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“DALLA CRITICA DELLA RAGION PURA” A “CRITICA DELLA RAGION CRITICA”: IL CRITICO ENOGASTRONOMICO TRA KANT E IL PRESENTE DI SCENA AL CONGRESSO DEI SOMMELIER. CON IL “VADEMECUM” CHI DI DEVE RACCONTARE (E CRITICARE) IL LAVORO DI ALTRI AL GRANDE PUBBLICO

Che il web 2.0 stia cambiando il ruolo e il modo di fare critica, anche nell’enogastronomia, è un fatto. Sugli effetti positivi o negativi della pluralità di voci, autorevoli o meno, che, a differenza di un tempo, può dire la sua su questo o quello, invece si discute. Ma c’è chi si interroga anche sul ruolo del critico tout court, come ha fatto l’Associazione Italiana Sommelier nel congresso nazionale di Roma. Stilando anche una sorta di vademecum, firmato da Simone Revelli, che ha “scomodato” un mostro sacro del pensiero illuminista come Kant, parafrasando la sua “Critica della ragion pura” in “Critica della Ragion Critica”. Richiamando i critici a interrogarsi su la necessità di chiarire le Possibilità e le condizioni che permettono l’analisi (vero significato di “critica”), la Validità, cioè la legittimità dell’analisi, e infine i Limiti, i confini, gli ambiti nei quali essa si esercita. E a muoversi, ora e sempre, secondo certi criteri. Come la Credibilità, che si basa sulla compresenza di competenze riconosciute e interesse suscitato nei lettori; la Consapevolezza che i lettori non possono partecipare al momento in cui il critico degusta, per cui serve maggior sforzo per raccontare; il Saper divulgare, perché raggiungere il cuore e le emozioni dell’interlocutore dovrebbe essere l’ambizione costante di ogni divulgatore; il Rispetto che serve, nel bene e nel male, nel giudicare il lavoro degli altri; il Coraggio di dire, comunque, quello che si pensa, andando anche controcorrente; la Modestia che deve coltivare l’esigenza di migliorarsi incessantemente; la Discrezione, sia perché non è etico sfruttare, direttamente o meno, la propria posizione di critico, sia perché così è più facile vivere (e giudicare) un’esperienza simile a quella del consumatore comune; l’Indipendenza, nel senso che la formulazione dell’opinione non dovrebbe essere influenzata da alcun elemento al di fuori dell’esperienza diretta rivolta all’oggetto della critica. Una riflessione, si potrebbe dire, sul ruolo di critico del vino, che deve confrontarsi con una realtà oggettiva: nonostante l’aumento dell’interesse, delle riviste, del “buzz”, come dicono gli anglosassoni, sul mondo di Bacco, il consumo di vino in Italia, per fattori economici e sociali sicuramente, ma forse anche per errori di chi, in modo diverso, lo racconta, è diminuito...

Focus - La “Critica della ragion critica” di Simone Revelli

“Per un sommelier, come sappiamo, l’esperienza diretta attraverso la degustazione è un fattore essenziale. Tuttavia anche se il filosofo Kant, dalla cui opera “Critica della ragion pura” abbiamo voluto mutuare il titolo di questa convention, intendeva riferirsi alla conoscenza a priori, cioè a prescindere dall’esperienza, crediamo che sia utile riflettere sul senso che oggi assume il concetto di “Critica”.

La parola proviene dall’etimologia greca κρισις (krisis), che deriva dal verbo κρινω (krino): separare, dividere, decidere - in sostanza analizzare. L’approccio del filosofo tedesco è pienamente illuministico e da questo deriva l’esigenza di definire alcuni requisiti di base dell’analisi, cioè della Critica, che la rendono valida. Kant rilevava la necessità di chiarire le Possibilità e le condizioni che permettono l’analisi, la Validità, cioè la legittimità dell’analisi e infine i Limiti, i confini, gli ambiti nei quali essa si esercita. Possibilità. Validità. Limiti. Quanti critici oggi, nel cinema o nella letteratura, nella gastronomia o l’arte, si pongono questi interrogativi?

Tornando alla critica enogastronomica, un ambito decisamente più ristretto rispetto al pensiero universale del filosofo, ci appare doveroso prendere esempio dal rigore e dalla disciplina di un grande del pensiero umano e considerare alcuni aspetti deontologici che chiunque si cimenti nel difficile compito del valutatore, non dovrebbe mai trascurare.

Ciò è tanto più vero dal momento in cui internet ha allargato a dismisura le possibilità espressive degli individui aumentando sia l’accessibilità all’informazione che la possibilità di esprimere opinioni. L’ampliamento della platea ha molti effetti positivi. Per esempio avvicina al vino molte persone, soprattutto giovani, che forse non avrebbero coltivato lo stesso interesse in tempi in cui la fruizione del vino di qualità era confinata a pochi santuari il cui accesso era riservato ad un’élite (non solo economica). Inoltre la rete obbliga tutti ad una maggiore autocritica: su internet è facile esprimere pareri, verificare le informazioni, scambiare impressioni e chiunque operi dal lato dell’offerta (produttori, ristoratori, venditori) viene esaminato molto più facilmente, confrontato con altri, giudicato. Questo processo è virtuoso. Dal lato della domanda, a cui apparteniamo tutti noi, non può che rallegrare un simile aumento di “potere” di giudizio.

