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CORRIERE FIORENTINO

Cinquant’anni fa nasceva il Consorzio dei produttori per tutelare il vino di Montalcino Ma la storia comincia prima e va avanti tra saghe familiari, nuovi protagonisti e il successo internazionale … Il mito (reale) del Brunello... Montalcino Le strade bianche e i vignaioli col cappello indosso per le interviste sono mischiati ai nipoti dei vecchi mezzadri che parlano in inglese e agli export manager in quel mito reale che si chiama Brunello. Ieri il Consorzio ha dato il via alla due giorni di festeggiamenti dei 5° anni “Era il 1967, all’indomani del riconoscimento della Doc - commenta il Presidente Patrizio Cencioni - quando si costituì con 25 produttori allo scopo di tutelare Il nostro grande vino”. Nel 1968 le bottiglie prodotte a Montalcino erano appena 13 mila, quasi un milione e mezzo nel 1986, oltre nove milioni l’anno scorso. Un ettaro di Brunello nel 1967, quando ce n’erano solo 115, valeva 1,8 milioni di lire (fonte winenews); oggi gli ettari sono 2.100, con un valore medio di 500 mila euro ciascuno. “Essere stati tra i protagonisti della crescita di un territorio è la più grande emozione” ha commentato Emilia Nardi, figlia di quel Silvio Nardi che fu uno dei fondatori e dei primi imprenditori a scommettere su Montalcino. La storia del Brunello però comincia molto prima della fascetta d’origine. Non sfuggì a Giosuè Carducci: “Mi tersi con i vin d’Argiano, il quale è troppo buono” scrisse alla contessa Lovatelli. A fine ’800 anche i Biondi Santi già producevano e imbottigliavano il sangiovese di Montalcino. Nel 1910 Tancredi Biondi Santi era il responsabile dell’Enopolio di Poggibonsi e stava diventando il padre del Brunello con quel 1955 riserva inserito poi, unico italiano, da Wine Spectator tra 112 migliori vini del XX secolo. Con lui lavorava Giulio Gambelli, detto “bicchierino”, l’enologo assurto a simbolo dei più classici sangiovesi non solo di Montalcino. La notorietà istituzionale arrivò solo nel 1954 con un altro toscano. L’allora presidente del consiglio Amintore Fanfani ordinò ai Trimani, sempre noti vinattieri della capitale, 24 bottiglie di un vino ancora sconosciuto a Roma. Un episodio che riporta Donatella Cinelli Colombini, la nipote di Giovanni Colombini nemico della mezzadria e lungimirante vignaiolo, tra i fondatori del Consorzio. In mezzo alle battaglie agronomiche ci sono le saghe familiari alla maniera borgognona come quella dei Ciacci e c’è una Montalcino mai così mondana come negli anni Ottanta dl Gelasio Lovatelli Gaetani e delle ospitate della principessa Soraya o di Sofia Loren. Ma tra le date storiche c’è senza dubbio l’arrivo degli americani di Banfi nel 1978. “Erano anni bui, gli anni di piombo, e a Montalcino c’erano solo rovi e sassi – commenta Ezio Rivela che di quello sbarco in riva d’Orcia fu protagonista. I fratelli Mariani mi dettero 100 milioni di dollari da investire in un momento e in un luogo in cui nessun altro avrebbe voluto cavarsi di tasca un centesimo”. I Mariani avevano fatto i soldi importando in Usa il lambrusco: lo “champagne dei poveri” come lo chiamava Pavarotti. E li reinvestirono a Montalcino incontrando tutta la diffidenza possibile della provincia italiana o francese del vino e che però qui assume quel carattere più ghibellino per cui, dalla battaglia di Montaperti in poi, anche nelle vittorie non si riesce a gioire mai del tutto. Ma Aldo Santini nel suo Brunello, sei grande ha scritto: “Negare che villa Banfi ha segnato un progresso per il Brunello e che si è dimostrata una locomotiva per l’intera regione per affrontare il Duemila, significa voler rimanere inchiodati al passato”. “L’identità di Montalcino è merito dei gruppi familiari di qui - ha ribattuto Francesca Cinelli Colombini durante il faccia a faccia di ieri proprio con Rivella coordinato da Luciano Ferrarci del Corriere della Sera - poi c’è chi va e chi viene. Ma con i ritmi di oggi è importante che i giovani vadano in sella presto”. Quegli stessi anni sono caratterizzati dall’arrivo da altre zone dei nuovi protagonisti assoluti del Brunello di Montalcino: Gianfranco Soldera, Angelo Gaja, Diego Molinari, Ululo Salvioni col giovane Attilio Pagli, gli stessi Antinori e Frescobaldi. Uno sviluppo che vive il suo scempio con Brunellopoli alla fine dei primi Duemila, quando alcuni produttori vengono accusati di non rispettare il disciplinare del l00% sangiovese. Una ferita internazionale suturata a fatica con due grandi annate come 2009 e 2010. Cominciano gli anni dei saper acquisti esteri delle vigne culminati con la cessione di 1,6 ettari della Cerbaiona per 6 milioni nel 2015. Sono gli anni dei 100/100 di Wine Advocate al Marroneto e a Casanova di Neri. Ma certo non mancano le questioni critiche. Resta la pecca della “penuria gastronomica” denunciata già qualche anno fa da Enzo Vizzari su L’Espresso paragonando la ristorazione e l’accoglienza di Montalcino con quella delle altre importanti regioni vitivinicole mondiali. Bisogna registrare una crescita inversamente proporzionale delle stelle attribuite alle annate e della loro attendibilità. Ma nel giorno in cui anche le due anime del Brunello, quella colta e conservatrice di Francesca Cinelli Colombini e quella imprenditoriale e progressista di Ezio Rivella hanno festeggiato insieme, le polemiche sono rimandate. Già a oggi, quando si discuterà del futuro di uno dei grandi vini rossi del mondo.

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