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Un mondo globalizzato, ma non troppo: dopo il boom della globalizzazione, il ritorno dei dazi e delle barriere. In mezzo il mondo del vino e le sue difficoltà, tra Russia e Cina, nelle parole dei protagonisti, da Lamberto Frescobaldi a Piero Antinori

Italia

Un mondo globalizzato, ma non troppo. Dal boom durato più di un decennio alle attuali politiche di barriere, difficoltà culturali e situazioni geopolitiche complesse, l’Italia del vino si pone nuovi interrogativi su quali possano essere i percorsi per crescere in Russia e Cina. La parola d’ordine che emerge dalla tavola rotonda, organizzata da Foragri, oggi a Firenze, all’Accademia dei Georgofili, condotta da Francesco Carrassi, direttore del quotidiano La Nazione, è “sfida”. Sfida contro mercati come quello cinese e quello russo, che registrano già importanti player, contro politiche di protezione basate su barriere e tariffe e contro scelte interne al sistema di produzione italiano non favorevoli allo sviluppo, ma anche contro una situazione del commercio trasversale a tutti i settori in frizione, e tendente talvolta allo stallo.
A definire le realtà di impedimento al libero scambio commerciale, ovvero barriere e tariffe è Davide Gaeta, professore del Dipartimento di Economia Aziendale dell’Università degli Studi di Verona e docente di Economia di Impresa.
“La politica commerciale è quando un Governo crea delle strategie per creare degli scambi. Tariffe, quote, così come le misure di sostegno all’esportazione. Il mondo delle esportazioni, come quello delle barriere è molto vasto. Queste ultime sono state nemiche del mondo del vino per tanti anni, anche se oggi sono le meno temute dai produttori. Perché sono le più esplicite. Negli ultimi 20 anni, il mondo del vino è esploso, e l’Europa è al centro di questo trend. I flussi extraeuropei riguardano il 30% delle produzioni. Principalmente verso gli Usa, anche se Russia e Cina stanno crescendo strategicamente e non quantitativamente per quanto riguarda l’Italia. Il flusso verso Russia e Cina è in crescita. Ma quali sono i problemi delle barriere tariffarie? Si pensa - continua Gaeta - che siano un addizionale sul prezzo, che un Paese usa per tutelarsi e restringere le esportazioni. Ma queste forme di finanziamento, per un Governo, sono strategie primitive. È lo strumento più semplice e senza identità. Noi oggi dobbiamo affrontare forme più sofisticate di restrizioni. Il mondo del vino ha articolate forme di restrizioni e accise, gli importi cambiano nel corso dell’anno o da regione a regione. L’oggetto delle barriere tariffarie sono le organizzazioni mondiali del commercio. In questo ambito la parola chiave è “detariffazione”, per arrivare a scambi commerciali senza tariffe. Un processo molto lento. Lo smantellamento delle tariffe si sta svolgendo in maniera serena. I Paesi sviluppati non hanno bisogno di barriere tariffarie, ma hanno necessità di proteggere gli scambi. Basandosi su alcuni principi, a partire da quello della tutela del consumatore. Il mondo del vino deve fermarsi a riflettere sugli standard qualitativi internazionali del vino. Su questo si devono soffermare i produttori e in maniera trasversale tutte le competenze: standard di viticoltura di produzione, di microbiologia e di commercio. Alcuni accordi bilaterali hanno avuto successo perché i Paesi si sono trovati in linea su forme di produzione allineate. Si può fare molto di più per quanto riguarda gli accordi bilaterali, che per troppo tempo sono proceduti con una lentezza troppo grande. Come il caso di Italia e Usa, che non ha accontentato nessuno”.
