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Vino & aste, la collezione privata di Giacomo Tachis al top della due giorni di Bolaffi-Slow Food (16-17 novembre, a Torino). Ilaria Tachis a WineNews: “grandi vini che vanno bevuti, parte del ricavato in beneficenza. Mio padre ne sarebbe felice”

Le grandi aste enoiche, ai giorni nostro, sono sempre più focalizzate su singole collezioni di grandi appassionati. Ma quella che andrà sotto il martelletto il 16 e 17 novembre a Torino, da Bolaffi (in collaborazione con Slow Food), sarà davvero unica e particolare, perchè si tratta niente meno che della cantina privati di Giacomo Tachis, padre nobile del vino italiano, prima firma del rinascimento enoico del Belpaese, grazie a quella “enologia colta” grazie alla quale Tachis ha dato vita a vini come il Sassicaia della Tenuta San Guido, il Tignanello ed il Solaia di Antinori, il San Leonardo della Tenuta San Leonardo, il Turriga di Argiolas, il Pelago di Umani Ronchi, il Mille e Una Notte di Donnafugata, il D’Alceo di Castello di Rampolla, solo per citare alcuni di quelli entrati nel mito del vino italiano.
Una scelta, quella di mettere in asta la collezione di Giacomo Tachis che la figlia Ilaria, a WineNews, spiega così: “ho dovuto spostare i vini di papà nella mia cantina, ma non c’era spazio per tutti. E poi, ho pensato che queste grandi bottiglie è giusto che vengano bevute dagli appassionati, noi non possiamo farlo da soli. E ho pensato anche che al babbo avrebbe fatto piacere, come gli farà piacere che parte del ricavato dell’asta andrà in beneficenza, in parte all’associazione Luca Coscioni, che si occupa di temi come le libertà civili ed i diritti umani, la ricerca scientifica, le scelte sul fine vita e così via, che ai miei genitori stavano particolarmente a cuore, e in parte alla comunità di San Casciano Val di Pesa”.
E così, i vini messi insieme negli anni da Tachis, (con vecchie annate di Gaja, Bartolo Mascarello, Solaia, Tignanello, Vietti, Sandrone, Biondi Santi, Casale Falchini, Castello di Ama, Castello dei Rampolla, Montevertine, Ornellaia, Castell’In Villa, Querciabella, Col d’Orcia, Argiolas, Santadi e non solo) saranno i grandi protagonisti della due giorni d’asta che vede in catalogo complessivamente 1.368 lotti, per un valore di catalogo di 660.000 euro, tra cui spicca anche un notevole assortimento di San Leonardo della cantina privata della Tenuta San Leonardo, e diverse bottiglie di uno dei produttori mito di borgogna, Domaine Leroy (il top lot sono 5 bottiglie di Musigny Grand Cru 2002, base d’asta 12.500 euro.

Nel dettaglio, spiega Bolaffi in un comunicato stampa (www.astebolaffi.it/it/auction/607), Giovedì 16 novembre alle ore 10 apriranno la prima sessione vini italiani ed esteri da cantine prestigiose (lotti 1-404) e, a seguire, la collezione monumentale di un esperto del settore “parte prima” con bottiglie dalle principali regioni italiane (405/545) tra cui, dal Piemonte, sette magnum di Barolo Monfortino Riserva 2008, Giacomo Conterno (lotto 464, base 3.500 euro).
Come gran finale della prima sessione, ci sarà proprio la collezione personale di Giacomo Tachis (lotti 546/608) con la Toscana a fare da regina con una straordinaria Verticale di Sassicaia Tenuta San Guido, composta da 18 bottiglie dal 1968 al 2003 (lotto 578, base 4.200 euro).
Dopo la degustazione su invito “San Leonardo in tre decenni”, che vedrà la partecipazione del Marchese Anselmo Guerrieri Gonzaga, la seconda sessione serale dalle ore 19:45 avrà come protagonisti proprio i vini di San Leonardo provenienti sia dalla selezione di Giacomo Tachis (lotti 609/624), sia dalla cantina privata della Tenuta San Leonardo stessa (lotti 625/628).

