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“L’Italia del vino scompare in campagna elettorale”. Così, a meno di un mese dalle elezioni, i sindaci delle Città del Vino, che mandano le loro proposte ai candidati. Tra “green economy”, enoturismo, tecnologia, valore sociale del vino e non solo

“L’Italia del vino scompare in campagna elettorale”. A dirlo, a meno di un mese dalle elezioni del 4 marzo, i sindaci delle Città del Vino, rete di 450 Comuni italiani a vocazione vitivinicola, che lanciano un appello ai partiti e ai candidati per rimettere al centro del dibattito i grandi temi cari all’Associazione fin dalla sua nascita nel 1987. E lo fa con un articolato documento spedito alle segreterie dei partiti e pubblicato online sul sito dell’Associazione.
“Dobbiamo ribadire il ruolo dell’agricoltura e la centralità dei Comuni, unici strumenti utili per un efficace controllo del territorio sotto vari punti di vista: urbanistico, ambientale, produttivo e sociale - sottolinea il presidente delle Città del Vino, Floriano Zambon - ci attendiamo in queste settimane che ci separano dal voto, e soprattutto nei programmi politici, un’agenda che metta in cima alle cose da fare l’innovazione tecnologica, lo sviluppo dell’enoturismo e il sostegno a un’agricoltura di qualità come risorse economica, ambientale, occupazionale. E che riconosca anche il ruolo dei Comuni come presidio del territorio”.

Sono tanti e articolati i temi che Città del Vino sottopone alla politica anche attraverso i suoi sindaci: c’è il sostegno al terzo settore anche con l’associazionismo di prodotto tipico delle Città
d’Identità (Città del Vino, Città dell’Olio, Città del Tartufo ...); c’è la necessità di un Osservatorio Nazionale dell’Enoturismo, più volte caldeggiato dalle Città del Vino come strumento di monitoraggio e sviluppo di un comparto del turismo che può raggiungere numeri decisamente più alti di quelli registrati finora (un giro d’affari di 2,5/3 miliardi di euro e 14 milioni di visite enoturistiche secondo l’ultimo rapporto Città del Vino/Università di Salerno).
Al tema enoturistico è collegata poi anche la “programmazione” dell’ambiente, un settore da anni sotto la lente d’ingrandimento dei Comuni attraverso i Piani Regolatori delle Città del Vino e più di recente attraverso l’Urban Food Planning, una disciplina che mette il cibo e l’economia alimentare al centro di uno sviluppo locale sostenibile e di qualità.
“Oggi il 92% delle produzioni tipiche nazionali e il 79% dei vini pregiati, in sintesi il grosso delle Dop, Doc e Docg, nasce nei territori dei piccoli Comuni, quelli con meno di 5.000 abitanti - puntualizza Floriano Zambon - è evidente il ruolo dell’agricoltura come fattore d’identità, economia, paesaggio e qualità della vita. E in particolare il ruolo del vino, il prodotto più importante insieme all’olio come generatore di paesaggio. Eppure dalla competizione politica questi argomenti sembrano spariti”.
Altri due argomenti importanti, secondo Città del Vino, sono l’innovazione tecnologica e il ruolo dei Comuni. “Anche i piccoli Comuni - aggiunge il presidente Zambon - sono elementi centrali per il governo del territorio. Chiediamo quindi il conferimento di poteri straordinari in materia di esproprio per i Comuni sotto i 5.000 abitanti, o in quelli compresi in aree protette. Inoltre: la gestione diretta degli interventi di recupero dei centri storici e di quelli rurali”. Non ultima l’innovazione tecnologica per il marketing urbano dei territori. Tra le proposte delle Città del Vino un grande progetto di comunicazione integrata sul web e una rete di touch screen nei 450 Comuni associati.

