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Social media, marketing e vino, la ricreazione è finita: per avere una presenza stabile ed efficace sui “social” improvvisare non basta più. Servono le giuste professionalità e sapere che pur sempre di investimenti si parla. Emerge a “Wine2Wine”

Italia
Vino e social, non si deve più improvvisare

Se mai c’è stato un tempo in cui il “far west” dei social poteva tentare i player del mondo del vino italiano a provare ad affermare una presenza aziendale, anche senza sapere prima esattamente come farlo, quel tempo non solo non è più qui, ma è stato sostituito da una fase nella quale i social media sono divenuti uno strumento imprescindibile della comunicazione online del settore; quindi, vanno approcciati con la consapevolezza del fatto che per massimizzare il ritorno sull’investimento non è possibile utilizzarli senza sapere esattamente le competenze che è necessario mettere in gioco. Da “Wine2Wine” (www.wine2wine.net) è questo il messaggio che è risuonato, inequivocabile, dal panel composto da Davide Macchia (BeSharable), Simone Grossi (Studio Samo) e Filippo Marini (Marchesi de’ Frescobaldi).
Il panorama attuale è stato ben dipinto dai risultati di una ragguardevole ricerca su come decidono di comunicare online le aziende del vino tricolore, condotta su quasi 3.500 produttori da BeSharable. Le aziende “offline” hanno visto i propri fatturati scendere di quasi cinque punti percentuali, rispetto alla moderata crescita di quelle “connesse” (+1,2%), e dal punto di vista linguistico il 96% del campione utilizza almeno l’inglese. Il 95% esporta e il 90% delle rimanenti vorrebbe farlo: quasi la metà (43%) si è già affidato alla vendita telematica diretta, vuoi in-house che tramite strutture di terzi. Il 94% dei produttori presi in esame ha un sito, e tre su quattro hanno una presenza su Facebook - anche se questo non implica necessariamente l’uso di una pagina aziendale vera e propria. A seguire, la “classifica” delle piattaforme social vede Twitter, con circa il 30% del campione, Instagram (13%) e un interessante percentuale di aziende che hanno, o intendono attivare a breve, un blog (circa il 10%). Entro l’inizio del 2015 il 48% delle aziende interpellate ha intenzione di espandere la propria impronta digitale online, ma analizzando chi gestisce nei fatti tale presenza si presentano le prime criticità: la maggioranza relativa delle aziende interpellate da BeSharable (46%) non ha un addetto alla comunicazione, mentre un 43% ha una figura deputata a questi compiti, il 13% si affida a professionalità esterne e un 7% non ha nessuno di immediatamente identificabile a tale scopo. Ergo? E’ necessario cambiare radicalmente atteggiamento nei confronti di questi mezzi, secondo Davide Macchia: si deve essere proattivi e innovare rispetto alla concorrenza, relazionarsi direttamente col proprio target, comunicare “glocalmente”, aprirsi all’e-commerce, puntare alla creazione di una vera e propria comunità intorno al proprio brand, affidarsi a degli esperti e farlo per raccontare, prima di tutto, la carica emotiva e sensoriale delle proprie etichette e del loro processo produttivo.
Dello stesso avviso è anche Simone Grossi di Studio Samo che, partendo dal case study della promozione sui social proprio di “Wine2Wine”, ha sottolineato come la presenza su queste piattaforme debba essere affrontata proprio come un qualsiasi altro investimento pubblicitario, cercando di massimizzare i ritorni, spingendo contenuti verso la propria platea e usando il proprio sito come punto di snodo centrale del traffico in entrata e in uscita da e verso le varie piattaforme social e di promozione digitale, senza “partigianerie” verso l’una o l’altra.
In conclusione, a fornire un esempio pratico del successo possibile dei brand del vino italiano sui social media ha pensato Filippo Marini di Marchesi de’ Frescobaldi, che ha esordito sottolineando la necessità di partire da un piano strategico omnicomprensivamente “digital”. Successivamente, le aziende dovrebbero dedicare uno spazio di colloquio e di interazione ben definito con gli attori delle piattaforme digitali come i blogger, analizzando continuamente i dati per avviare un circolo di feedback virtuoso e puntando sul coinvolgimento attivo della platea. L’obiettivo non è il singolo “like”, per usare l’esempio di Facebook, ma l’avvio di una conversazione, di un “buzz”, che coinvolga non solo l’appassionato ma, idealmente, anche la sua cerchia di contatti. Un piano editoriale è uno strumento più che utile per calibrare il tono della propria comunicazione, insieme alla creazione di un modello di relazione fra azienda e consumatore che sia chiaro e coerente con l’immagine del produttore e dei suoi vini nel suo complesso.

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