Una panoramica generale sui mercati internazionali del vino e gli ostacoli al libero mercato è stata tracciata da Jean Marie Cardebat, professore di Economia all’Università di Bordeaux. Al centro dell’intervento sono state focalizzate problematiche e soluzioni per il futuro del commercio vinicolo. “La geografia del commercio è sempre stata tradizionalmente orientata verso Paesi con cui esistevano accordi di libero mercato, come Inghilterra e Germania. Il commercio era libero. La situazione è cambiata con l’affermazione di grandi potenze commerciali, come Stati Uniti e Cina. Ma ci sono molti conflitti in campo commerciale, con le barriere che stanno diventando una questione cruciale nel settore del vino. Le barriere fanno molto male all’economia europea. Ma cosa succederà in futuro? Dobbiamo parlare di un contesto globale e sono un po’ pessimista. Perché la globalizzazione andrà a ridursi, per alcuni motivi: nell’ultimo G20 i Paesi si sono schierati contro il protezionismo, ma hanno adottato misure decisamente restringenti. Tipico dei periodi dopo crisi. Inoltre hanno un peso specifico le distanze geografiche tra gli stati che comportano dei costi importanti. E poi, le questioni geopolitiche, come la Corea del Nord e anche altre situazioni, come la Brexit. C’è una tendenza negativa nel commercio mondiale su tutti i settori. Nel settore vinicolo, ci sono dei motivi che fanno pensare ad una riduzione del commercio mondiale. C’è stato un aumento del protezionismo, passando dalle tariffe a misure che vanno al restringimento delle frontiere. Nello specifico, la Russia nel 2016 ha creato 6 barriere commerciali e 2 la Cina. Il settore del vino e dei liquori è quello più soggetto all’introduzione di barriere di protezione. Quindi penso che ci sarà una riduzione del commercio del vino e che sarà in linea con il mercato mondiale”.
Il docente francese inoltre, ha dato una lettura sul modus operandi cinese per quanto riguarda i beni di importazione: “i cinesi cominciano ad importare i beni di varia natura, e poi imparano a riprodurre in autonomia. L’interrogativo che sorge è se saranno bravi a produrre dei buoni vini e se una volta completato questo processo passeranno alla chiusura delle frontiere. Inoltre cambiano le preferenze nella richiesta. Ad esempio la richiesta sempre maggiore di vini bio da parte dei consumatori. E non tutti i produttori sono pronti per competere in questo ambito. Altri punti critici, per un ipotetico ristagno del commercio di vino, è l’espandersi delle birre artigianali che ad esempio negli Stati Uniti sta diventando di massa rischiando di sostituire in tavola il vino. Poi c’è il problema del cambiamento climatico, che comporta gelate, surriscaldamento e malattie della vigna, fenomeni che tutti i produttori possono affrontare facilmente”.
“Valido in questo caso - continua Jean Marie Cardebat - come esempio di buona pratica per arginare tutte queste problematiche, è quello del Cile, che ha firmato accordi bilaterali con tutti i Paesi, tranne la Russia e qualche Stato dell’Africa. Ha fatto molto bene, e la comunità europea deve pensarci. Un’altra soluzione può essere imporre una visione globale e non solo europea. E deve essere il settore stesso ad imporsi sulla Commissione Europea. Poi un’altra best practice è il Tariff Jumping, ovvero investire nei Paesi dove è destinato l’export. Tanti produttori francesi investono in Cina. Creano chateaux e investono per a produzione per la distribuzione. Un ultimo step deve essere creare una reputazione, ci sono molti trattati di economia che ne testimoniano il successo”.
Uno sguardo più approfondito sul mercato cinese del vino è fornito da Jon Hanf, professore di International Wine Business dell’Università di Geisenheim. “Il mercato cinese è stabile, ma non così in esplosione come si pensa. Il consumo pro capite di vino nel 2012 era di 1,6 litri annui, poi è sceso agli attuali 1,2. È stabile, ma non può crescere come qualche hanno fa. Il consumo è diverso tra le città e le zone rurali. Le città più importanti prevedono dei consumatori più acculturati di vino, e le abitudini al consumo sono diverse tra le zone. Questo è un vantaggio per i produttori piccoli e medi. Perché si possono concentrare su un mercato ristretto a livello di segmenti di distribuzione, come le grandi città meno conosciute, che registrano 8 milioni di abitanti e con tantissimi consumatori in espansione. La diversificazione dei mercati permette di creare nicchie, ma il mercato del vino in Cina richiede impegno, strategia ed investimenti. Se si è un produttore piccolo o medio si deve avere una strategia”.