Focus - Il documento delle Città del Vino inviato ai Partiti: “Il ruolo dell’agricoltura e la centralità dei comuni - Innovazione tecnologica, ruolo dei Comuni a presidio del territorio, sviluppo dell’enoturismo e agricoltura di qualità come risorsa economica, ambientale e occupazionale”

“Sostenete le ragioni dell’agricoltura italiana di qualità” era l’appello che l’Associazione Nazionale Città del Vino aveva lanciato ai candidati alle elezioni del 2013. In quel momento di crisi generale, che investiva sia i consumi che l’etica politica, le pubbliche amministrazioni e le imprese mostravano grande difficoltà a sviluppare le loro iniziative. Difficoltà oggettive, dettate dall’andamento delle economie nazionali e internazionali, ma anche provocate da insufficienti politiche da parte dei governi che nel corso degli anni si sono succeduti alla guida del nostro Paese.

Oggi come allora l’agricoltura e le attività indotte che le stanno attorno raramente sono al centro del dibattito politico e men che meno presenti nella campagna elettorale che porterà al nuovo Parlamento il prossimo 4 marzo, insieme alle nuove cariche regionali in Lazio e Lombardia.
Occorre invece continuare a ribadire il ruolo dell’agricoltura e la centralità dei Comuni come unici strumenti utili per un efficace controllo del territorio sotto vari di vista: urbanistico, ambientale, produttivo, sociale.
Inoltre, accanto a questo tema fondamentale, l’Associazione vuole nuovamente ricordare il sostegno che si dovrà dare al Terzo Settore nelle sue espressioni non solo di servizio culturale e sociale, ma anche di associazionismo di prodotto, così come rappresentato, ad esempio, dalle Città di Identità che in base ai loro concreti progetti e programmi sono testimoni delle istanze che provengono direttamente dai territori amministrati e dai cittadini. E, ancora, l’impegno che andrebbe riservato al turismo enogastronomico (strade del vino e dei sapori, raccolta e analisi dei dati, comunicazione web e social, marketing territoriale, ecc.) e ad una pianificazione urbanistica, agricola e alimentare (piani regolatori dei territori vinicoli, urban food planning, distretti del vino e del cibo, ecc.) finalizzata ad uno sviluppo locale sostenibile e di qualità.
Alcune tappe sono state recentemente “segnate” - come l’approvazione del legge per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli comuni e dei territori montani e rurali, l’introduzione del Testo Unico del Vino o il riconoscimento nella Legge di Bilancio sia dei Distretti del cibo, un nuovo strumento per garantire ulteriori risorse alla crescita e al rilancio a livello nazionale di filiere e territori, sia dell’opportunità di intervenire a sostegno di uno spicchio importante di un settore strategico com’è quello vitivinicolo - ma c’è ancora molta strada da fare. La proposta legislativa sulla “disciplina dell’attività dell’enoturismo”, che prevede tra l’altro la creazione di un Osservatorio Nazionale dell’Enoturismo presso il Ministero delle Politiche Agricole d’intesa con il Ministero dei Beni Culturali, è ad esempio ferma alla Camera. Così come pure sono allo stato dell’arte insufficienti gli interventi di supporto e divulgazione in favore delle diverse articolazioni della multifunzionalità agricola (agriturismo, agricoltura didattica, agricoltura sociale, ecc.), un fattore chiave per consentire alle imprese agricole di essere reattive agli stimoli di mercato, integrare le fonti di reddito e aumentare l’integrazione con il territorio.
Nel dare fin da ora il benvenuto a coloro che saranno i nuovi rappresentanti istituzionali, le Città del Vino vogliono porre all’attenzione delle forze politiche in gara i punti appena accennati ripercorrendo brevemente le posizioni dell’Associazione su tematiche e criticità che, pur non essendo esaustive, indicano quali potrebbero essere le prime importanti azioni da intraprendere da parte del nuovo esecutivo a sostegno del mondo agricolo e di tutte quelle attività che, in modo diretto o indiretto, contribuiscono al “capitale” di esperienze, lavori e saperi che devono essere salvaguardati e che sono potenziali produttori di nuova economia. E chiedono impegni precisi ai partiti perché tengano conto di queste indicazioni e, al tempo stesso, al nuovo Presidente del Consiglio che i settori dell’Agricoltura, del Turismo, dell’Ambiente (i tre elementi che s’intrecciano in modo virtuoso) siano affidati a personalità competenti, in grado di sapersi coordinare tra loro, dialogando, evitando sprechi di energie e di risorse.