Venerdì 17, sarà ci scena la terza e ultima sessione con inizio alle ore 10. Sotto il martelletto la collezione monumentale di un esperto del settore “parte seconda” con vini dalla Toscana, la Francia e il resto del mondo (lotti 629/1264). Tra i Bordeaux spiccano due bottiglie di Cheval Blanc 1947 (lotti 742 e 743, base 1.500 euro ciascuno) e due di Petrus 1945 (lotti 782 e 783, base 3.500 euro ciascuno).
Questa sessione include il top lot dell’intera vendita, cinque bottiglie di Musigny Grand Cru 2002, Domaine Leroy (lotto 956, base 12.500 euro), cui si aggiunge un’eccezionale selezione dei prestigiosi Domaine di Borgogna Leroy e d’Auvenay e, tra gli champagne, una bottiglia di Cristal 2002 Louis Roederer nel prestigioso formato da sei litri in cassa originale in legno (lotto 1198, base
3.000uro).
Chiuderà l’asta il capitolo dei distillati di pregio (lotti 1265-1368) con un’importante selezione di Macallan tra cui “The Macallan 1940 Bottled in 1981” (lotto 1346, base 2.700 euro); tra i rum si segnala una bottiglia di Saint James 1885 in confezione originale (lotto 1283, base 5.000 euro) mentre, tra i cognac, una bottiglia da 0,70 litri di “A.E. Dor Tres Vieille Cognac Reserve n.5 1840, Louis Philippe” in cassa originale in legno (lotto 1273, base 3.700 euro).
“Dopo Luigi Veronelli, che nel 2015 ha sancito il debutto di questo fortunato dipartimento della nostra casa d’aste - commenta Filippo Bolaffi, ad Aste Bolaffi - ci pregiamo di poter proporre nuovamente la selezione personale di un altro maestro dell’enologia italiana, Giacomo Tachis. Acquistare grandi vini è una bella esperienza; poter acquistare grandi vini appartenuti a un maestro è invece un’esperienza irripetibile. Aste Bolaffi, ancora una volta, offre questa possibilità, e ne vado molto fiero”.

