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“Dico Barolo e penso a Cavour. Montalcino, freddo e roccioso, è un posto per duri, il Chianti Classico fa molto “contessa”. L’Etna? È il riscatto della Sicilia”. Tra vino, territori, bellezze, così Philippe Daverio si è prestato al gioco con WineNews

Italia
Tra vino, territori, bellezze, così il critico d’arte Philippe Daverio si è prestato al gioco con WineNews

“Se penso alla Valpolicella, la prima cosa bella che mi viene in mente sono le sue ville ducali e, prima ancora, l’eredità dei monasteri longobardi nella produzione di vino”, Amarone in primis. “Barolo? Penso a Cavour, ma anche ai castelli perfettamente preservati in cima alle colline baciate dal sole, in un paesaggio piemontese che non ci sarebbe senza il vino. Se dico Bolgheri, penso ad un’invenzione recente, molto romantica e simpatica, dovuta alle famiglie fiorentine e senesi che vi comprarono terreni dopo l’Unità d’Italia, ed ai suoi echi letterari, da “La cavallina storna” al viale dei cipressi”, attorno al quale nascono etichette-mito. “Montalcino è invece un posto per duri: penso alla sua cittadina, al freddo che fa in inverno, e al rapporto tra l’uomo, le pietre e la terra” del Brunello. “Il Chianti Classico fa molto “contessa”, bella tenuta e giardino all’italiana ben tenuto, con le siepine dentro e fuori la cultura del Chianti”. E poi c’è Montefalco “che mi fa venire in mente il massimo dell’aristocrazia federiciana con le aquile imperiali sulle sue porte, ma anche il mondo dei francescani con il ciclo di affreschi di Benozzo Gozzoli. Ma penso anche a un vino come il Sagrantino, che non era noto, e che oggi potrebbe invece dialogare con i grandi vini italiani”. Parola del celebre critico d’arte Philippe Daverio che, con WineNews si è prestato ad un gioco di associazione di idee tra i territori del vino italiano e le loro bellezze. Come l’Etna che, per il maître à penser, è il simbolo “del riscatto della Sicilia, se penso ad un paesaggio che in 30 anni è passato dall’essere brullo a verde, grazie ai vigneti, e ad una trasformazione rurale che ha avuto nel vino l’unica base positiva”. Infine, “se penso alle bolle italiche la mente torna in Veneto, e alla loro invenzione con l’Unità d’Italia, grazie allo spirito di emancipazione che invade la nuova borghesia - penso ad Antonio Carpené, chimico e mazziniano che dialogava con Robert Koch e Louis Pasteur - che decide di affrontare la realtà territoriale”.

“Il vino cambia il paesaggio. Il nostro paesaggio non è barbarico. Ogni tanto litigo con i verdi analfabeti che pensano di tornare alla primordialità. Ecco il vino è la riprova che il paesaggio è bello se non è primordiale - spiega il professor Daverio - il primo insegnamento ce lo dà l’affresco del “Buon Governo” di Ambrogio Lorenzetti nel Palazzo Pubblico di Siena, dove la campagna è perfetta perché è coltivata, e il vino ci consente di farlo perché dà valore economico ad un ettaro di terreno. Solo il valore economico salva la realtà agricola, ma questo purtroppo non avviene con altre colture”.

“Un legame diretto tra il vino e il mondo dell’arte non esiste mai - sottolinea il celebre critico - ma con la cultura sì. Quando poi tutti questi elementi si combinano, il vino, come un’opera d’arte, diventa icona di uno stile. Quando Mozart fa cantare al Don Giovanni le lodi del Marzemino fa un’operazione di promozione pubblicitaria inestimabile: crea un mito, e noi oggi dovremo fare altrettanto”.

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