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LA PASSIONE SEGRETA DI GIUSEPPE GARIBALDI, L’APICOLTURA, “NOBILE ARTE” CHE L’EROE DEI DUE MONDI HA TRAMANDATO DI GENERAZIONE IN GENERAZIONE

Miele
Renato Garibaldi e la sua famiglia

Batteva un cuore da apicoltore sotto la celebre “camicia rossa”: Giuseppe Garibaldi, uno degli artefici dell’unità d’Italia nascondeva il dolce gene del miele dietro la dura scorza da generale. Un gene familiare se si considera che tutti i discendenti maschi della famiglia dell’eroe dei due mondi hanno coltivato la passione delle api per arrivare a Renato, il Garibaldi che ha trasformato l’hobby di famiglia in una vera e propria professione, e che, in nella capitale del miele d’Italia, Montalcino, dal 7 al 9 settembre, agli “Stati Generali” dell’apicoltura, metterà in luce questa curiosità storica, con una mostra-testimonianza,“Il gene apistico della famiglia Garibaldi”.
Sono davvero pochi, infatti, a sapere che, terminata la spedizione dei Mille, Garibaldi in ritiro nella piccola isola di Caprera, dedicò i suoi ultimi anni a quella che lui stesso, in una lettera indirizzata al Presidente della Società Italiana di Apicoltura, definisce come la sua “occupazione prediletta”. Stando alle numerose testimonianze scritte, il patriota nizzardo, del quale ricorre proprio quest’anno il bicentenario della nascita (4 luglio 1807), considerava se stesso non tanto un uomo d’armi, quanto un agricoltore a tutti gli effetti, come dichiara al sindaco di Caprera nel 1880, e lo era davvero se si considera che possedeva circa ottanta alveari, una quantità piuttosto rilevante per l’epoca.
Proviene dal diario della figlia Clelia una bella immagine che ritrae il famoso condottiero in queste vesti inedite:“M’era tanto caro aiutare Papà in qual¬che lavoretto. Ero io, per esempio, che, nella stagione invernale, portavo il miele alle api. D’inverno, senza fiori, nelle arnie si fa la fame. Io entravo con due piattini, uno per mano, ripieni del dolce nettare e li posavo vicino alle arnie, non senza un vago senso di paura per le tante api che mi svolazzavano intorno. Papà notava la mia esitazione e dolce¬mente m’incoraggiava: “Bambina, non aver paura. Entra pure. Loro sanno benissimo che tu porti da mangiare; non ti faranno nulla”. Allora entravo, sicura come se fosse stata la voce di mio padre a scongiurare ogni pericolo”.
La passione per le api nella famiglia Garibaldi sembra non essere un caso isolato quanto piuttosto una costante: già nei primi anni del Settecento un omonimo antenato del patriota, di professione medico, allevava i deliziosi imenotteri sull’Appenino Ligure, e porta la data 1790 un trattato di apicoltura, I prodigi della natura manifestati nella api, opera del nipote di quest’ultimo, anch’esso di nome Giuseppe. Buon sangue non mente, e di padre in figlio, di zio in nipote “il gene apistico dei Garibaldi”, rilevato in quasi tutti membri della famiglia come passione, hobby, culto, approda ai giorni nostri e fiorisce come una rara e preziosa stella alpina sulle vette della Carnia, a Cercivento. E’ qui, nel cuore delle Alpi friulane che Renato Garibaldi, discendente di un ramo cadetto dal generale delle camicie rosse, ha deciso di fare della nobile tradizione di famiglia una vera e propria professione. Iniziando nel 1977 con 2 alveari, Renato ne possiede oggi più di 1400, posizionati in zone diverse, scelte accuratamente per la purezza e la salubrità dell’aria. L’azienda vanta una produzione annua di 500 quintali di miele che, oltre alle classiche qualità di acacia, millefiori di montagna, tiglio, castagno e melata di abete, vede brillare il raro miele di rododendro.
Ripercorrendo, quindi, trecento anni di storia dei Garibaldi è proprio il caso di parlare di una “genealogia dolce come il miele”, o piuttosto come dichiara Renato, “di un vero e proprio “gene apistico” insito nel dna della famiglia”, che ha fatto al storia d’Italia.

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