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Oltre la muraglia dei luoghi comuni: l’aspirante Master of Wine Lin Liu “smonta” alcuni dei miti più comuni che si sentono quando si parla di vino e Cina, dalle dimensioni al predominio dei rossi, passando per l’educazione al nettare di Bacco

Sono ormai almeno dieci anni che la Cina viene decantata come uno dei futuri mercati di riferimento del vino globale, quando non direttamente il principale di essi. Ma ad oggi la situazione, per quanto incoraggiante in termini di tassi di crescita, è ben diversa, e anche se questo potrebbe non bastare a dissuadere dal volersi approcciare a questo enigma culturale e di consumo, è bene farlo considerando anche punti di vista alternativi rispetto ai luoghi comuni, ed è proprio con questo spirito che l’aspirante Master of Wine Lin Liu ha, dalle pagine di “Meininger Wine Business Journal” (www.meininger.de), confutato alcuni di quelli che ha definito “miti” relativi al vino in Cina.
Innanzitutto, sebbene geograficamente la Cina sia innegabilmente enorme, il mercato non lo è affatto: di conseguenza non lo si può trattare come se fosse un mercato maturo, e non diverrà degno di nota per i piccoli produttori di vino finché i grandi marchi non avranno svolto il ruolo “pionieristico” di penetrazione del mercato e della sua platea di consumatori potenziali. Inoltre, la Repubblica Popolare sarà anche un singolo Stato, ma, sostiene Liu, conviene considerare ogni città superiore al milione di abitanti come Paese a sé stante, dato che anche le differenze tra Pechino e Shanghai possono spiazzare più d’uno. Nonostante questo, però, non è saggio affidarsi a importatori diversi per più regioni diverse della Cina, dato che non solo non è spesso necessario (a causa di un sistema logistico estremamente efficiente e nessuna limitazione legislativa su base geografica) ma controproducente, visto che più importatori potrebbero benissimo decidere di farsi guerra senza quartiere, deprezzando il prodotto all’osso per poi lasciarlo con l’immagine di un vino “da poco”. Certo, ammette Liu, aprire un importatore proprio in Cina può eliminare il problema alla radice, ma si tratta di un’azione giustificabile solo se si hanno le spalle larghe dal punto di vista finanziario. Anche la destinazione finale dei propri vini, sostiene poi Liu, non è poi così scontata rispetto all’adagio “volumi in gdo e premium nell’on-trade”: la presenza capillare dei negozi che vendono alcolici e sigarette sul territorio cinese, e che possono variare dai pochi metri quadri alle svariate centinaia, li rende un canale più appetibile dei supermercati convenzionali, e uno che i produttori non possono ignorare, visto che la tradizionale dicotomia occidentale off-trade/on-trade ancora non è applicabile alla Cina. A seguire, il primo dei luoghi comuni culturali, ovvero gli abbinamenti vino-cibo: dato che la gastronomia cinese propone un ventaglio di sapori molto ampio, il ruolo degli abbinamenti per come vengono intesi in Occidente sarà limitato, visto che spesso sulle tavole del Dragone si susseguono senza soluzione di continuità sia il té che la birra, senza dimenticare l’onnipresente baijiu. Il successivo è invece l’educazione al vino del consumatore, che è sì importante, ma che non potrà non funzionare se non ci sarà un percorso speculare di avvicinamento, da parte degli addetti marketing e vendite, alle peculiarità culturali dell’Impero di Mezzo. E ad ogni buon conto, aggiunge Liu, i tassi di crescita e di penetrazione delle attività di formazione sul vino in Cina sono di tutto rispetto, con oltre 20 candidati al titolo di Master of Wine e il Wine and Spirits Education Trust che considera il Dragone il suo mercato di riferimento straniero da ormai sei anni. Un altro fattore che può essere benefico considerare da un altro punto di vista è poi la dominanza dei rossi sui bianchi oltremuraglia: questo può significare, allo stato attuale delle cose, tanto nessuna possibilità di crescita per i bianchi quanto enormi potenzialità, e la storia recente insegna che i cambiamenti culturali di consumo possono esplicarsi in breve tempo, anche in presenza di una popolazione sterminata. Infine, il punto di sintesi dell’analisi di Liu è relativo al predominio di stili enoici consolidati e di facile presa rispetto a quelli già di successo: percorrere un sentiero già ampiamente frequentato è (più) sicuro, almeno per ora, ma una volta che i grossi marchi avranno penetrato a dovere il mercato, il prossimo passo sarà quello di diversificare l’offerta, ed è proprio quello che sta già succedendo in piazze come Shanghai e Pechino.

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