Il valore delle “abbondanze” locali. Il circuito delle Città del Vino, cresciuto nel tempo fino ad arrivare ai circa 450 Comuni attualmente associati, disegna un ideale itinerario turistico e culturale nell’Italia rurale, ma nel tempo ha finito per costituire anche una straordinaria esperienza istituzionale e politica che partendo dall’enogastronomia ci parla delle opportunità e delle difficoltà delle campagne e dell’agricoltura italiana, delle sue differenze e della sua unicità. In un periodo di crisi economica, finanziaria, sociale e di valori, la riflessione sul ruolo delle realtà locali e sul futuro della viticoltura ci ha portato ad enfatizzare il valore delle “abbondanze” locali, cioè di quelle ricchezze materiali e immateriali che i nostri territori custodiscono in fatto di saperi, tradizioni, cultura, ambiente, paesaggio, storia, beni monumentali e artistici, vini e prodotti tipici. Perché “vivere bene” non significa ricerca del lusso né rincorsa all’eccesso, ma esprime un’idea nuova del bello, del buono, del giusto e della natura.
Sono di queste settimane le presentazioni dei dati Istat che confermano l’Italia come il primo Paese per numero di riconoscimenti Dop, Igp e Stg conferiti dall’Unione europea, del Rapporto Ismea-Qualivita 2017 che attesta come la qualità agroalimentare certificata sia il comparto maggiormente significativo della peculiarità e della forza delle nostre produzioni e dello studio Coldiretti-Symbola su “Piccoli Comuni E Tipicità” che documenta come il 92% delle produzioni tipiche nazionali (tra le quali ben 270 dei 293 prodotti a denominazione di origine, nonché il 79% dei vini più pregiati) nasce nelle amministrazioni con meno di 5000 abitanti grazie ad un sistema virtuoso che coinvolge il 69,7% dei 7977 Comuni italiani, in cui vivono poco più di 10 milioni persone ed operano 279mila imprese agricole. Per quanto riguarda in particolare la vitivinicoltura il nostro Paese vanta la presenza di una ricchissima biodiversità, sintetizzabile in 1.000 vitigni autoctoni e 525 vini Docg, Doc e Igt.
Se è vero allora, come sostengono alcuni economisti americani, che la competizione tra centri urbani sarà vinta da chi è in grado di combinare le tre T (Talenti, Tecnologia e Tolleranza), in Italia bisogna aggiungere un ulteriore fattore di competizione - la quarta T, quella di Territorio - per valutare il potenziale creativo delle città e la loro capacità di attirare risorse e persone. Il ruolo dell’agricoltura nella costruzione dell’identità locale e del paesaggio, cioè di un territorio ricco di risorse che non può essere lasciato in balìa di logiche puramente economiche, è un tema da sempre assai caro alle Città del Vino. I Sindaci dei Comuni a vocazione enoica percepiscono che lo sviluppo del turismo legato al vino assumerà una rilevanza sempre crescente per l’economia locale e la sensibilità ambientalista-paesaggistica sembra orientare queste amministrazioni, con azioni di ripensamento degli strumenti urbanistici tesi a riqualificare i territori e paesaggi in sintonia con le esigenze dei turisti, attenti certo al prodotto ma ancora di più alle “quinte“ del patrimonio vitivinicolo. L’agricoltura e la viticoltura sono anzitutto importanti attività economiche ma, contemporaneamente, anche potenti generatori di paesaggio e questa nuova sensibilità sia degli amministratori che degli operatori economici ha fatto sì che, oltre alla qualità dei prodotti, anche la tutela e la valorizzazione del contesto in cui nascono siano diventati un punto di forza del sistema produttivo italiano. A cominciare dalla filiera del turismo, che sempre più registra l’offerta di forme di turismo esperenziale (corsi di cucina e artigianato, visite a musei della cultura contadina, visite guidate di vigneti e giardini varietali, partecipazione alla vendemmia, fattorie didattiche, percorsi di educazione ambientale, escursionismo dolce, ecc...) rivolte a viaggiatori alla riscoperta di spazi e di aree rurali dimenticati e alla ricerca di prodotti dal forte contenuto simbolico ed emozionale. Le Città del Vino sono, peraltro, tra i soci fondatori di Iter Vitis, l’associazione internazionale che promuove e sostiene l’Itinerario Culturale Europeo della Vite e del Vino.
