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Il Trentodoc supera i 90 milioni di fatturato, per 8 milioni di bottiglie vendute. Ma solo il 20% finiscono all’estero. Zanoni (presidente Trentodoc): “Italia mercato d’elezione, ma per il futuro puntiamo a crescere in Usa”

Sfiora i 90 milioni di euro il comparto del Trentodoc, e continua a crescere a due cifre con incrementi di valore superiori a quelli in volume. Ed aumenta anche il numero delle cantine dell’Istituto Trentodoc, segnale inequivocabile che i produttori hanno sempre più chiara la vocazionalità del territorio a produrre metodo classico. Il mercato di riferimento per le “bollicine di montagna” è sempre quello italiano ma, “seminando in promozione” e aumentando il numero di bottiglie, crescerà nel medio-lungo periodo anche l’export. I dati 2016 mostrano un importante segnale positivo, una maggiore crescita del valore sui volumi (14% contro 10%) per 90 milioni di euro di fatturato e più di 8 milioni di bottiglie vendute. Il trend positivo continua? La risposta è positiva: parola di Enrico Zanoni, presidente dell’Istituto Trentodoc e direttore generale Cavit, intervistato da WineNews, a “Bollicine sulla Città” (a Trento, dal 17 novembre all’11 dicembre; www.trentodoc.com), momenti diffusi di degustazione delle “bollicine di montagna” per appassionati e operatori sia in città, con il fulcro tra Palazzo Roccabruna (Enoteca del Trentino, ndr) e nelle cantine del territorio. “Gli ultimi dati disponibili dell’Osservatorio, quelli relativi al 2016, hanno confermato la tendenza positiva - spiega Zanoni - ed anzi evidenziano una accelerazione con una crescita del 10% in volume, superando di poco gli 8 milioni di bottiglie, e del 14% a valore, arrivando a sfiorare i 90 milioni di euro per il comparto Trentodoc. Il mercato sta premiando la qualità del nostro prodotto confermando una tendenza che oramai è di qualche anno”.
Una delle componenti dell’aumento del valore del Trentodoc è la maggior produzione, o meglio l’entrata in commercio di un maggior numero di bottiglie di tipologie più pregiate, quelle che rimangono più a lungo sui lieviti. E la tendenza coinvolge trasversalmente sia i piccoli produttori sia i grandi. Il Trentodoc è il metodo classico italiano con maggior vocazione all’esportazione, ma le spedizioni verso i mercati esteri rimangono intorno a una media sul totale della produzione pari al 20%, e la sensazione è che i produttori, pur non tralasciando l’export, cerchino prevalentemente una maggior penetrazione nel mercato domestico.
“Quello italiano rimane il mercato di elezione - continua Zanoni - e la crescita è stata all’incirca omogenea tra Italia ed estero. Gli Stati Uniti sono oggetto ormai da un biennio di una campagna finanziata dai fondi dell’Unione Europea, che proseguirà nei prossimi anni. I volumi, seppur contenuti, sono in crescita, ma riteniamo che, seguendo un percorso di coerenza e continuità, la nostra produzione potrà sicuramente trovare un maggiore spazio sui mercati internazionali nel lungo periodo. Non sono ipotizzabili stravolgimenti a breve, ma crediamo che con una semina costante, con la possibilità di far conoscere la qualità dei nostri prodotti e il marchio, potremo avere anche dall’estero qualche importante risultato, pur non dimenticando che il mercato che può darci ulteriori soddisfazioni è l’Italia”. Ed a dare una spinta alla notorietà del Trentodoc in Italia contribuisce anche il Concorso per il miglior sommelier d’Italia - Premio Trentodoc: “la sinergia con l’Associazione Italiana Sommelier - commenta Zanoni - è un passo fondamentale per l’affermazione del nostro marchio, quale emblema della spumantistica d’eccellenza. Essere partner di questo Concorso, che premia il migliore tra coloro che con grande professionalità promuovono la cultura del buon bere, è per noi il suggello perfetto di questa collaborazione”. Ad aggiudicarsi il titolo per il 2017 è stato Roberto Anesi, trentino, che ha vinto la sfida nella finale a Taormina ad ottobre. Un importante contributo alla reputazione delle “bollicine di montagna” viene anche dai riconoscimenti delle guide e dei concorsi in Italia e all’estero.
“Oltre ai numeri che testimoniano la nostra crescita - dice il presidente dell’Istituto Trentodoc - ci danno soddisfazione anche i costanti e numerosi riconoscimenti della qualità e della bontà dei prodotti dei nostri associati”.
Una congiuntura positiva, insomma, per il Trentodoc, ben rappresentata dalle 47 case spumantistiche del Trentodoc, con 130 etichette in mescita al Muse - Museo delle Scienze, palcoscenico della degustazione che ha svelato le ultime produzioni in commercio: “un buon indicatore del benessere - sottolinea Zanoni - è il numero delle cantine dell’Istituto Trentodoc in continua e costante crescita, al punto che è quasi difficile avere il fixing di quanti sono. Oggi le aziende associate sono 49, alcune di dimensioni ancora piccole, che con grande passione si sono dedicate alla spumantistica, forti di un territorio dalle caratteristiche perfette per produrre Chardonnay e Pinot Nero, i due “ingredienti” fondamentali della nostra produzione di assoluta qualità e ideali per la spumantistica, come già il pioniere Giulio Ferrari all’inizio del Novecento aveva capito. Oltretutto i nostri vigneti, collocati quasi tutti su altitudini importanti, nell’attuale scenario di cambiamento climatico e innalzamento delle temperature medie, ci danno un vantaggio”.
