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La Corte di Giustizia Europea vieta l’uso dei termini come “latte” e “burro” per prodotti vegetali (come il latte di soia). La Coldiretti accoglie positivamente la notizia, ma per l’avvocato Consonni è una sentenza inutile che complicherà le cose

I prodotti di origine non animale non possono presentare la dicitura “latte”, “yogurt”, “formaggio” o “burro”: è quanto stabilito dalla Corte di Giustizia Europea in una sentenza, diffusa ieri, sostenendo che tali termini riguardano solo i prodotti di origine animale. Per cui non esisterà più il latte di soia o il burro di tofu: o meglio, esisteranno ma non si chiameranno più così.
La Coldiretti aveva accolto positivamente la notizia, sottolineando come questi termini usati per prodotti vegetali siano ingannevoli per i consumatori. Oggi arriva un parere contrario, quello dell’avvocato Marco Consonni, che all’opposto sostiene come si tratti di una sentenza del tutto inutile, e che anzi rischia di complicare di fatto le norme vigenti. “A nostro avviso, stabilendo che solo i prodotti lattierocaseari possano utilizzare la denominazione latte, burro, crema di latte, panne, formaggio, yogurt, la sentenza della Corte è il prodotto tipico di quest’epoca di “iper - regolamentazione” comunitaria”, scrive in una nota l’avvocato, sottolineando come “da un lato, infatti, esisteva già una norma (il Regolamento 1308/2013) che tutt’ora incide a livello “globale” su usi ed abitudini lessicali adottate anche localmente e che permette di utilizzare i termini latte, burro, formaggio etc. anche per prodotti che non hanno origine lattiero - casearia (ma per i quali la loro stessa natura è ontologicamente chiara per “uso tradizionale” a definire il prodotto). Dall’altro lato, però, la Corte, con un approccio ancora più rigido, provocherà conseguenze che neppure il Regolamento aveva voluto perseguire”. Secondo Consonni si dovrà, forse, inventare nuovi termini per descrivere quello che era fin’ora il latte di soia. Forse succo di soia o di riso?
Un’altra questione che critica l’avvocato Consonni è se la Corte Europea non consideri i consumatori più sprovveduti di quanto sono: “il consumatore medio è perfettamente consapevole che il latte di soia non è un prodotto di un animale e così gli altri prodotti di origine vegetale che possono utilizzare le denominazioni incriminate. Ritenere il contrario è fare un torto alla categoria dei consumatori, non proteggere gli stessi”.

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