Il valore sociale del vino. Per troppo tempo la narrazione del vino si è appuntata sul prodotto e pochissimo sul produttore e sulla madre terra. Il sentore di mora acerba o matura, la sfumatura serica o vellutata, sono elementi importanti per interpretare il suo bouquet valoriale, ma il vino non è una commodity come altri prodotti agricoli, non può essere considerato in una dimensione esclusivamente di mercato, incentrata sul valore economico e influenzata dalle mode. Un vino ha il pensiero di chi lo fa e il carattere del terreno dove nasce, ha una forte connotazione rurale e va conosciuto e apprezzato in relazione a molti altri aspetti a partire dal suo legame con il territorio. Oggi, all’uscita - a quanto ci dicono alcuni esperti - dal tunnel frutto di “ubriacatura” finanziaria, con la consapevolezza che l’economia di carta non ci darà alcuna garanzia di sviluppo e la convinzione che le risorse della terra siano un fondamento imprescindibile per il nostro futuro sostenibile, torniamo a guardare all’agricoltura come ad uno dei comparti chiave per ricominciare a crescere. Tutto il settore agroalimentare ha un forte valore sociale, “nutrito” da quegli elementi che caratterizzano la ricchezza del nostro sapere in termine di tradizioni, qualità e varietà dei prodotti, immagine e credibilità: una preziosa eredità tramandataci dalle generazioni precedenti. Il vino è riuscito ad incamerare, meglio di altri prodotti, il valore sociale che era in grado di esprimere - forte radicamento culturale, valore simbolico, prodotto tipico e di provenienza specifica, marchio italiano, elevati standard qualitativi, basso impatto ambientale, mantenimento del paesaggio e salvaguardia delle tradizioni, prodotto soggetto a rigore nei controlli e salutare se usato bene - incrementando così la propria quotazione di mercato ed offrendo un tipico esempio di come il valore sociale dipenda proprio dalla cultura enogastronomica di produttori e consumatori.
Purtroppo tante sono ancora le “carenze” che interessano l’enologia e la vitivinicoltura del nostro Paese, in gran parte le stesse che affliggono tutto il comparto dell’agricoltura e dell’agroalimentare e che riguardano la qualità ambientale (inquinamento dell’aria, abbandoni di rifiuti, inquinamenti del suolo e delle acque), la regolamentazione giuridica della gestione del territorio (che insieme alla bassa redditività delle attività agricole continua a favorire consumo di territorio per abbandono, costruzioni e altre attività varie), gli strumenti per informare correttamente i consumatori e per orientare il mercato a riconoscere i vantaggi delle iniziative agricole di qualità ecologica, di tutela del territorio e della biodiversità, il possibile contributo delle attività agricole alla mitigazione della crisi climatica, la messa a punto di un quadro nazionale di riferimento per le misure di adattamento dell’agricoltura agli effetti della crisi climatica, il ricambio generazionale e la giusta valorizzazione dell’apporto portato dall’agricoltura - in termini occupazionali e di integrazione - di donne, giovani, detenuti, immigrati. A questo potremmo aggiungere, da un punto di vista più strettamente vitivinicolo, i rischi connessi alla dilagante “omogeneizzazione” di vitigni-vini-gusti indotti dalla globalizzazione e dal prevalere di pochi vitigni - francesi e tedeschi (meno di 10 in totale) - ormai dominanti e alla conseguente erosione del nostro enorme tradizione di biodiversità. Gli interventi in favore della filiera vitivinicola dovrebbero in particolare essere improntati ad una forte multidisciplinarietà, che tenga conto per esempio dell’esistenza di più “mercati” e di diversi livelli di domanda e di offerta a seconda del prodotto (uva, vino sfuso, vino imbottigliato, ecc.), il diffondersi di nuovi e variegati atteggiamenti del consumatore verso il vino in relazione alle tendenze e ai consumi di determinate aree geografiche, l’incremento delle attività socio economiche anche indotte legate al turismo enogastronomico e conseguentemente dei servizi collegati al vino, l’importanza di rafforzare le iniziative di educazione al bere corretto e consapevole e di educazione al gusto soprattutto nei confronti dei giovani, la difesa e l’aggiornamento didattico delle nostre Scuole Enologiche e degli Istituti Agrari per formare agricoltori, enologi e wine maker sempre più preparati e informati sulle novità che investono il mondo della produzione e della ricerca.
