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Dal Chianti Classico allo Champagne, da Jerez alla Willamette Valley in Oregon e tante altre denominazioni del mondo, tutti (sempre più uniti) nel segno del territorio di origine dei vini: il messaggio della “Chianti Classico Collection” 2017

Italia
Tutti, sempre più uniti, nel segno del territorio di origine dei vini

Il legame del vino con il suo territorio di origine, concetto chiave alla base del sistema delle denominazioni, è un must delle viticoltura europea, e di fatto, impronta le produzione dei Paesi più importanti, dall’Italia alla Francia, dalla Spagna al Portogallo. Ma ora sta prendendo sempre più importanza anche nei Paesi di stampo anglosassone, dagli Usa all’Australia, dove fino ad ora ha prevalso il vitigno nei criteri di scelta dei consumatori, e la tutela de marchio commerciale registrato, o del brand, a livello legislativo. Un processo importante per i produttori di vino di qualità del mondo, e che può continuare a consolidarsi solo se i territori più importanti di ogni Paese produttori, Usa in testa, si mettono insieme. Ed è quello che è successo, e che sta succedendo, con la “Joint Declaration to Protect Wine Place & Origin”, associazione di cui fanno parti 20 Regioni prestigiose del mondo (Bordeaux, Borgogna e Champagne in Francia, Tokaj in Ungheria, Jerez e Rioja in Spagna, Douro & Porto in Portogallo, Sonoma County, Willamette Valley, Walla Walla Valley, Napa Valley, Washington State Wine, Long Island, Santa Barbara, Oregon e Paso Robles negli Usa e, dal continente australe, Barossa, Wine Victoria e i vini della Western Australia), “ospite d’onore” del Chianti Classico, unica realtà del Belpaese che ne fa parte, oggi, nella “Chianti Classico Collection”, a Firenze.
“Qui sono sedute una parte della più importanti denominazioni del mondo, unite - ha detto il dg del Consorzio del Vino Chianti Classico, Giuseppe Liberatore - dal fatto che il concetto di territorio è insito in quello di denominazione, non esiste denominazione senza un territorio preciso e delimitato, che ha un rapporto stretto con la reputazione dei prodotti che nascono da questo territorio. Il Chianti Classico si basa su questo aspetto e lo comunica, quando siamo in giro per il mondo. Abbiamo vini di grande qualità, ovviamente, ma quello che esprime il territorio, l’evocazione che suscita è quello che ci da quel qualcosa in più che è fondamentale”. Visione condivisa da Jean Marie Barillére, presidente del Comitè Champagne, a tutela di uno dei territori vinicoli più prestigiosi del mondo, che, con il Chianti Classico, ha stretto anche una sorta di “gemellaggio” particolare: “per noi il territorio, il luogo di produzione, è un asset vero, un valore aggiunto, è ciò che cerca il consumatore, che sempre di più vuole mettere a fuoco l’origine del prodotto. È un valore collettivo che appartiene a tanti, ma oggi è meno tutelato della singola marca. Per capirci, il marchio Moët & Chandon, per citare uno dei più famosi, è più protetto della denominazione Champagne. E per noi non è normale, vorremmo che il nome collettivo avesse una tutela maggiore del singolo marchio, ed arrivare a questo in Paesi con un’ottica anglosassone è difficile. Alcune Denominazioni di origine