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Il Pinot nero “torna” in Lucania: tra le ricerche che ne testimoniano la presenza in Basilicata prima che in Francia, come racconta lo studio “Basivin_Sud”, e i produttori investono in questo “ritorno al futuro”, come la Cantina Terra dei Re

Italia
Il vigneto di Pinot Nero, in Basilicata, per molti studiosi terra natia del famoso vitigno

L’intuizione era venuta a Giuseppe Leone, che otto anni fa decise di impiantare un vigneto di Pinot Nero a 800 metri di altitudine nel Vulture. In due ettari di terra a Rionero, sulle pendici del vulcano spento, l’allora enologo della Cantina Terra dei Re - poi scomparso - provò un esperimento che oggi ha portato alla nascita del primo e (finora) unico Pinot Nero della Basilicata: il Vulcano 800. Un azzardo? Un’eresia? O un “ritorno al futuro”, se è vero che quello che è considerato uno dei “re” dei vitigni qui in Lucania sarebbe esistito già oltre duemila anni fa?
“In apparenza non c’era alcuna logica territoriale o collegamento storico - spiega, a WineNews, Paride Leone, fratello di Giuseppe, proprietario della cantina assieme alla famiglia Rabasco - ma qualche anno fa, in seguito a un nostro approfondimento storico, abbiamo rilevato in pieno Ottocento la presenza del Pinot Nero in Lucania nella statistica Murattiana dove sono censiti ben 154 vitigni. Successivamente ne abbiamo ritrovato tracce durante la prima mostra enologica lucana di Potenza nel 1887 e ancora nel 1893 ne parlò l’enologo astigiano Giovanni Bianchi durante la sua reggenza della Regia Cattedra Ambulante di Viticoltura ed Enologia che aveva sede a Rionero in Vulture”.
Ma non solo. A suggerire che il Pinot Nero qui è autoctono è un’indagine molto ampia e complessa, che si avvale della ricerca svolta in tutta la Basilicata dal Crea-Ve (Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’analisi dell’Economia Agraria - Viticoltura Enologia), Unità di ricerca di Turi (Bari), con la partecipazione del ricercatore archeologo del Cnr-Ibam (Consiglio nazionale delle ricerche - Istituto per i beni archeologici e monumentali) Stefano Del Lungo. Il Pinot Nero appare già presente in Enotria (la terra della vite coltivata, che comprende le odierne Basilicata e Calabria, con estensione in Campania) intorno al VII-VI secolo a. C., durante la colonizzazione greca. Raggiungerà il Rodano solo successivamente grazie ai Focei, che dalla seconda metà del VI secolo a. C. stabiliscono il collegamento diretto fra Elea-Velia (costa del Cilento) e Massilia (Marsiglia). Alla colonia greca alla foce del Rodano va poi il merito di aver fatto risalire le varietà lungo il fiume e di averle diffuse, per giungere infine in Borgogna.
Ma possiamo davvero affermare che il Pinot Nero esisteva in Lucania? “Molto probabilmente sì”, risponde il ricercatore archeologo Stefano Del Lungo. “Lo Syrah o Shiraz non è persiano ed è una varietà che si ritrova lungo la valle del Sinni, tra le coste Jonica e Tirrenica della Basilicata, già nel corso del VI secolo a. C.. E senza il Pinot Nero allo Shiraz non si arriva, come appurato dall’Istituto di San Michele all’Adige. Questa appartenenza è anche richiamata dal legame di parentela con l’Aglianico, scoperta dall’Università degli Studi di Milano”. A una “certezza” maggiore si è arrivati combinando la biologia molecolare, la genetica, l’ampelografia e l’agronomia con dati e metodologie sviluppate dalle scienze storiche, archeologiche e antropologiche. Il lavoro, che ha dato vita alla pubblicazione “Basivin_Sud. La ricerca del germoplasma viticolo in Basilicata”, prosegue. “La presenza residuale del Pinot e del Syrah in Basilicata già alla fine del XIX secolo e la loro pressoché nulla interazione con la base ampelografica storica (cioè il patrimonio delle varietà autoctone) finora accertata nel Progetto Basivin_Sud attraverso il recupero e la caratterizzazione molecolare di 618 accessioni di varietà di vite - sottolinea Del Lungo - sono stati messi in relazione con i risultati raggiunti da San Michele all’Adige e dall’Università di Milano. Nell’appurare una sorta di triangolazione fra il Pinot Nero,
il Syrah e l’Aglianico, con un inserimento di quest’ultimo nella linea di discendenza Pinot-Syrah,
si sono avviati ed estesi i confronti con l’intera base e si è fatto appello alle metodologie
analitiche e ai dati acquisiti dalle scienze storiche, archeologiche e antropologiche per arrivare a
capire questa relazione inaspettata e conferirle una tangibilità spazio-temporale. Allo stato
attuale per la presenza del Pinot si è stabilito un ambito geografico ben definito, fra le valli del
Crati, del Laos, il versante tirrenico dell’Appennino campano e lucano e le pianure alle falde dei
Monti Picentini, con un termine cronologico (VII-VI secolo a. C.) a partire dal quale si hanno le
condizioni utili per la generazione del Syrah nella Siritide, da cui trae il nome in quanto Sirica,
e per un viaggio per nave che li porta nella greca Marsiglia, punto di partenza per la successiva
diffusione e risalita nella valle del Rodano”.
Il motivo per cui poi del Pinot si son perse le tracce in Lucania, spiega Paride Leone, potrebbe essere proprio di carattere commerciale: “il Vulture diventò area di approvvigionamento di vini da parte di altre Regioni d’Italia, ma la richiesta era volta esclusivamente all’Aglianico in quanto vino di grande struttura e considerato vino da taglio, non certamente al Pinot Nero che non aveva le caratteristiche richieste. La domanda crescente di Aglianico del Vulture spostò gli interessi commerciali a discapito di altri vitigni coltivati nell’area, tra cui il Pinot Nero”.
Dunque, nessuna “stranezza”, anzi un ritorno alle prime origini della viticoltura. Le prime 1.500 bottiglie di Pinot Nero Lucano Vulcano 800 vedono la luce nel 2016, frutto delle vendemmie del 2014 e del 2015. “Sono state un test - dice Paride Leone - avevamo poca uva e abbiamo dovuto mettere assieme due annate. Ma quest’anno siamo usciti con la vendemmia del 2016”. Il vino, un Igt Basilicata, fa poco acciaio e poi un passaggio in barrique. L’annata 2016, che ha 13,5 gradi, farà circa 6-10 mesi di legno. La produzione sarà di 8.000 bottiglie (sulle 70.000 complessive della cantina) e sono già quasi tutte dirette verso enoteche e ristoranti italiani e del Nord Europa.
Ma il numero potrebbe aumentare. “Continueremo a investire nel progetto del Pinot Nero Lucano impiantando nuovi vigneti e abbiamo già piantato un altro ettaro. E poi vogliamo cercare altri terreni anche a mille metri, perché salire di quota è fondamentale viste le recenti tendenze meteorologiche”.
Le premesse ci sono e sono buone. “Le caratteristiche pedoclimatiche dell’area alta del Vulture sono perfettamente adatte alla coltivazione del Pinot Nero: altitudine, forti escursioni termiche e terreno di origine vulcanica con parti argillose e ridotti banchi tufacei sono elementi essenziali per la produzione di buone uve”, dice il sales manager di Terra dei Re. “In questo 2017 particolarmente caldo, l’altura ha aiutato molto. L’area ha un microclima particolarissimo dovuto all’influsso dell’area boschiva confinante con il vigneto e da una buona ventilazione”.

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