Lo sguardo sul mondo del commercio vinicolo sembra cambiare, in una visione più ottimistica, quando a prendere la parola sono i produttori italiani, come Piero Antinori, che nel corso del suo intervento ha definito quali possono essere le difficoltà da affrontare in campo internazionale ma anche le soluzioni. “Il bicchiere è anche mezzo pieno. Il settore del vino è in espansione, specialmente nei vini di qualità. Nei prossimi 20 o 30 anni ci saranno centinaia di milioni di persone che avranno la possibilità di acquistare dei beni di non primaria necessità come il vino. Il futuro ha dunque delle prospettive positive. Dobbiamo continuare a puntare su tre cose: la qualità del prodotto, la comunicazione e delle partnership con controparti affidabili e solide finanziariamente. Questi sono i pilastri del nostro settore. L’export del vino italiano vale 6 miliardi e il più grande comparto del settore agroalimentare”. Il marchese Piero Antinori ha ribadito il concetto già espresso ai microfoni di WineNews (vedi qui http://www.winenews.tv/index.php?wnv=8233) della principale criticità del sistema vinicolo italiano: ovvero l’impossibilità, per legge, di non poter impiantare nuove vigne: “il Regolamento Comunitario impone di non aumentare la composizione vinicola. Abbiamo perso 138.000 ettari di vigneto nel corso degli anni. Questo significa una perdita per tutta la filiera. Il regolamento prevede di poter aumentare solo dell’1% la superficie vinicola, quindi ci vorranno 30 anni per aumentare sensibilmente la produzione: è uno degli aspetti che ostacola maggiormente la nostra crescita. A vantaggio dei Paesi del nuovo mondo. Il governo dovrebbe essere sensibilizzato al tema. Perché oggi non si rischia l’eccesso produzione, siamo in pareggio tra produzione e vendita”.
Anche il marchese Lamberto Frescobaldi è stato chiaro nell’identificare le criticità del settore, questa volta con uno sguardo europeo. “ Abbiamo delle norme complicate e contraddittorie, e dobbiamo fare un grosso sforzo per chiarire le norme in materia di denominazione. Ci siamo complicati la vita con l’Europa a 28: dalla traduzione di “contiene solfiti” in tutte le lingue alla differenza delle capsule rispetto alla Francia. Ci siamo complicati la vita da soli. Il Nord Europa con queste norme vede il vino come qualcosa di pericoloso per la vita delle persone, a differenza della nostra visione. Dobbiamo quindi iniziare un’opera educativa che arrivi nelle scuole. Alle volte abbiamo troppe regole che creano disturbi, perdendo d’occhio il consumatore. Per tanti anni - continua Frescobaldi - ci siamo fissati con la promozione per singola regione, questo ha fatto si che all’estero non si conosca l’Italia come paese unico, invece la Francia si. L’Europa non ha aiutato, ad esempio con le sanzioni nei confronti della Russia. Andando a colpire locali aperti da italiani che si sono trovati senza i prodotti primari”. Anche per quanto riguarda la via cinese dell’export comprende, oltre a quelle già citate dai relatori internazionali, delle criticità che si basano sulla cultura e le abitudini alimentari dei consumatori nei paesi di appartenenza aggiunge Lamberto Frescobaldi, “la Cina ha un prodotto che i cinesi bevono in grandissima quantità che è il baijiu e viene chiamato comunemente “vino”, pur non essendolo. Bisogna fare chiarezza sulla parola vino. Perché non sempre la codifica è uguale in tutti gli Stati. In sede istituzionale dobbiamo essere meno carenti nell’essere incisivi”.