Focus - Il racconto di Ilaria Tachis sul catalogo Bolaffi
“Era l’estate del 2013 e decisi di addentrarmi nella cantina in casa di mio padre, dove riposavano centinaia di bottiglie di vino che da diversi anni nessuno aveva più messo in ordine. Il babbo purtroppo non poteva più occuparsene a causa della malattia, mia madre riponeva in questa stanza da vari anni omaggi o campioni che continuavano ad arrivare ogni anno per Natale da amici e conoscenti. Mi resi subito conto che non si trattava di un lavoro semplice: lì dentro si celava una vita di lavoro, di passione, di ricordi e memorie provenienti da tutta Italia e anche da qualche altro Paese del mondo. Chiamai la mia cara amica Patrizia, che sapevo, mi avrebbe volentieri aiutato in questa impresa che è durata circa due mesi. Per prima cosa cercammo tutti i vini bianchi e gli spumanti, poi tirammo fuori i Cognac, le grappe, i porti, i rum, il mirto di Sardegna di cui Giacomo era un grande consumatore e estimatore, i vecchi Marsala e alcune bottiglie di brandy, infine bottigliette e campioncini impolverate dal tempo e ripiene di estratti naturali di aromi interessantissimi e che contribuivano a rendere l’aspetto di questa cantina simile al laboratorio di uno stregone\ alchimista!
Accanto a queste bottiglie i grandi nomi di Gaja, Prunotto, ma anche i Dolcetti e i Barbera di Bera (molto amico di Giacomo!), qualche Moscato frizzante, dolce, amatissimo la domenica col dessert da tutta la famiglia. Non mancavano poi i vini della Tenuta San Leonardo del Trentino, moltissime le annate e le bottiglie generosamente donate al babbo ogni Natale dal Marchese Guerrieri Gonzaga, un “vero Signore”, a detta di Giacomo, “un amico fedele con un grande cuore e un animo gentile”.
Accanto al vino, il miele di San Leonardo, che il Marchese Carlo non dimenticava mai di rifornire, di cui Giacomo ne faceva grande uso a colazione soprattutto in inverno. Gli anni della consulenza alla Tenuta San Leonardo furono anni molto felici: ricordo che si recava davvero volentieri tra i vigneti a gradoni e i castelli del Trentino, un’eccezione alla regola considerato che Giacomo amava intensamente la natura più calda e luminosa del Mediterraneo, delle isole e delle coste. Ma il rispetto e la stima per il Marchese Carlo sono sempre stati una costante della sua vita professionale e i vini di San Leonardo tra i più amati.
E scendendo più a sud, verso la Toscana, gli adorati vini del Castello dei Rampolla, vini che il babbo assaggiava e riassaggiava costantemente, lodandone ogni volta la qualità eccelsa. Più che vini, direi figli, figli desiderati e amati nel senso più intimo del termine. Amata la zona di produzione, i vitigni, il tipo di allevamento della vite, il clima e il terroir in generale, ma soprattutto grande feeling con i produttori, il Principe Alceo e sua moglie Livia erano davvero parte delle nostre amicizie più care, un affetto che poi si è esteso a tutti i loro figli. Ma non solo il Castello dei Rampolla in Chianti Classico hanno reso i giorni di mio padre lieti in Toscana.
Come non ricordare i vini da lui creati per Antinori: il Tignanello e il Solaia tra i più conosciuti; rammento le lunghe giornate di fine estate trascorse ad assaggiare le uve nelle vigne di Santa Cristina e Badia a Passignano, uve che hanno prodotto alcuni tra i grandi vini di Toscana nel corso degli anni. Penso anche alle giornate settembrine e ottobrine che ogni tanto mi capitava di passare con lui a Bolgheri, la mattina nelle terre degli Antinori, vicino al mare, il pomeriggio in collina, al di là dell’Aurelia, nelle vigne dei loro cugini, gli Incisa della Rocchetta e nella cantina situata all’inizio del viale dei Cipressi di Bolgheri, dove ci si fermava a controllare i vini in fermentazione nei tini, per poi rientrare a casa in serata. Mai però senza aver fatto rifornimento di frutta, verdura e formaggi dai tanti coltivatori diretti che si trovano lungo l’Aurelia con cui il babbo era diventato amico nel corso degli anni! Comprendere la terra e amarla, significa captarne e apprezzarne l’anima di tutti i frutti che da questa nascono e il cui sapore ingentilisce e addolcisce la vita e il duro lavoro degli uomini. Da Bolgheri tornava sempre felice, gli piaceva il clima, il venticello e l’aroma dell’aria.
Anche Montalcino era tra le tappe più amate in Toscana, io andavo spesso e volentieri in giro con lui, mi piaceva godere dell’atmosfera della tradizione del tempo passato che si percepiva nelle fattorie toscane. Ricordo il fascino del Castello di Argiano, la grande villa e le maestose vigne circostanti, le cantine antiche con le volte e i muri anneriti dal tempo e le grandi botti e le piccole barrique dove riposava e maturava il famoso Brunello di cui tanto si parla nel mondo. Non mancavano mai gli stop culinari e gastronomici: la trattoria il Pozzo a Sant’Angelo e un panificio a Buonconvento dove si acquistavano i biscottoni fatti in casa e le “ossa di morto” da accompagnarsi al Vinsanto o al Moscadello.
Le svettanti torri di San Gimignano sono invece riconducibili all’amico del cuore di mio padre, Riccardo Falchini, il produttore di Vernaccia e di un vino rosso di grande intensità organolettica “il Campora”, un taglio bordolese tra i primi a nascere in quella zona. Ma di Falchini il babbo celebrava sempre lo Spumante, prodotto con metodo champenoise a base di Vernaccia che non mancava mai sulla tavola la domenica a cena quando la famiglia Falchini si univa regolarmente alla nostra. Le memorie legate alle consulenze di Giacomo sono davvero assai numerose così come tutti i vini presenti nella cantina, ma gli ultimi anni della sua vita furono arricchiti dalla cultura delle isole del Mediterraneo, quasi una ricerca, un viaggio “calamitico” verso le origini della pianta di “vite”.
Qui Giacomo trovò la sua patria di elezione: la Sardegna e la Sicilia, l’isola della natura la prima, l’isola della cultura la seconda, forse con un debole verso la prima. La famiglia Argiolas e il presidente della cantina sociale di Santadi Antonello Pilloni, possono confermarlo a voce alta: in Sardegna Giacomo trovò, tra gente rimasta appartata e quasi isolata dal resto del mondo una facoltà primitiva di mescolare la realtà alla leggenda e al sogno. Da questa esperienza nacquero il Turriga di Argiolas e il Terre Brune presso la Cantina di Santadi. Concludo con una frase di Fabrizio De Andrè: “La vita in Sardegna è forse la migliore che un uomo possa augurarsi: ventiquattro mila chilometri di foreste, di campagne, di coste immerse in un mare miracoloso dovrebbero coincidere con quello che io consiglierei al buon Dio di regalarci come Paradiso”. E in questo Paradiso spero che ora dimori il suo spirito”.
Ilaria Tachis

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