oggi non sono protette in molti Paesi che sono fondamentali, ed è importante parlarne anche negli accordi di libero scambio, per esempio. Per un americano o un asiatico, ancora, il concetto di territorio non ha il valore che ha per gli europei. Il nostro obiettivo è che il nome collettivo abbia la stessa protezione del marchio registrato, e questo si può raggiungere solo se tante denominazioni del mondo si muovo tutte insieme. Da soli siamo piccoli, tutti noi, rispetto al mondo (e in Champagne si producono oltre 300 milioni di bottiglie ogni anno, ndr), stare insieme ci da la legittimità sufficiente per farci sentire a livello politico”.
“Per uno obiettivo così, un’alleanza tra territori è fondamentale - ha aggiunto Cèsar Saldana, direttore del Consejo Regulador de Las Denominaciones de Calidad del Marco de Jerez - quello della tutela del marchio del territorio è un tema fondamentale che abbiamo vissuto sulla nostra pelle per anni con lo Sherry (Jerez in spagnolo), nome che veniva utilizzato anche per prodotti realizzati in altre parte del mondo, dall’Australia al Sudafrica, fino al Canada, dove siamo riusciti, con grande fatica, ad arginare questa situazione. Cosa diversa negli Stati Uniti, che sono un vero e proprio campo di battaglia ancora aperto, in questo senso. Ed è un problema comune a tante denominazioni, ed è per questo che è fondamentale mantenere vive certe alleanze. Conosciamo le Doc europee, ma anche le Ava’s americane, per esempio. Dobbiamo convincere il mondo che il sistema della denominazione di origine è un sistema di tutela che vale per tutti, per i produttori e per i consumatori, perchè tutti sappiamo quanto contano oggi l’autenticità e la tipicità di un prodotto, e la garanzia di questi valori”.
Eppure, proprio nel mondo anglosassone, o meglio americano, le cose stanno cambiando di più, come testimonia il fatto che sia “made in Usa” la più nutrita rappresentanza dei membri della “Declaration”. “In effetti anche in America il consumatore guarda sempre di più all’origine dei vini che sceglie - ha sottolineato Harry Peterson-Nedry, storico produttore della Willamette Valley e membro dell’Oregon Wine Board - ed è una concezione che nel mio territorio abbiamo dalle origine. Cinquant’anni fa, quando i primi produttori iniziarono a dare vita alla viticoltura in Oregon, cercarono un luogo dove produrre e realizzare un vino eccellente, più che un marchio da spendere. Ma abbiamo capito da subito l’importanza dell’origine del vino, e abbiamo regole molto rigide, simili a quelle di alcune denominazioni europee: se nella nostra etichetta scriviamo Pinot Nero, vuol dire che in bottiglia di deve essere almeno il 90% di Pinot Nero, e se c’è scritto Willamette Valley l’uva deve provenire al 100% dal territorio. È questa filosofia che ci mette in sintonia con altre regioni del mondo, e ci rende sensibili al tema della tutela dei territori. I consumatori cercano il legame con l’origine, è diventata una aspettativa importante quando qualcuno compra una bottiglia divino. I consumatori americani sanno cosa cercano, e sanno cosa evitare, cercano la magia nel vino, ed è per questo che le Ava hanno sempre più significato, identificano la sorgente del vino, che non è l’uomo o il marchio, ma il territorio”.

