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La qualità come segno distintivo dei vini francesi. Dalla certificazione ambientale di Saint’Émilion al riconoscimento delle denominazioni Bourgogne Côte D’or e Vézelay, la promozione di Borgogna e Bordeaux passa per la tradizione e la sostenibilità

La qualità come segno distintivo dei vini francesi nel mondo. Che sia aderendo collettivamente ad un protocollo obbligatorio di certificazione sostenibile, come hanno fatto i vignaioli di Saint’Émilion secondo Wine Spectator (www.winespectator.com), o percorrendo la strada del riconoscimento di una nuova denominazione, come riportato da The Drinks Business nel caso della Borgogna con Vézelay e Côte D’or (www.thedrinksbusiness.com), è questa la strada che continuano a battere i nostri cugini d’Oltralpe per promuovere i propri vini, con un occhio alla tradizione vitivinicola territoriale e uno alla tutela della salute delle persone e dell’ambiente. Senza dimenticare la volontà dei vignaioli bordolesi di voler rispettare a fondo lo stato di patrimonio mondiale Unesco, di cui il paesaggio di St.-Émilion è stato insignito nel 1999.
È nel distretto d’eccellenza del Pinot Nero, che dall’annata 2019 i produttori che vorranno imbottigliare il loro vino con le diverse appellazioni di St.-Emilion (St.-Émilion, St.-Émilion Grand Cru, Lussac St.-Émilion and Puisseguin St.-Émilion) dovranno aver aderito ad una certificazione di sostenibilità ambientale a scelta fra quelle approvate dal consiglio della denominazione; altrimenti dovranno etichettarlo come “generico” Bordeaux.
Il voto sul progetto è avvenuto in un periodo infelice, nel maggio 2016, poco dopo la gelata che aveva stroncato diversi vigneti: “sarebbe stato facile per noi fare un passo indietro, ma ci siamo detti “No, andiamo avanti””, ha dichiarato Franck Binard, direttore del Conseil des Vins de Saint-Émilion. Il 25% dei vignaioli che ha votato contro è preoccupato dai rischi e dai costi, ma è stato previsto un supporto tecnico si aiuto verso la transizione.
La possibilità di poter scegliere fra diverse certificazioni è stata una scelta voluta: “non volevamo una dittatura. Accettiamo tutte le dottrine - spiega Philippe Bardet, proprietario di Château Pontet-Fumet e attivista ambientale - a patto che siano ufficialmente attestabili”. Quando due anni fa il progetto iniziò, da un sondaggio il consiglio si scoprì che già il 45% delle aziende aveva aderito a qualche forma di certificazione per motivazioni connesse all’ambiente, alla sicurezza o alla qualità. I tempi quindi erano maturi. La decisione ha comunque un impatto notevole, perché è obbligatoria (in modo definitivo, quando le autorità cambieranno lo statuto dell’appellazione) e riguarda quasi 3,85 milioni di casse di vino e 973 vignaioli, destando parecchio interesse anche da parte di altre realtà, come Castillon, che è la denominazione di Bordeaux con la più alta percentuale di ettari vitati in conversione biologica.
Ma se la qualità di un vino passa per una crescente attenzione verso il terroir e la sua salubrità, il primo passo è definirne l’esistenza tramite un riconoscimento ufficiale. In questa direzione va vista la recente approvazione formale da parte dell’Institut National des Appellations d’Origine di due nuove Doc in Borgogna: il riconoscimento di Village a Vézeley e di denominazione regionale a Bourgogne Côte d’Or.
La promozione a Village per Vézeley vuole essere un ritorno al suo passato glorioso di zona vitivinicola vocata: devastata dalla fillossera alla fine dell’ottocento, come la maggior parte delle vigne europee, ci sono voluti 100 anni perché le venisse concessa almeno l’appellazione generica “regionale”. Ora, dopo un percorso lento di riconoscimento di qualità, anche l’estremo nord della Borgogna si avvicina al pregio delle altre zone comprese fra Dijon e Beaune, come quello della Côte d’Or, diventata finalmente Doc, alla pari di Côte Chalonnaise, Passe-tout-grains, Tonnerre, Côteaux Bourguignons, Crémant de Bourgogne e la Hautes Côtes de Beaune e Nuits.

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