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Congresso Assoenologi - La sostenibilità del mondo del vino: un viaggio più che una meta, con punti di vista di grande varietà. Dalla biodinamica di Joly al biologico secondo Steve Matthiasson, passando per i registri telematici e “sostenibili” ...

La sostenibilità nel mondo del vino è un viaggio più che una meta, che ci regala punti di vista e sfumature di grande varietà. E se del tema (pensato ed attuato necessariamente nei suoi elementi ambientale, sociale ed economico, le tre condizioni che, prese assieme, definiscono il benessere e il progresso) si è detto molto perché è ormai da tempo al centro dei progetti del comparto enoico nazionale, per adesso la questione della sostenibilità ha generato obbiettivi operativi ancora limitati come l’aumento della produzione biologica certificata, che, solo per fare un accenno, i regolamenti Ue sulle certificazioni hanno normato con maglie forse troppo larghe. Ma al di là di questo, è emerso dal convegno “La scienza della sostenibilità”, di scena oggi a Firenze con gli Assoenologi a Congresso, la sostenibilità come fattore d’innalzamento della competitività delle aziende viticole, dei territori e delle comunità ad esse collegate, appare ormai un punto fermo, a partire dal dettare le linee guida di “Agenda 2030” (programma d’azione per le persone, il Pianeta e la prosperità sottoscritto nel settembre 2015 dai Governi dei 193 Paesi membri dell’Onu, ndr).
Sul piano squisitamente operativo e cioè su quello della coltivazione del vigneto le domande a cui bisogna rispondere in prima battuta sono “come si coltiva un vigneto? e, soprattutto, dove si coltiva? - afferma Ruggero Mazzilli, agronomo e fondatore della Stazione sperimentale per la viticoltura sostenibile - Spevis - in questo senso il primo problema che incontriamo è quello della perdita di fertilità dei suoli, frutto di una visione a breve termine, che ha risposto esclusivamente alla massimizzazione della redditività. La territorialità, cioè il suolo e il sottosuolo del vigneto, è tutto quando si parla di vino di qualità, un elemento che non si crea, ma si può distruggere, come in parte è successo. Per scongiurare altri possibili danni - prosegue Mazzilli - dobbiamo lavorare non sugli effetti ma sulle cause, con un evidente scontro tra i modus operandi della viticoltura sostenibile e quelli della viticoltura industriale, quest’ultima trasformatasi in coltura intensiva con tutte le sue criticità. La fondamentale gestione del suolo dipende prima di tutto dalla sua conoscenza, ma può comprendere anche elementi del tutto empirici”. E se il clima è in profondo mutamento, la gestione agronomica del vigneto non può avvenire senza “un bilancio idrico e l’introduzione di accorgimenti agronomici, che conservino l’acqua accumulata nei periodi più piovosi - sottolinea il fondatore di Spevis - come , per contrastare le malattie della vite, bisogna puntare sull’aumento della resistenza delle piante, a partire da potature adeguate. Non solo quindi - conclude Mazzilli - il freddo raziocinio ma anche accuratezza e attenzione”.
Gli fanno eco le parole di Steve Matthiasson, titolare di Mathiasson Wines che a Napa Valley dal 2003 ha concepito la sua cantina come un luogo dove si “pensa globalmente per agire localmente, inserendo la nostra attività nel progetto “Napa Green”, un insieme di certificazioni e adozioni di pratiche produttive e di gestione del paesaggio dove esistono valori condivisi quali la massima attenzione all’acqua, la misurazione della carbon footprinting e la biodiversità, sempre con la convinzione che la sostenibilità è un viaggio e non una meta”.
Un modo e un mondo della sostenibilità rigoroso fino all’ascetismo in senso lato, resta quello della biodinamica, una filosofia prima che una metodologia operativa. Una visione per certi versi “iperuranica” che non si limita a considerare ciò che avviene sulla terra ma anche, appunto, gli influssi provenienti dall’universo e capaci di influenzare i vigneti. “Tonnellate di “materia secca”, creata al 95% dalla fotosintesi e solo dal 5% con il contributo del suolo - spiega Nicolas Joly, patron de la Coulée de Serrant e guru della biodinamica mondiale - è il risultato che ogni anno producono i nostri vigneti in circa sei mesi, trasformando l’energia in materia. Se la terra restasse al buio, ogni cosa morirebbe, perché la vita arriva dall’energia. In questo senso la biodinamica resta misteriosa per la scienza, perché è una visione olistica di un sistema in cui la terra è parte ma che non potrebbe essere senza il sole e le altre stelle. E più comprendiamo la sorgente della vita e più possiamo dare vita. Se portiamo la vita non c’è bisogno di capire la vita e in cantina tutto succede da sé. L’enologo è solo un “medico condotto”, che interviene quando ci sono dei problemi. La natura ha orrore della monocoltura, solo la biodiversità è la sua salvezza e, insieme al vigneto, dobbiamo dare spazio il più possibile ad altre piante e agli animali. Il segreto della biodinamica in fondo sta tutto qui - conclude Joly - un’armonia tra molteplici elementi. La tecnologia è soltanto vita e per questo che non ce n’è bisogno”.