Altri punti di debolezza del sistema italiano enologico sono stati messi in luce da Ernesto Abbona, a capo della griffe Marchesi di Barolo e presidente dell’Unione Italiana Vini (Uiv): “la nostra nazione non ha realtà omogenee, perché ognuno rappresenta la propria zona. È un dato di fatto, che ci ha spinto ad essere nei mercati internazionali talvolta con un vitigno specifico, talvolta con una denominazione. Abbiamo fatto tanta strada. Con la situazione attuale dobbiamo avviare degli accordi commerciali multilaterali. Inoltre, avendo potuto usare i fondi Ue, avremmo superato i 6 miliardi. Ci facciamo del male da soli: noi trasportiamo un alimento, non un prodotto che dà ebbrezza o gioia, è cultura, un risultato di storie di uomini che hanno saputo valorizzare un prodotto che è indispensabile per l’alimentazione, e trasporta una cultura non solo materiale ma di accoglienza. Ho visto ospiti russi con il desiderio di conoscere vini che non conoscono. La Cina è lo stato con più ristoranti stellati. Più la ricchezza si ridistribuisce, più le persone vogliono spendere in prodotti che fanno stare bene. Le barriere si superano creando il desiderio nei consumatori”.
Parola, dunque, alla professoressa Valentina Nikolaevna Ivanova dell’Università K.G. Razumovsgkogo di Mosca, che ha parlato della Federazione Russa e delle intenzioni per accrescere il commercio del settore vitivinicolo: “bisogna aumentare l’informazione sul vino, sulla qualità e la storia del vino in tutta la Russia. Non solo nelle grandi città. Nella Federazione Russa sarebbe opportuno creare un centro per delle certificazioni per tutelare la qualità del vino. Dobbiamo introdurre nuove tecnologie nelle nostre aziende e industrie. E iniziare a parlare di collaborazione tra agricoltori”.

Focus - Silvana Ballotta, la Ceo di Business Strategies: in Cina aumenta la domanda di sparkling. Cala il prezzo medio ma non per l’Italia
“Le distanze con i competitor si mantengono ampie, ma diversi indicatori ci mostrano come il vino italiano in Cina possa essere non lontano da un punto di svolta. A partire dal suo posizionamento, con il prezzo medio che cresce proprio nell’anno in cui scende in doppia cifra quasi per tutti”. Lo ha detto, oggi a Firenze, al convegno sul commercio internazionale di vino, organizzato dall’Accademia dei Georgofili, la Ceo di Business Strategies, Silvana Ballotta.
“Nei primi 10 mesi di quest’anno - ha proseguito Ballotta a commento delle ultime rilevazioni dell’Osservatorio Paesi terzi - l’Italia cresce nel Paese-locomotiva per le importazioni mondiali di vino di quasi il 20% in valore, in linea con i diretti competitor. La Francia invece frena e chiude con un valore di poco superiore al 5%, determinato soprattutto dalla vistosa discesa del suo prezzo medio (-11,6%)”.
Un calo quello del valore al litro - come segnala l’Osservatorio di Business Strategies realizzato in collaborazione con Nomisma Wine Monitor - che a eccezione di Italia (+3%) e Cile (+42,9%) ha coinvolto anche gli altri Paesi produttori, con l’Australia a -12,7% e la Spagna a -21,2%. Per Ballotta: “Un altro elemento significativo è l’incremento in Cina della domanda di sparkling, a +30,4%, con l’Italia - oggi quinto Paese esportatore verso il Dragone e secondo nella categoria spumanti - che dovrà essere pronta a intercettare questa nuova domanda di bollicine, così come negli ultimi anni è riuscita fare in tutto il mondo”.

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