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Congresso Assoenologi - Toscana, un marchio enoico fortissimo nel mondo, ma che continua ad avere tante anime diverse che convivono: la fotografia scattata dei vertici di Chianti, Chianti Classico, Vernaccia, Nobile di Montepulciano e Bolgheri

Chi ha deciso di cambiare il disciplinare di produzione per “andare incontro al gusto dei consumatori”, chi invece non “tradisce” il Sangiovese, chi punta su identità del vino e integrità del territorio, e chi scommette sul fare squadra e ha scelto di puntare sui vitigni internazionali: è il variegato mondo della viticoltura toscana, emerso dalla tavola rotonda nel Congresso Assoenologi, che ha visto protagonisti i vertici di alcuni dei principali Consorzi di tutela, incalzati dal giornalista e archorman tv, nonche produttore di vino in Puglia, Bruno Vespa. Presenti all’appello Ritano Baragli, vice presidente del Chianti, Sergio Zingarelli, presidente del Chianti Classico, Letizia Cesani, presidente della Vernaccia di San Gimignano, Piero Di Betto, a capo del Nobile di Montepulciano, Federico Zileri Dal Verme, presidente della Doc Bolgheri (assente, seppur nel programma, il Consorzio del Brunello di Montalcino) A San Gimignano, ha ricordato Cesani, “non abbiamo problemi di identità, siamo la prima Docg bianca toscana. Siamo però piccoli e i problemi sono legati a questa dimensione perché non è facile farsi conoscere. La Vernaccia è un bianco un po’ più anomalo di altri. È un vino intrigante e particolare e il nostro consumatore medio non è un consumatore di massa, e questo è un limite e un’opportunità. Se infatti è più difficile raggiungere nuovo mercato poi è più facile fidelizzare un cliente. I nostri consumatori sono soprattutto coloro che sono venuti in Toscana a vedere San Gimignano e hanno conosciuto la Vernaccia. Usa e Germania sono i nostri primi mercati di riferimento”. Inoltre “per noi l’albo dei vigneti è chiuso e un aumento produzione è impossibile. Per il futuro ci immaginiamo una crescita della domanda e non dell’offerta, e una maggiore remunerazione per i soci” anche grazie a “una crescita culturale ed etica diverse”, che parte ad esempio dalla lotta contro il caporalato”.
Il presidente del Consorzio del Nobile Di Betto ha ricordato che quella di Montepulciano, è stata “nel 1980, la prima Docg in Italia a essere riconosciuta. I produttori di vino circa 270 di cui 76 imbottigliatori quasi tutti soci del consorzio con 10 milioni di bottiglie prodotto. Il nostro mercato è soprattutto all’estero con il 46% dell’export che va in Germania e il 26% in Usa. In Italia siamo al 26%”. Attualmente, ha spiegato, “noi copriamo già il 16% del territorio di Montepulciano e stiamo attenti prima di ampliare i nostri confini. Tuttavia non restiamo fermi. Stiamo infatti guardando ad ogni azione per creare identità del Nobile. Un aspetto su cui puntiamo molto è l’ecostenibilità che riguarda in generale tutto il nostro territorio per mantenerlo integro”.
Il vice presidente del Consorzio del Chianti Baragli ha sottolineato che “con una produzione di 850.000 ettolitri, il Chianti è la più grande denominazione di rossi in Italia. L’estero assorbe il 70%, con al primo posto gli Usa e poi la Germania, l’Italia pesa invece per il 33%. Mediamente la produzione annua si attesta tra i 90 e i 100 milioni di bottiglie con punte 113 milioni. La nostra sfida è venderne 120 milioni e far crescere i consumi di Chianti, il mondo è grande e per questo stiamo percorrendo il mondo per far conoscere i nostri vini”. Il problema del Chianti, ha detto ancora, “è rappresentato dal fatto di essere una denominazione ampia con 4.000 aziende socie, dei quali 600 imbottigliatori, ma quelle che fanno massa di imbottigliato sono 10 aziende. Questo fa capire che il mercato dello sfuso è molto importante ed espone denominazione a prezzi troppo alti. Negli ultimi anni abbiamo variato il disciplinare per andare in contro ai gusti dei consumatori, diminuendo la quota minima di Sangiovese dall’80% al 70%, ma ci sono produttori che producono Chianti 100% Sangiovese”.
“Noi stiamo andando invece nella direzione diversa. Stiamo scommettendo sul Sangiovese - ha detto Sergio Zingarelli, guida del Chianti Classico - e oggi stiamo pensando di fare qualcosa in più per la Gran Selezione, l’ultima tipologia di Gallo Nero nata. La nostra zona è molto vocata. Il 78% del Chianti Classico viene consumato all’estero e il resto in Italia, in particolare una bottiglia su tre va in America. Il nostro secondo mercato è la Germania ma il paese che è cresciuto di più negli ultimi anni, circa il 10%, è stato il Canada”.
“Noi a Bolgheri siamo il consorzio più giovane”, ha ricordato il suo presidente Federico Zileri, “siamo 41 produttori su 1.600 ettari. Essendo una denominazione giovane c’è anche una grossa crescita sull’Italia e non solo all’estero. Il mercato italiano è quello che ci sta premiando di più in questo momento. Essendo pochi cerchiamo di essere uniti, e c’è la consapevolezza di lavorare insieme e di produrre un prodotto di assoluta eccellenza. I tassi di crescita anche se la denominazione è chiusa, e prevediamo di arrivare a 7 milioni di bottiglie e non oltre, rispetto agli attuali 6 milioni”.
Una fotografia, uno spaccato di una Toscana che è un marchio enoico fortissimo nel mondo, ma che continua ad avere tante anime diverse che convivono al suo interno.

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