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Tra il mare magnum degli app store e il parricidio della stampa passando per il fondamento concettuale delle criptovalute, la rivoluzione blockchain: da “Wine2Wine”, come e dove il mondo del vino può puntare sulle ultime evoluzioni del digitale

Dalla soddisfazione immediata della curiosità del consumatore di vino generalista - che non di rado può bastare a stimolare un’intenzione d’acquisto, di fronte a un’offerta spaesante - a un passaggio generazionale, quello dei Millennial, che almeno negli Stati Uniti d’America sta cambiando pelle a comunicazione e marketing, con engagement e narrazione divenuti fondamentali. E, a sottendere l’intera filiera, dal vigneto al calice, un “registro condiviso” che elimini il problema della confidenza tra attori che non hanno precedentemente instaurato rapporti commerciali o professionali.Non fanno che aumentare in portata e ampiezza le innovazioni che la tecnologia digitale, ormai vero e proprio sistema nervoso centrale del pianeta, sta offrendo al mondo della vitivinicoltura e del commercio del nettare di Bacco: innovazioni che non necessitano di conoscenze tecniche specialistiche, ma solo di curiosità, conoscenza di alcuni dati di fatto e voglia di abbracciare il cambiamento. Ecco il filo conduttore del panel dedicato al digital marketing di scena a “Wine2Wine” (www.wine2wine.net), che si è aperto con una carrellata sulle principali app che, per milioni e milioni di persone, diventano lo strumento principale e più immediato con il quale porre in atto le proprie scelte di consumo.
Un mondo che non si ferma, ha sottolineato il consumer analyst Mike Madaio, al peso massimo Vivino, con i suoi 26 milioni di utenti globali catturati tramite quel sistema di scansione delle etichette, e del conseguente accesso a un database di recensioni e note di degustazione compilate dagli utenti stessi, che lo ha reso dominante. La platea di Vivino è infatti in larga parte composta da “everyday drinker”, consumatori abituali che cercano immediatezza e facilità di comprensione piuttosto che, come il milione circa di utenti di Delectable - l’equivalente enoico di Instagram, laddove Vivino sarebbe più Facebook - l’attività e le scelte dei professionisti e degli influencer del macrocosmo del vino. Un fattore, però, accomuna le due, ovvero la possibilità di acquisti “in-app” che spesso possono non solo soddisfare immediatamente un bisogno di informazioni, ma ingenerare preventivamente una decisione d’acquisto tramite il meccanismo dei suggerimenti creati a partire dalle etichette precedentemente acquistate, recensite o anche solo “scansionate”. E, di conseguenza, un mondo che non è possibile non considerare da parte di un produttore, indipendentemente dalle proprie dimensioni, dato che fornire parte di quel contenuto generato dall’utenza che è presente sulle app, o invogliare i propri clienti a farlo, non richiede investimenti considerevoli, ma solo un po’ di tempo.
Risorse ben diverse, ha invece sottolineato in avvio Paul Howard di “Wine Academy”, sono necessarie in ogni settore produttivo - vino incluso - per sopperire all’eterno problema dei rischi associati a una controparte con la quale non si è mai avuto a che fare. Che sia un coltivatore per il produttore, un produttore per il distributore, un distributore per un rivenditore o un rivenditore per il consumatore finale, i “counter-party risks” sono una realtà quotidiana anche nel mondo del vino, e prevenirli (talvolta non riuscendoci, fra l’altro) costa non poco in termini di risorse e mancate opportunità. Ma uno strumento potenzialmente risolutivo può essere l’intuizione dello sconosciuto inventore della criptovaluta BitCoin, conosciuto con l’alias di Satoshi Nakamoto, che ha basato la sua invenzione sul “registro condiviso” denominato blockchain: una “catena di blocchi” nel quale ogni mattone è rappresentato da una transazione la cui veridicità è assicurata dal fatto che il registro è al tempo stesso disseminato in milioni di copie (quindi impossibile da distruggere), crittografato (ergo impossibile da falsificare) e aggiornato automaticamente nel giro di millisecondi all’aggiunta di ogni transazione, che va a legarsi alle precedenti creando un continuum. La fiducia, d’altra parte, è composta essenzialmente dalla sommatoria di trasparenza e tracciabilità, e visto che l’irruzione di sensori “smart” e big data si sta facendo sentire tra i filari così come nella catena distributiva, complice quella “Internet of Things” che in un futuro tutt’altro che lontano doterà potenzialmente ogni oggetto sul pianeta di un indirizzo IP, la creazione e il mantenimento di una blockchain può arrivare a “coprire” ogni passaggio delle filiere produttiva, distributiva e commerciale. Fantascienza? Tutt’altro: come puntualizzato da Howard, sono ad oggi otto le cantine che hanno già integrato la tecnologia della blockchain nella propria attività, e una di esse è italiana, la pugliese Cantina Volpone. In conclusione, ha sottolineato Howard, non si deve confondere il “dito” dell’infinita bolla di BitCoin con la “luna” della blockchain, una tecnologia alla quale manca solo un’implementazione di successo per diventare, se non uno standard, quantomeno una soluzione pratica, affidabile e tutt’altro che arcana agli occhi dei produttori come dei consumatori.
Consumatori che, nel contempo, stanno subendo una mutazione ben più che epidermica a livello generazionale, almeno negli Stati Uniti: e a sottolinearlo, in chiusura del panel, è stato Adam Teeter, cofondatore e ad di Vinepair (www.vinepair.com), testata enoica online che a dispetto dei soli quattro anni di età è stata capace di fare propri i Millennial d’oltreatlantico come nessun’altra. Partendo dall’assunto senz’altro tranchant, ma non privo di dati di fatto a sostegno, che “la stampa cartacea è morta”, Teeter ha enumerato gli invidiabili numeri del suo pubblico di 20 milioni di persone al mese, composto per il 70% di persone tra i 21 e i 44 anni di età, maschi e femmine in egual misura e per il 54% abitanti in aree metropolitane, per sottolineare come “la stampa cartacea non sappia più connettersi ai pubblici moderni”. Una distinzione che passa sia per la multicanalità di una homepage e dei social media che per il tipo di contenuto proposto, non solo apertamente rivolto a “profani” più che a “iniziati”, ma che è il cavallo di Troia tramite il quale non meno del 70% della generazione Millennial riceverebbe i propri consigli per gli acquisti, tramite contenuti apertamente sponsorizzati dalle aziende. I Millennial, secondo quanto affermato da Teeter, dedicherebbero infatti lo stesso tempo medio ai contenuti sponsorizzati e agli editoriali, ovvero due minuti e mezzo: un lasso di tempo decisamente alto per un contenuto digitale, con buona pace della “vecchia” distinzione tra contenuti e pubblicità. Per raggiungere i giovani enoappassionati, specialmente se affluenti e metropolitani, quindi, il “native advertising” sembra proprio essere la via da percorrere: uno strumento che, per le cantine, consente inoltre di misurare accuratamente ed iterativamente l’impatto di ogni messaggio e le sue evoluzioni, aggiustando il tiro in corso d’opera e raccogliendo una messe di dati che possono a propria volta rendere più facile e più economico il messaggio successivo.

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