Se la sostenibilità ambientale è considerata una prerogativa essenziale per garantire la stabilità di un ecosistema, cioè la capacità di mantenere nel futuro i processi ecologici che avvengono al suo interno, quella sociale è un equilibrio fra il soddisfacimento delle esigenze presenti senza compromettere la possibilità delle future generazioni di sopperire alle proprie. “Temo che abbiamo mangiato un pezzo di pianeta ai nostri figli - sottolinea Ruenza Santandrea, Coordinatrice Settore Vitivinicolo Alleanza Cooperative Italiane Agroalimentare - e dobbiamo recuperare il terreno perduto attraverso una sostenibilità etica, sociale ed economica che passa da un modello imprenditoriale e produttivo alternativo, che non sia più la ricerca esclusiva del massimo profitto nel minor tempo possibile. Ma guai ad intendere la sostenibilità come soltanto l’uso o no della chimica, scienza e tecnologia non significano prendere scorciatoie artificiali, ma costruire una cultura capace di resistere alle sollecitazioni del futuro, senza distruggere il nostro pianeta”.
La sostenibilità economica è dunque la possibilità futura che un processo economico “duri” nel tempo, ed essere sostenibili conviene. “La sostenibilità economica del comparto vino è stata causata, anche in periodo di crisi - osserva Raffaele Borriello, dg Ismea - dalle esportazioni dei nostri vini con una crescita costante sia nei mercati maturi che nei nuovi. Le prospettive sono positive, nel 2020 sono previsti 212 milioni di nuovi ricchi, ma bisogna essere attenti ai competitors e assicurare le aziende contro le bizzarrìe climatiche e garantire le produzioni anche in caso d’improvvisa mancanza di materia prima”.
Anche per rispondere a semplici sollecitazioni di mercato, Il concetto di sostenibilità nel mondo del vino italiano è ben radicato, anche se esistono ancora delle resistenze, specialmente sul piano organizzativo, dove la sostenibilità pone almeno un problema di complessità documentale. Un esempio di superamento di questa criticità arriva proprio dal Ministero delle Politiche agricole. “Vediamo che la sostenibilità dei controlli, attraverso il registro telematico, comincia a dare i suoi frutti - afferma Stefano Vaccari, Capo Dipartimento dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi agroalimentari - ad inizio vendemmia 2017, cioè al 1 agosto, data stabilita per legge, la “Cantina Italia” poteva sopperire alla crisi di produzione dell’annata attraverso le scorte, che ammontavano a 37,8 milioni di ettolitri, peraltro di ottima qualità, visto che 17,7 milioni di ettolitri erano a Dop, 11,5 a Igp, poco più di 8 milioni vino da tavola e marginalissimi 533.700 ettolitri varietali. Le aziende con i registri attivi erano 17.400, 1.348 con 1.000 o più ettolitri e 13.190 con meno di 1.000 ettolitri a disposizione. La fotografia della situazione indicava anche - prosegue Vaccari - che l’81% del vino italiano era stoccato sopra a Roma, con le sole Province di Verona e Treviso a detenere 1/6 del vino tricolore, più di Puglia e Sicilia messe insieme. Una geografia reale del vino italiano - conclude il Capo Dipartimento Icqrf - interessante per la distribuzione del lavoro tecnico in cantina”.
Eppure il comparto è in salute e sta crescendo nonostante le condizioni economiche difficili, e la sostenibilità appare sempre più un investimento necessario e conveniente su più fronti (produttivo, morale, etico, sociale ed economico). Il vino, per giunta, porta con sé un’antica vocazione a questo concetto, mutuata da quello di “terroir” (che definisce per l’appunto l’interazione tra più fattori, come tipo di terreno, geomorfologia, clima, vitigni, viticoltori e consumatori del prodotto ...). Intanto, in Europa, però, il vino occupa il 5% della superficie coltivata e continua a consumare il 50% dei fitofarmaci sversati complessivamente. Siamo dunque in una fase storica all’insegna delle scelte, e, fra queste, il passaggio dal business della sostenibilità alla sostenibilità del business.

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