento, ma il tasso di crescita è comunque positivo. Nulla di preoccupante, dal +3% si passa al +1% del totale mercato del vino, pur in un’economia in salute. Questo perché i consumi si spostano verso i superalcolici, mentre la birra ha fermato l’emorragia dei consumi grazie alle produzioni artigianali. Se si parla di consumi assoluti, vediamo come si stia stringendo leggermente il bacino dei consumatori del vino. Ma siamo ancora ai primi mesi dell’anno, già negli ultimi - spiega Sartor - abbiamo registrato miglioramenti. Per il vino italiano non vedo criticità, il Prosecco va bene, il Pinot Grigio rallenta leggermente, ma con la denominazione delle Venezie tornerà a crescere, e comunque è in positivo. I rossi, invece, sono fermi da un paio d’anni, con i dovuti distinguo,come il Brunello ed il Chianti Classico, che vanno bene, meno il Chianti ed altre tipologie. Non vedo né una crisi né un’inversione di tendenza, il valore unitario è in crescita, anche se siamo distanti, come prezzo medio, dai francesi. Ricordiamoci - sottolinea Sartor - che si parla di un mercato assolutamente competitivo, dove tutti vogliono essere”.

Anche il ritorno in forze della Francia non sorprende l’ad di Ruffino, che ne offre una lettura un po’ più ampia, allargando l’attenzione alle dinamiche commerciali del vino francese nel suo insieme. “La Francia si era illusa che la Cina potesse rappresentare la nuova America, investendo, per anni, solo lì. Adesso, si sono svegliati, la crescita in Cina è sempre più lenta, e sono tornati ad investire in Usa, a partire dai bordolesi, cosa che avevano smesso di fare. Tornando ad investire, sono destinati, più o meno velocemente, a riprendersi le proprie fette di mercato. Poi - aggiunge Sartor - sul fronte dei rossi c’è da guardarsi le spalle anche dalla crescita dell’America Latina. Le eccellenze italiane, comunque, vanno bene, specie perché gli Usa si spostano su livelli sempre più alti di mercato, ed a goderne sono proprio Brunello e Super Tuscan. In questo senso, comunque, i rallentamenti e l’incertezza sui fondi Ocm pesano, perché non si sa mai su cosa poter contare e per quanto tempo per pianificare la promozione in maniera adeguata, diventa davvero difficile programmare, troppa incertezza, i criteri sono una giungla, e già questo ne vanifica l’efficacia”.

E se qualcuno ha dubbi sulla tenuta del fenomeno Prosecco, non ne ha Sartor, che anzi segna la strada per crescere ancora. “Il Prosecco ha goduto di un momento perfetto, ha cavalcato l’amore per le bollicine esploso in tutto il mondo, che non è certo finito. L’onda lunga durerà ancora molto, io vedrei benissimo la versione rosé, che porterebbe uno slancio del 20-30% di crescita. Altre denominazioni con quel potenziale non ne abbiamo, speriamo nel Pinot Grigio delle Venezie, ma dobbiamo imparare a fare sistema, e non lo so se impareremo mai. Di certo - continua l’ad di Ruffino - il Prosecco insegna qualcosa anche in questo senso, ma pensiamo anche al Pinot Grigio, che non è una denominazione, ma una intera tipologia legata però ad un grande territorio, vasto. E fa bene anche la Doc Sicilia, che rappresenta un’intera regione, ma così ha la possibilità di approcciare i mercati globali in maniera solida: sembra grande, ma nel mondo esprime comunque una sua tipicità. E attenzione all’Igt Toscana - conclude Sartor - dobbiamo imparare a vederla e proporla come la Doc Toscana, senza farne una Doc, può rappresentare un intero territorio in modo ampio e solido”.

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