Un riflessione si impone invece per chi, come i divulgatori di vario tipo e fra essi i sommelier, operi nel delicato confine che separa domanda e offerta. E’ mediazione culturale, certamente, ma non possono sfuggire anche i risvolti commerciali, persino politici in alcuni casi. Può essere utile ragionare su alcune qualità che il buon Critico di oggi dovrebbe possedere, o perlomeno perseguire, per essere degno di esercitare il proprio ruolo in modo brillante e utile. Sempre tenendo presenti Possibilità, Validità, Limiti.

Credibilità

Si basa sulla compresenza di competenze riconosciute e interesse suscitato nei lettori.
E’ una qualità che non dovrebbe mai mancare in qualsiasi professionista e a maggior ragione in chi si occupa di divulgare opinioni. Anche perché se latita, si viene ben presto scoperti, oggi più che ieri, da un pubblico sempre più evoluto ed esigente. Viceversa se è presente, è la base per instaurare un virtuoso rapporto di fiducia con i destinatari della divulgazione stessa.

Consapevolezza
Ogni degustatore non dovrebbe dimenticare che l’evento in cui si verifica l’esperienza sensoriale è unico. I lettori (o gli ascoltatori) non possono partecipare all’esperienza - a meno che non sia simultanea, intesa come gustare nello stesso momento il medesimo piatto o bottiglia o ascoltare lo stesso concerto nella stessa sala, ecc. - pertanto occorre fare uno sforzo ancor maggiore per raggiungere l’obiettivo della descrizione.

Saper divulgare

Raggiungere il cuore e le emozioni, oltre che destare interesse nell’interlocutore, dovrebbe essere l’ambizione costante di ogni divulgatore. Non c’è critica che possa essere veicolata in modo incisivo da un eloquio noioso e ripetitivo. Anche il più esperto dei degustatori sarebbe condannato a conservare per sé le proprie impressioni sensoriali se non sapesse farle arrivare agli altri attraverso un linguaggio appropriato e, si spera, brillante.

Rispetto

Parlare del lavoro altrui implica il rispetto. Il critico non dovrebbe mai dimenticare che le proprie opinioni possono influenzare le scelte altrui - del resto se così non fosse non avrebbe ragione di esistere la critica - e avere conseguenze su una pluralità di soggetti. Questa è una delle più gravose responsabilità: deve essere assunta con coraggio e trasparenza, senza condiscendenza nei confronti di nessuno, nell’esclusivo interesse dell’unico che dovrebbe realmente trarre vantaggio dalla critica, cioè il lettore/consumatore.

Coraggio

Le opinioni sono discutibili per definizione. Non per questo il critico deve esitare ad esternare ciò di cui è convinto. In questo senso egli è come un arbitro: se c’è buona fede e credibilità non dovrebbe esistere alcun motivo per censurare le proprie opinioni. In presenza di tali presupposti, l’unico argomento con cui una critica può essere contestata è un’opinione diversa, non certo l’esistenza di ragioni di convenienza o di interesse personale. E’ opportuno che il critico risponda di ciò che sostiene, per questo è sempre sgradevole che lo faccia in modo anonimo.

Modestia

Come accade in tutte le professioni, l’esigenza di migliorarsi incessantemente dovrebbe essere uno stimolo costante sia per ragioni esogene (un mercato che premia i migliori, i più aggiornati, i più motivati), che endogene (il desiderio di migliorarsi, la curiosità, l’umiltà). E’ necessario conservare la modestia per esercitare un’autocritica il più possibile equilibrata e inflessibile.

Discrezione

In virtù delle prerogative di influenza che il divulgatore possiede, non è appropriato sfruttare a proprio vantaggio il ruolo per avere benefici diretti o indiretti, fosse anche la possibilità di ottenere un tavolo in un ristorante affollato senza aver prenotato. Molto meglio conservare un profilo basso. Restando un “cliente qualsiasi” piuttosto che un “celebre critico” si rimane dalla parte del cliente generico e si riesce ad osservare la realtà dallo stesso punto di vista di coloro verso i quali è rivolto il lavoro del critico.

Indipendenza

La formulazione dell’opinione non dovrebbe essere influenzata da alcun elemento al di fuori dell’esperienza diretta rivolta all’oggetto della critica. Nel settore enogastronomico la guida deve essere lasciata all’analisi sensoriale, veicolata naturalmente dal bagaglio di esperienze di ciascun degustatore. Ogni condizionamento di carattere economico, ambientale, sentimentale, politico, ecc. è perturbante rispetto alla neutralità del giudizio e, ove esistente, andrebbe dichiarato a priori per lasciare al destinatario finale (lettore, ascoltatore) il giudizio sulla qualità della critica.

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