Il valore dei presìdi locali. Non è un caso che far parte dell’Associazione ha da sempre significato una propensione verso politiche di miglioramento, valorizzazione e tutela del sistema produttivo e della qualità della vita, ma il nuovo Statuto del 2012 ha codificato in maniera definitiva questo principio adottando una Carta della Qualità che introduce un principio di identificazione dei Comuni sulla base di impegni e azioni volti a qualificare quel Comune come “città del vino” e ne incentiva l’applicazione.Oggi i nostri Soci devono impegnarsi a tutelare il paesaggio, semplificare le procedure amministrative per le imprese del settore, rendere evidente la percezione del vino, rendere fruibile la cultura del vino, promuovere le Strade del Vino e le Enoteche del territorio, sostenere i vini di qualità nella ristorazione, avviare percorsi di sostenibilità presso i produttori, sollecitare l’espressione artistica intorno al vino, predisporre un calendario annuale di appuntamenti di sensibilizzazione e di animazione sui sapori/saperi locali, diretti alla valorizzazione del vino della zona e all’approfondimento della conoscenza dei prodotti e della cucina tradizionale.
Ma salvaguardare i piccoli Comuni rurali e valorizzarne il ruolo di presidio territoriale e democratico, dotandoli delle giuste risorse per mantenere i servizi essenziali per i cittadini, è un’urgenza vitale soprattutto perché i Comuni possono essere straordinari motori di sviluppo locale e di rilancio di attività produttive all’insegna della sostenibilità. Così come lo è favorire le aggregazioni amministrative per mettere in rete funzioni e servizi e al tempo stesso creare politiche territoriali per lo sviluppo. Un patrimonio conservato nel tempo con un impegno quotidiano per assicurare la salvaguardia delle colture agricole storiche, la salvaguardia del territorio dal dissesto idrogeologico e il mantenimento delle tradizioni alimentari. Il paesaggio, la cultura rurale, l’ambiente e l’agricoltura costituiscono tutte una opportunità, la cui tutela deve essere condivisa tra amministratori pubblici, cittadini e imprese. Per la sua particolare conformità geofisica il territorio italiano è, infatti, particolarmente fragile e deve essere necessariamente presidiato. Oltre a produrre vini di qualità con pratiche agronomiche poco invasive e rispettose dell’ambiente, la coltivazione della vite ha una funzione assoluta di tutela del territorio - e non solo quindi per i vitigni storici o eroici - contribuendo a limitare il degrado ambientale, le frane e (ad esempio con l’inerbimento) l’erosione dei terreni. Sarebbe quindi corretto supportare economicamente chi presidia tali territori: i viticoltori ma anche i Comuni, che devono farsi carico della manutenzione delle strade rurali e della gestione del reticolo idrico di smaltimento delle acque. Alle Amministrazioni va consentito di fare investimenti e di impegnare risorse per la messa in sicurezza del territorio, per la produzione di energia rinnovabile, per il recupero dei centri storici in stato di degrado o di abbandono, per il sostegno ad attività imprenditoriali legate all’agricoltura di qualità e ad una fruizione turistica rispettosa dell’ambiente e del territorio.
Un risultato “consistente” in questa direzione è evidenziato dall’approvazione della Legge n.158/2017 (“Misure per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli comuni, nonché disposizioni per la riqualificazione e il recupero dei centri storici dei medesimi comuni”), contenente un pacchetto di misure finalizzate a favorire il recupero dei piccoli centri presenti sul nostro territorio e, per le aree oggi in condizioni di maggior difficoltà, lo stanziamento di 100 milioni di euro per il periodo che va dal 2017 al 2023. Le misure di incentivazione previste per gli enti locali che procedano al recupero dei nuclei abitati rurali e dei centri storici urbani sono naturalmente opportune, ma se non si mantiene l’esistente (uffici postali, viabilità, servizi urbani, ecc.) quale qualità della vita si intende garantire alle campagne? E con quali strumenti (e risorse) gli enti locali potranno attuare l’obiettivo? Anche perché se è vero che il territorio rurale è parte fondamentale del nostro capitale sociale e della nostra qualità della vita, deve allora essere messa in risalto la centralità (federalismo e funzioni) dei Comuni che appunto governano il territorio. Tra le proposte dell’Associazione c’è, per esempio, il conferimento di poteri straordinari in materia di esproprio ai Comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti o compresi nelle aree naturali protette, promuovendo l’utilizzazione di forme e di procedure di attuazione e di gestione diretta degli interventi di recupero dei centri storici e dei nuclei abitati rurali, perché occorre distinguere tra attività edilizie che consumano nuovo suolo (inasprendo gli oneri e vietando di usarli per la spesa corrente) e attività che riqualificano i tessuti urbani esistenti, degradati e non.