“Molte aziende - commenta Carlo Moser, vice presidente del Trentodoc - hanno compreso le potenzialità del Trentodoc, anche dal punto di vista della marginalità economica del prodotto rispetto ai vini fermi, e ci stanno investendo con convinzione”.
Un’espansione favorita anche dalla collaborazione delle diverse anime della produzione enoica del Trentino - dai piccoli ai grandi privati, alla cooperazione - all’interno dell’Istituto di promozione, che si approssima al rinnovo delle cariche. Alla scorsa scadenza, tre anni fa, è valsa la regola “squadra che vince non si cambia” e sono stati confermati sia il presidente che il consiglio. L’augurio è che l’assemblea esprima il nuovo vertice nella direzione di una stessa “buona alchimia”.
I produttori incontrati nelle sale del Muse sono tutti entusiasti. Sono parte di un progetto che deve la sua validità alla vocazionalità del territorio per la produzione di un metodo classico con caratteristiche peculiari e al successo generalizzato degli spumanti.
“Certo il Trentodoc è ancora una piccola realtà produttiva, con meno di 10 milioni di bottiglie in totale - ammette Paolo Letrari, figlio di Leonello, che, tra i primi con quattro amici visionari, ha creduto nel metodo classico in Trentino - ma abbiamo tradizione e, producendo nel cuore delle Alpi, eccellenza. Un’eccellenza che era il sogno di mio padre, mancato quest’anno, e che io e mia sorella Lucia (enologa da tre decenni in azienda, ndr) vogliamo continuare a valorizzare portando dei prodotti di qualità, riconoscibili per il territorio di provenienza a confrontarsi a testa alta sulla scena internazionale. Seppure soltanto il 10% della produzione di Trentodoc delle aziende medio-piccole, mediamente, varca i confini nazionali, credo che nell’arco di una decina di anni questo dato aumenterà. L’Italia è un Paese grande e ci sono regioni che ci stanno dando soddisfazioni anche nel nostro piccolo, in particolare gli amici del Sud Italia”.
“Principalmente si lavora con l’Italia - aggiunge Alessandra Stelzer di Maso Martis, azienda bio di Martignano - dove peraltro le bollicine hanno avuto un exploit notevole, ma anche all’estero il marchio Trentodoc ha cominciato ad essere conosciuto e nel futuro potenzieremo la nostra presenza che per ora è concentrata negli Usa e a Londra”.
“C’è una grande voglia di conoscere le “bollicine di montagna” - osserva Martin Mainenti della Cantina Borgo dei Posseri di Ala - e i consumatori sono sempre più competenti e curiosi. Abbiamo sposato il progetto di spumantizzazione perché, come azienda di montagna, possiamo attraverso Trentodoc esprimere il territorio ed essere più competitivi sul mercato. Un mercato su cui, a livello di denominazione, stiamo conquistando quote. Per noi che vendiamo in prevalenza in Trentino è importante portare le persone non solo in azienda, ma anche in campagna per mostrare loro quanto amore e dedizione mettiamo nel coltivare la vite. Mi sono chiesto tante volte come fare e quest’anno abbiamo avviato un percorso per enoturisti tra i vigneti. Diamo loro una mappa, un cestino con pane, formaggi e salumi locali e sono liberi di stare quanto vogliono nei vigneti camminando liberamente, vivendo e giudicando il nostro lavoro. Lungo il percorso ci sono nelle postazioni per assaggiare i vini provenienti dal vigneto vicino e così tornano a casa con la memoria di un vino assaggiato nel vigneto che l’ha prodotto”.
Dall’intercettazione dei flussi turistici a quella delle tendenze dei consumi, la conduzione in biologico e l’attenzione alla sostenibilità premiano anche nel caso del Trentodoc. “Il consumatore è sempre più attento a ciò che mangia e beve e avere Trentodoc certificati bio - conferma Alessandra Stelzer - è sicuramente un valore aggiunto. Ciò non vuol dire che il prodotto sia più buono di altri, ma che facciamo tanta attenzione a ciò che ci circonda. Così anche per le richieste del consumatore finale circa le tipologie. Oggi piacciono di più quelle meno dosate, l’extra brut e il dosaggio zero, e abbiamo modificato la nostra gamma di prodotti”.
Una tendenza del gusto iniziata da tempo e generalizzata insieme all’aumento della permanenza sui lieviti. “La domanda si orienta verso prodotti sempre più secchi. Da dieci anni - spiega Donatella Pedrotti, che, con il padre Paolo e la sorella Chiara, è l’anima dell’azienda di Nomi - noi produciamo soltanto Trentodoc e abbiamo scelto di fare affinamenti il più lunghi possibile. Di fatto, raddoppiamo i tempi di permanenza sui lieviti rispetto a quanto previsto dal disciplinare. Partiamo da 32 mesi per i base, siamo a 50 mesi per i millesimati e a un minimo di 6 anni per le Riserve. Abbiamo in cantina delle Riserve “speciali” molto importanti, come attualmente la 1988 che viene sboccata su ordinazione. Prodotti che ci danno estrema soddisfazione per la freschezza e l’acidità che ancora conservano e che custodiamo nella “Grotta dello spumante”, cantina scavata sotto la montagna ai tempi della I Guerra Mondiale, in cui sono assenti vibrazioni e luce e la temperatura è costante”.

“Se i riflettori sono puntati sulle Riserve - aggiunge Paolo Letrari - sono le occasioni di consumo a determinare la scelta. Le Basi a 24 e 30 mesi di affinamento e le tipologie più “impertinenti”, come i Dosaggi zero, vanno molto in alcuni momenti, come l’aperitivo, mentre in occasioni più importanti la scelta cade su bollicine di maggior complessità”.

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