Certo, a volte qualche difficoltà si crea anche dall’interno dei singoli territori o Paesi. “Il caso della confusione che molti fanno ancora tra Chianti e Chianti Classico è un esempio lampante - ha aggiunto il Master of Wine Bill Nesto, autore del libro “Chianti Classico: The Search for Tuscany’s Noblest Wine”, dedicato al Sangiovese - e nonostante i tanti sforzi che il Consorzio fa per spiegare al differenza nel mondo, molti consumatori ancora non la capiscono. Per questo, oltre che una tutela dalla contraffazioni nel mondo, è fondamentale anche un’opera di educazione e divulgazione”. “Questo problema di percezione esiste - sottolinea Liberatore - la parola che conoscono tutti è Chianti, non è “Classico” che nel mercato di massa ci aiuta a distinguerci. Ma il nostro marchio, il Gallo Nero, ci aiuta, è unico nel panorama vitivinicolo mondiale, molti spesso fanno riferimento al “Chianti Gallo Nero”. Ma va detto che, nonostante questa confusione, il mercato riconosce il valore aggiunto del Chianti Classico,
i nostri vini quotano mediamente 2-3 volte il Chianti, quindi è vero che serve educazione per risolvere un problema storico, nato molti anni fa, ma non va così male.
Oggi abbiamo tanti strumenti anche per monitorare l’uso improprio del nostro marchio, anche nei mercati mondiali, e anche pensando all’ecommerce e al digitale, noi siamo in grado in 72 ore di far togliere quel prodotto dal mercato, grazie all’accordo tra il Ministero delle Politiche Agricole e i più importanti motori di ricerca e di ecommerce come Amazon, Alibaba o Ebay”.
Ma quello della tutela del marchio del Chianti Classico è proprio uno dei temi al centro dell’accordo tra il Consorzio del Gallo Nero e lo Champagne: “per l’accordo che abbiamo sottoscritto, ringrazio i Sindaci delle città di Firenze e Reims, Dario Nardella e Arnaud Robinet e i due Presidenti del Comité Champagne, Maxime Toubart e Jean-Marie Barillère - afferma, in una nota, Sergio Zingarelli, presidente del Consorzio Vino Chianti Classico - la nostra collaborazione ci ha visto già insieme il 24 settembre per celebrare i 300 anni del Chianti Classico ed a dicembre abbiamo dato vita ad un patto molto importante che prevede la condivisione delle nostre esperienze nella gestione delle rispettive governance, in materia di tutela legale delle due denominazioni di origine nei paesi terzi (extra Ue), nelle politiche di sviluppo turistico e nella valorizzazione del patrimonio culturale delle nostre appellazioni. Entrambi abbiamo infatti tradizioni secolari protette e fatte crescere dal genio e dall’arte, rappresentiamo due paesi che raccontano ogni giorno la bellezza e la straordinaria capacità di saper valorizzare il proprio patrimonio naturale: questo accordo sancisce e rafforza la collaborazione tra due realtà diverse ma basate su valori comuni”.
Ma tra i progetti in campo, spiega Liberatore, c’è anche il “riconoscimento del Chianti Classico come Distretto Rurale, che chiama in campo la collaborazione tra pubblico e privato per lo sviluppo del territorio. Oltre che il raggiungimento dell’inserimento del Territorio del Chianti nella lista dei patrimoni Unesco. E su questo va sottolineato che in quello che si chiama territorio del Chianti, geograficamente, ai fini Unesco, si produce il Chianti Classico, mentre il Chianti “generale” si produce fuori da questa zona. In ogni caso, gli amici dello Champagne, che al riconoscimento Unesco sono già arrivati, ci potranno aiutare sicuramente, e speriamo di essere nella “tentative list” già all’inizio del 2018.