Il valore dell’innovazione. Negli ultimi anni abbiamo rinnovato l’impegno a preservare la destinazione d’uso ed arrestare il consumo del suolo agricolo, portando il nostro contributo ai lavori degli Stati Generali della Green Economy attraverso una riformulazione efficace della legge sul consumo delle aree agricole, che riconosca al suolo il suo statuto di risorsa strategica e ne arresti il consumo, anche rafforzando gli strumenti di governance territoriale necessari a perseguire gli scopi. Consapevoli, peraltro, della necessità di “prevenire le disgrazie investendo oggi per non spendere domani”, per usare le parole recentemente spese da Michele Serra intervenuto nella polemica suscitata dall’ennesima tragedia consumatasi anche a causa di un’errata per non dire dolosa gestione delle infrastrutture e del territorio.
Un altro tema al centro delle riflessioni dell’Associazione è il sostegno che si dovrà dare al terzo settore non solo nelle sue espressioni di servizio, culturale e sociale, ma anche di associazionismo di prodotto (come sono oggi ad esempio le Città di Identità di Res Tipica - di cui le Città del Vino sono l’entità più “popolosa” - in base ai loro concreti progetti e programmi), testimoni delle istanze che provengono direttamente dai territori amministrati e dai cittadini. Particolare attenzione va, inoltre, riservata al supporto ed alle potenzialità che i nuovi strumenti tecnologici possono apportare alle iniziative di marketing urbano nei nostri Comuni, in una congiuntura come quella attuale in cui la riduzione dei fondi a disposizione delle amministrazioni rischia di lasciare sguarnita sia la funzione di informazione turistica sui territori sia l’implementazione dei luoghi della memoria di saperi e sapori locali. Diverse Città del Vino si sono già dotate di strumenti high tech per mettere in rete le loro eccellenze e conquistare gli enoturisti, a partire dai QR Code posizionati accanto ai luoghi di interesse e tra le nostre proposte, oltre ad un progetto di comunicazione coordinata sul web, c’è quella di dotare la rete degli associati di un sistema di touch screen che permetta a tutti i territori a vocazione vitivinicola di valorizzare e mantenere viva la propria identità con un contenuto impiego di risorse umane e finanziarie.
Sul fronte della Green Economy l’Associazione ha sempre sostenuto le amministrazioni locali nella difesa delle coltivazioni dalle contaminazioni da prodotti Ogm, nella promozione dell’agricoltura biologica e delle buone pratiche agronomiche, nonché nella diffusione di una cultura del progetto agro-paesaggistico attraverso il Piano Regolatore delle Città del Vino. Messo a punto la prima volta nel 1996, questo innovativo strumento di pianificazione comunale fondato sull’equilibrio tra validità agronomica e qualità paesaggistica, è stato continuamente aggiornato ed arricchito nelle sue linee metodologiche: dall’inserimento della zonizzazione vitivinicola e del paesaggio nel 2007 (con specifici contenuti in tema di paesaggio, misure d’adattamento al deterioramento climatico, aggiornamento delle tecniche per gestire il vigneto, qualità dell’architettura rurale e dei riflessi che tutto ciò ha sul governo del territorio) alle energie rinnovabili in campagna nel 2011 (relativamente alle fonti - fotovoltaico, eolico, biomasse - e all’uso del suolo rurale) fino all’introduzione nel 2017 di elementi come sostenibilità, accessibilità, cambiamenti climatici e Urban Food Planning. La pianificazione economica del cibo al livello urbano (inteso come area vasta, non come singolo Comune) delinea una visione strategica di grande respiro e impatto, che si realizza attraverso la creazione di circuiti economici basati sulla produzione e il consumo di cibo locali e finalizzati a generare mercati autosostenibili, stimolare la microimprenditorialità, salvaguardare e valorizzare i caratteri distintivi dei paesaggi agrari.
