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Quando il vino, nel calice, esprime e racconta la “geologia” del territorio. Con la conformazione dei terreni che caratterizza vini, e vitigni. Le testimonianze di ricercatori ed esperti e la case history dei “Paesaggi del vino dei Colli Berici”

Italia
Il vino esprime la geologia del territorio: la case history dei Colli Berici

Quanto un vino è espressione della roccia madre che ha dato origine al suolo in cui affondano le radici le viti? In altri termini si percepisce la “geologia nel bicchiere”? Se parliamo di Colli Berici, originati da corrugamenti e sollevamenti tettonici, allora la risposta è affermativa. È emerso nel convegno “Paesaggi del vino dei Colli Berici” (anteprima di “Gustus, vini e sapori dei Colli Berici, che si chiude oggi 6 novembre, www.gustus.stradavinicolliberici.it), organizzato dalla Strada dei Vini dei Colli Berici, nella Biblioteca Internazionale La Vigna a Vicenza. L’incontro (organizzato da Sigea - Società Italiana di Geologia Ambientale, in collaborazione con il Consorzio Tutela Vini doc Colli Berici e Vicenza e la Biblioteca Internazionale La Vigna, la più importante istituzione culturale in fatto di libri sul vino al mondo), fa parte del progetto “Geologia nel bicchiere” di Sigea, nato per valorizzare il legame tra territorio, vitigni e vini visto che, come ha spiegato Tatiana Bartolomei, presidente dell’Ordine dei Geologi del Veneto, “l’interazione fra substrato geologico, forme dei versanti modellati geomorfologicamente, tipo di suolo minerale, insolazione, vitigno, sviluppo delle sue radici e conservazione dell’ambiente sono gli ingredienti di una viticoltura pregiata dalle caratteristiche qualitative uniche e univoche”.
Caratteristiche fortemente identitarie che si ritrovano nei Colli Berici, rilievi dal profilo ondulato di altezze modeste (300-400 metri) costituiti quasi esclusivamente da una successione di formazioni rocciose calcaree di natura sedimentaria, che si sono evolute in terreni con argille rosse, ricchi di scheletro, e in percentuale minore da rocce di origine vulcanica che hanno determinato terreni basaltici ricchi di sali minerali.
Si stagliano nella pianura a Sud di Vicenza “senza preavviso” come un parallelogramma lungo 24 chilometri e sono un Sito di Importanza Comunitaria (Sic) per il loro grande interesse naturalistico per la flora, con endemismi come Saxifraga berica che al mondo cresce spontaneamente solo qui, e la fauna. La viticoltura si estende sui versanti est, sud e ovest dove il microclima è molto favorevole alla coltivazione, con temperature particolarmente miti fino all’autunno inoltrato, una buona escursione termica tra giorno e notte e una limitata precipitazione annua (500-600 millimetri). Al contrario al centro, sulla sommità, il microclima è più rigido e l’unica attività che vi si svolgeva era l’estrazione della Pietra di Vicenza e di quella di Nanto e proprio questo ha determinato la conservazione di un ambiente incontaminato.
“Le peculiarità dei suoli - ha sottolineato Giovanni Ponchia, direttore del Consorzio - caratterizzano i diversi vini prodotti sui Colli Berici. Non abbiamo un vitigno bandiera, ma ne coltiviamo diversi e sono distribuiti sul territorio proprio in funzione della natura dei terreni. Semplificando, possiamo dire che i vitigni a bacca rossa più diffusi - Cabernet sauvignon e franc, Merlot, Tai rosso e Carmenere - insistono sui terreni chiari, calcarei e argillosi, esposti favorevolmente a sud e a medie altitudini, capaci anche grazie alla rifrazione dei raggi solari di portare le uve a maturazione perfetta anche di vitigni come il Carmenere, che sta avendo incrementi notevolissimi. Ne risultano vini con un elevato contenuto di antociani e polifenoli, un’intensa colorazione, un buon corredo tannico, nonché lo sviluppo di sentori di frutta matura e spezie. Al contrario le nostre principali varietà a bacca bianca - Chardonnay, Sauvignon e Garganega - si trovano in zone con suoli scuri, prevalentemente basaltici, derivati dai coni vulcanici, che ne esaltano la finezza degli aromi e dei profumi”.
I Colli Berici sono un esempio di eccellenza della geodiversità italiana che è molto ampia. “Lo testimoniano i nostri paesaggi mai ripetitivi in rapporto con chi coltiva - ha spiegato Silvano Agostini di Sigea - pendii terrazzati, valli fluviali e situazioni particolari nelle colline interne: ovunque abbiamo condizioni particolari. E nell’interazione con la vite ci sono i diversi climi. Spesso si sente parlare della vite come di una coltura mediterranea, ma il suo “ventaglio climatico” è molto più ampio. Già Plinio parlava del Nebbiolo come uva che a maturazione è immersa nella nebbia! E poi ancora i vitigni. Un esempio per tutti in Abruzzo in un cru caratterizzato da un suolo gessoso-solfifero, il Montepulciano oltre a dare un vino particolare assume una morfologia diversa!”.