Focus - La “Joint Declaration to Protect Wine Place & Origin”

“When it comes to wine, location matters”, ovvero quando si parla di vino, è il luogo che conta”: così recita lo slogan di apertura del sito www.origins.wine, che illustra i motivi per cui 20 fra le più prestigiose regioni vitivinicole del mondo hanno sottoscritto un accordo per la protezione e promozione dei nomi e dell’origine dei vini (“Joint Declaration to Protect Wine Place & Origin”). Si tratta di un movimento transnazionale nato nel 2005 per tutelare le denominazioni d’eccellenza e orientare il consumatore di fronte a un’offerta enologica in costante espansione. Una sorta di mappatura mondiale dei territori vocati alla produzione di grandi vini, a cui ha aderito nel 2007 anche il Chianti Classico, unico distretto enologico italiano a sposare il progetto.
Il progetto della Declaration nasce per garantire la riconoscibilità delle produzioni d’eccellenza sui mercati internazionali, fornendo una sorta di garanzia d’identità alle etichette di pregio, prodotte in territori altrettanto prestigiosi. Più che un’organizzazione, si tratta di un’alleanza trasversale che si propone di collaborare con governi locali e con la Comunità Europea affinché vengano offerte maggiori garanzie contro marchi contraffatti ed etichette menzognere.
La storia della Declaration ha origine proprio negli States, dall’alleanza tra alcune aree vocate alla produzione enologica, distribuite tra gli stati di Oregon, New York, Washington, oltre alla rinomata California, le cui etichette sono tra le più conosciute oltre-oceano. Oggi il movimento di protezione internazionale del vino di qualità conta 20 regioni celebri nel mondo, tra cui oltre al Chianti Classico in Italia, Bordeaux, Borgogna e Champagne in Francia, Tokaj in Ungheria, Jerez e Rioja in Spagna, Douro & Porto in Portogallo; Sonoma County, Willamette Valley, Walla Walla Valley, Napa Valley, Washington State Wine, Long Island, Santa Barbara, Oregon e Paso Robles negli USA e per finire dal continente australe, Barossa, Wine Victoria e i vini della Western Australia.
Il Chianti Classico è stata la prima (e fin qui unica) denominazione italiana ad aderire al progetto, sulla scia di una serie di interventi intrapresi per l’internazionalizzazione, ma anche per la tutela del marchio a livello transnazionale. Per fare un esempio dei “successi” della Declaration, nel 2016, cinque aziende della Napa Valley hanno rinunciato spontaneamente all’utilizzo del nome Porto sulle etichette dei loro vini da dessert fortificati. Inoltre, la coalizione è riuscita a proteggere i nomi dei “luoghi dei vini” nel mondo online. I membri della Declaration hanno lavorato con Donuts, concessionario americano per i domini online, su un accordo per garantire che i domini con estensioni .wine e .vin. non venissero usati per confondere o trarre in inganno il consumatore finale. Grazie a questo accordo, il sistema delle denominazioni di origine dei vini europee ha ottenuto una sorta di diritto di prelazione per la titolarità dei domini sopra citati (ad esempio, chianticlassico.wine e .vin).
Perché quando si tratta di vino, non c’è niente di più importante dell’origine, quell’insieme costituito da territorio, vitigno, forme di coltivazione e clima. E i consumatori hanno diritto di conoscere le vere Origini di ciò che bevono. Per fare un esempio dei “successi” della Declaration, nel 2016, cinque aziende della Napa Valley hanno rinunciato spontaneamente all’utilizzo del nome Porto sulle etichette dei loro vini da dessert fortificati. Inoltre la coalizione è riuscita a proteggere i nomi dei “luoghi dei vini” nel mondo online.
I membri della Declaration hanno lavorato con Donuts, concessionario americano per i domini online, su un accordo per garantire che i domini con estensioni .wine e .vin. non venissero usati per confondere o trarre in inganno il consumatore finale. Grazie a questo accordo, il sistema delle denominazioni di origine dei vini europee ha ottenuto una sorta di diritto di prelazione per la titolarità dei domini sopra citati (ad esempio, chianticlassico.wine e .vin). Perché quando si tratta di vino, non c’è niente di più importante dell’origine, quell’insieme costituito da territorio, vitigno, forme di coltivazione e clima. Ed i consumatori hanno diritto di conoscere le vere Origini di ciò che bevono.

Focus - Il testo della Declaration ...

Dichiarazione congiunta per la protezione del luogo e dell’origine del vino


Dato che è universalmente riconosciuto che sulla terra esistono pochi luoghi veramente straordinari dai quali vengono prodotti grandi vini;
dato che i nomi di questi luoghi vengono stampati sulle etichette, a fianco ai nomi dei produttori, per identificare l’origine del vino stesso;
dato che il vino, più di ogni altra bevanda, ha un valore basato sulla sua associazione con il luogo di origine - e per ottime ragioni;
dato che, ancora prima che la tecnologia moderna ci permettesse di abbinare specifiche definizioni ai suoli, al terreno e ai climi di rilevanti regioni vinicole, i viticoltori erano stati attratti da questi luoghi speciali;
dato che i nomi di questi luoghi sono familiari e sinonimi di qualità;
dato che, rispettosamente, ribadiamo che il luogo di produzione del vino gioca un ruolo molto importante nel processo di selezione da parte del cliente;
dato che siamo inoltre uniti nella nostra convinzione che il nome geografico delle regioni vinicole costituisca il solo diritto di nascita delle uve che vi sono coltivate, e quando questi nomi di luogo appaiono sui vini che non contengono frutta di quelle regioni perdono la loro integrità e la loro rilevanza, diventando vuote parole:

venga deliberato pertanto che noi, in qualità di alcune delle regioni vinicole di punta a livello mondiale, facciamo gruppo coeso nel sostenere gli sforzi per preservare e proteggere l’integrità di questi nostri toponimi, strumenti fondamentali per l’identificazione da parte del consumatore delle grandi regioni produttrici di vino e dei vini che producono.

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