Le Città del Vino hanno, infine, mantenuto vivo un filo diretto di comunicazione e collaborazione con i dicasteri dell’Agricoltura, dei Beni e le Attività Culturali, dell’Ambiente e del Turismo, nella convinzione che solo una più stretta coordinazione tra tutti questi soggetti possa riuscire, con strategie e scelte operative condivise, a tutelare le qualità e le potenzialità del paesaggio agrario, della cultura rurale nazionale, del patrimonio turistico ed enogastronomico dei nostri territori.
E negli ultimi quindici anni, grazie all’analisi dell’evoluzione dell’enoturismo e dei comportamenti di acquisto e fruizione dei consumatori in viaggio che Città del Vino realizza con il suo Osservatorio sul turismo del vino, è stato modificato profondamente il modo di fare comunicazione verso il mondo degli amministratori e delle aziende mettendo a disposizione degli associati spazi sul web, newsletter, eBook, pagine su Facebook eTwitter.
Anche su questo filone di intervento, potenziare l’azione fino alla creazione di un sistema che raccolga, aggiorni ed integri sistematicamente i dati sulla struttura sociale, demografica, culturale e produttiva delle Città del Vino e non solo (coordinando le diverse e molteplici fonti oggi sparse in enti e strutture diversi, attraverso un modello di Big Data estendibile progressivamente ad informazioni provenienti dal web e dai social network) - potrebbe costituire un vero e proprio punto di svolta nella valorizzazione del patrimonio culturale e sociale che le Città di Identità “interpretano” nel processo di sviluppo del marchio Italia nel mondo.
L’Associazione - che ha tra l’altro appena festeggiato i suoi primi trent’anni al servizio dei territori del vino con l’elaborazione di un libro bianco sulla sua storia, iniziative, proposte e riflessioni - ha insomma intrapreso un percorso di trasformazione da soggetto di “rappresentanza” in una struttura complessa, in grado di fornire indicazioni e risposte a problematiche che riguardano non solo il mondo del vino, ma anche come queste questioni si riflettono sull’attività delle pubbliche amministrazioni, in virtù di un assunto ormai consolidato (che si parli di economia o di enoturismo, di promozione o di sviluppo): il rapporto inscindibile tra vino e territorio, con tutto quello che ne consegue. L’Associazione ambisce, infatti, a diventare sempre più strumento operativo a disposizione dei Comuni associati, rafforzando e ampliando le proprie funzioni e l’offerta dei servizi per essere luogo di vetrina e promozione, di conoscenza e scambio di esperienze, di idee, di approfondimenti e suggerimenti e - quando possibile - fonte di soluzione ai problemi. Le nuove regole inserite nello Statuto e Regolamento contengono le indicazioni basilari sul rinnovato rapporto tra Comuni, Enti soci, la struttura operativa e gli organi istituzionali, che raccolgono le istanze dei Soci, le elaborano e le traducono in progetti, studi e approfondimenti.
Per tutti questi motivi vogliamo quindi ringraziare tutti coloro che hanno condiviso questo cammino e nello stesso tempo accogliere le nuove cariche istituzionali, così come abbiamo fatto con gli amministratori locali nominati alle ultime amministrative, invitandoli a proseguire insieme a noi nella rivitalizzazione e riqualificazione delle nostre Città delle Vino. Riteniamo, infatti, che l’esperienza maturata in tutti questi anni da parte dell’Associazione Nazionale Città del Vino possa costituire uno strumento utile ai nuovi rappresentanti del Parlamento e fonte di ispirazione per una crescita delle Regioni e dell’Italia tutta che, grazie anche al supporto di associazioni come le nostra, non sia solo economica ma permetta alle nuove generazioni di riconoscersi sempre più in un Belpaese.

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