“La geologia gioca un ruolo fondamentale sulle proprietà fisico-chimiche dei suoli, ma sono determinanti anche le condizioni climatiche che ne hanno guidato la formazione - ha concordato Diego Tomasi del Crea-Viticoltura Enologia di Conegliano - l’effettiva valorizzazione della geologia deriva dalle scelte del viticoltore a partire dall’impianto del vigneto in cui va conservata la stratigrafia dei suoli per proseguire con la conservazione e valorizzazione del terreno e la scelta della varietà. È il clima che determina le proprietà chimiche del suolo, come il pH, il contenuto in potassio e calcare, e quelle fisiche, come la tessitura, quindi lo stato idrico e il drenaggio, la profondità, quindi la riserva di acqua, il colore, la temperatura e i macro e microorganismi presenti. Insomma a parità di roccia madre si possono generare suoli diversi in climi differenti”.
Sono questi aspetti del suolo a condizionare la risposta della vite. Le caratteristiche fisiche determinano la disponibilità di acqua e di conseguenza l’espansione degli apparati radicali. In terreni in cui l’acqua è facilmente disponibile le radici sono poche, mentre più numerose sono in terreni sabbiosi: in questo caso la pianta deve investire molte energie nella loro produzione per raggiungere l’acqua. L’accrescimento dell’apparato radicale in competizione con la parte aerea si ripercuote sulla produzione di uva deprimendola. Diverse sono anche le risposte allo stress idrico tra varietà e varietà, ma anche l’adattamento ai diversi tipi di suolo. “Per esempio, il Cannonau - ha continuato Tomasi - in terreni argillosi, dove c’è una buona disponibilità idrica, dà vini più pieni, voluminosi e importanti. Il Pinot nero è “flessibile” adattandosi a terreni gessosi, calcarei, limosi e alle marne! Diversamente il Merlot va bene soltanto su ghiaia e argilla; il Riesling dà il meglio di sé soltanto in suoli calcarei e metamorfici; il Sauvignon su gesso e ghiaia. E variano le espressioni dei vini: il Tocai dà sentori aromatici e corpo più marcati su suolo argilloso rispetto alle grave. Al contrario il Raboso ha migliore qualità se posto su terreni magri che ne contengono il grande vigore. E proseguendo con gli esempi, la Garganega nel Soave su terreni calcarei mostra finezza, note floreali, eleganza e persistenza; su suoli basaltici prevale la frutta matura, le note speziate e la pienezza gustativa. Così la Glera dà Prosecco di maggior freschezza e floreali su suoli marnosi, mentre su quelli morenici l’equilibrio è maggiore e sui conglomerati emerge una complessità aromatica dominata dal frutto”.
Certo è che il “potenziale geologico” di un territorio vitivinicolo va esplorato: “è quello che stiamo facendo sui Colli Berici - ha raccontato Ponchia - qui fino a 150 anni fa non esistevano aziende, la prima è stata Villa da Schio a Costozza. Non si può quindi parlare di ricambio generazionale, ma di una generazione nuova di produttori. Abbiamo molte potenzialità. Dal punto di vista quantitativo siamo al massimo della superficie vitata possibile per una produzione di 50.000 ettolitri di vino, ma soltanto 17.000 vengono rivendicati come doc e solo 13.000 imbottigliati per un totale di 1.720.000 bottiglie. Confido che i produttori aumentino la fiducia nella denominazione perché il suo potenziale qualitativo è elevato. Le mode cambiano, ma la viticoltura non può andare “a tempo di click”, sono necessarie scelte soppesate e lungimiranti per deciderne il futuro”.
“La particolarità dei Colli Berici - ha concluso Tomasi - non risiede soltanto nella diversità dei suoli presenti, ma nel fatto che siano inalterati, che non siano stati interessati da sbancamenti o da rimodellamenti. Si tratta di un terroir che conserva caratteristiche originarie e tra cui vi è anche il paesaggio. Un paesaggio abbastanza incontaminato e, elemento importante da sottolineare, non interessato da una urbanizzazione spinta, che si rispecchia nella qualità percepita dei vini. Su questo aspetto ci sono diverse esperienze sperimentali che confermano quanto a un bel paesaggio conservato, valorizzato e ricco di identità corrisponda anche una percezione qualitativa dei vini migliore da parte del consumatore. Il terroir dei Colli Berici può vantare una sua identità e originalità cosa che in altre aree si fatica a trovare”.
Clementina Palese

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