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Dopo 12 anni, successo per l’opera di archeologia ampelografica dell’Università di Bologna: identificata e recuperata la varietà Spergola, che Matilde di Canossa usò nell’11esimo secolo per inebriare Gregorio VII e riappacificare Impero e Papato

Poco oltre il fatidico anno mille correva tutt’altro che buon sangue tra il titolare del Soglio Pontificio, Gregorio VII, e l’Imperatore, Enrico IV di Franconia: l’assegnazione, da parte del secondo, della diocesi di Milano fu infatti la scintilla che fece divampare quella che è passata alla storia come la lotta per le investiture, in un periodo nel quale il potere della dinastia salica sull’Impero non poteva prescindere da un rapporto armonico con il Papato. Un rapporto che tornò a rasserenarsi grazie a un vino, frizzante e leggero, che suggellò il brindisi della pace tra i due poteri, e che veniva creato a partire da un vitigno da Matilde di Canossa, la Contessa inflessibile che governava tra piacentino e modenese. Varietà successivamente inghiottita dalle pieghe della sterminata storia ampelografica italiana, e che solo ora, dopo dodici anni di ricerca e analisi genetiche da parte di un team di studiosi dell’Università di Bologna, capitanati dalla professoressa Daniela Fontana, è stato riportato alla luce senza possibilità di errore.
Il dna dell’uva Spergola, così denominata per il suo produrre grappoli, per l’appunto, spargoli, è stato finalmente isolato e identificato dopo che, nel 2004, il Comune reggiano di Scandiano, insieme a quattro cantine sociali dell’area, ha deciso di promuovere uno studio biologico e genetico di un’uva bianca locale per isolarne il gene: oltre a identificarlo, e a porlo temporalmente proprio nel periodo nel quale la lotta per le investiture mise ai ferri corti Imperatore e Papa, il lavoro dei ricercatori ha permesso di sottolineare anche le notevoli caratteristiche della varietà, che sopporterebbe magnificamente la siccità e prospererebbe, in particolare, proprio in terreni ricchi di struttura e di minerali, esattamente come le colline dell’area di Reggio Emilia.
Una varietà dalla quale si produce, infine, un vino che ha lasciato più segni di sé nel corso della storia: oltre al suo ruolo diplomatico nel rapporto tra Enrico IV e Gregorio VII, risultano anche una testimonianza, risalente al 1580, della moglie di Francesco I de’ Medici, Bianca Capello, Granduchessa di Toscana, la quale scrisse di un “buon vino di Scandiano, fresco e frizzante”, fino agli inizi del diciannovesimo secolo, con Filippo Re che ne descriveva “l’aroma e il gaz”.

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