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Congresso Assoenologi - Tignanello e Sassicaia 2008, vini mito di Toscana e d’Italia raccontati dai loro “padri”: Piero Antinori e Nicolò Incisa della Rocchetta, fianco a fianco, come poche altre volte

Non capita tutti i giorni ascoltare Piero Antinori e Nicolò Incisa della Rocchetta che raccontano i loro vini simbolo: Tignanello e Sassicaia (l’ultima volta, in ordine di tempo, a Milano, ad Expo 2015) e non capita tutti i giorni trovarsi nel bicchiere due dei vini che hanno fatto e fanno la storia enoica italiana e che, senz’altro, hanno realizzato, da protagonisti, il cosiddetto “Rinascimento” enologico del Belpaese, coinciso con il successo internazionale dei vini tricolore. Una piccola impresa, che oggi è riuscita, a Firenze, nel Congresso degli Enologi Italiani n. 72 (17-19 novembre; www.assoenologi.it).
Senza tanti giri di parole, stiamo parlando di due vini fondamentali per tutta l’enologia italiana, concepiti e realizzati dallo straordinario talento dell’enologo italiano forse più importante, quel Giacomo Tachis, da poco scomparso, che ha dettato le linee guida di questa professione, oggi celebrata dai suoi principali protagonisti: gli enologi italiani, appunto.
Per comprendere l’origine del Tignanello, bisogna tornare indietro, agli inizi degli anni Settanta, quando il Chianti Classico era in grave crisi, mentre da qualche anno si era fatto strada nel settore dei “vini di lusso” Tancredi Biondi Santi, poi suo figlio Franco, e il loro Brunello di Montalcino, che costava molto di più di un Chianti Classico. Si rendeva necessario un cambio di passo e di direzione ed a Piero Antinori ed a Giacomo Tachis venne in mente di fare un vino con sole uve rosse, come era il Brunello, ma “lavorato” con uno stile neo-bordolese, con l’uso di piccoli fusti di rovere. Nello stesso tempo Tachis stava collaborando anche con Nicolò Incisa della Rocchetta per mettere a punto il primo Sassicaia da proporre sul mercato, ed aveva a che fare con vitigni diversi dal Sangiovese. Il Tignanello nacque così. La prima edizione, quella del 1970, uscì ancora come Chianti Classico Vigneto Tignanello Riserva, composto da Sangiovese, Canaiolo, Trebbiano e Malvasia. La prima annata del Tignanello “nudo e crudo”, uscito come Vino da Tavola di Toscana, fu quella del 1971 con un uvaggio analogo, ma maturato in fusti di rovere di Slavonia da 350 litri. Le barriques, le sole uve rosse ed il Cabernet Sauvignon, arrivarono con la versione del 1975, la seconda. Era nato il primo vino realizzato come un progetto, e non frutto di una tradizione familiare o aziendale. Primo Sangiovese ad essere affinato in barrique, primo vino rosso moderno, assemblato con varietà non tradizionali e tra i primi vini rossi nel Chianti a non usare uve bianche. Insomma, il primo vino moderno in Italia. Dal 1982 la composizione è rimasta la stessa di quella attuale e comprende Sangiovese, Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc ed è prodotto soltanto nelle annate migliori (non è stato prodotto nel 1972, 1973,1974, 1976, 1984, 1992 e 2002). Le uve provengono dai 57 ettari di vigneto della Tenuta Tignanello, il Cru Tignanello ed è prodotto in 350.000 bottiglie all’anno.
Quasi negli stessi anni, come accennato, in un altro angolo di Toscana, sulla costa maremmana. Mario Incisa della Rocchetta, appassionato di vini francesi, aveva impiantato negli anni Quaranta un vigneto nel podere di Castiglioncello, in un luogo incontaminato immerso nella macchia, da cui otteneva un vino destinato all’autoconsumo. Quello dell’entroterra bolgherese è un ambiente particolare, profumata di mirto, rosmarino e ginestra che si specchia nel mare, non molto lontano. Le uve Cabernet furono giudicate da Mario Incisa le più adatte, in considerazione delle similitudini pedoclimatiche, con l’areale bordolese. Negli anni Sessanta fa il suo ingresso in cantina, un nipote di Mario, Carlo Guerrieri Gonzaga (oggi patron della trentina Tenuta San Leonardo, ndr), fresco di studi enologici, il quale ebbe il merito di affinare il lavoro di Mario Incisa della Rocchetta. Intanto, il Cabernet prendeva il suo spazio nel vigneto Sassicaia, da cui il vino prese il definitivamente il nome. Nel 1968, gli Incisa, stringono un accordo con i cugini Antinori, per la vendita del Sassicaia attraverso la loro rete commerciale ed arriva a Bolgheri Giacomo Tachis, che divenne subito amico e complice di Nicolò, figlio di Mario Incisa. I cambiamenti furono numerosi e le scelte semi-artigianali precedenti, furono rapidamente abbandonate in favore delle vasche d’acciaio e delle barrique francesi. Tachis definì il 1968 “un esperimento, frutto di un assemblaggio di una quindicina di fusti di diverse annate: il 1966, 1967, e in gran parte 1968, oltre ad una piccola parte di 1965. Il tutto per un totale di 3.000 bottiglie”. L’annata della svolta fu, però, la 1972. L’annata 1969 non fu invece imbottigliata e lo stesso destino toccò alla 1973, ma a parte questi due episodi il Sassicaia è sempre stato presente all’appuntamento anche nelle annate più difficili. Nel 1978, arriva la consacrazione internazionale. In una degustazione con campioni anonimi organizzata a Londra, il Sassicaia di un’annata eccezionalmente piovosa come il 1972, sbaraglia i migliori 32 Cabernet Sauvignon del mondo tra cui i migliori Château bordolesi. Un evento eccezionale che un italiano mettesse in riga dei francesi. A questo punto il Sassicaia diventa un fenomeno planetario e un simbolo dell’eccellenza del vino italiano nel mondo. Oggi il Sassicaia, ottenuto da 90 ettari di vigneto (per una produzione che si aggira sulle 250.000 bottiglie), collocati in varie zone pedoclimatiche, da passione di famiglia è una delle poche etichette italiane di culto. Si è meritato una “sottozona” tutta sua, ha fatto nascere una zona vinicola, Bolgheri, che prima non esisteva, dove oggi le etichette di grandi vini non sono più una rarità, ma l’alternativa mediterranea ai grandi Cru del Médoc.
Ma veniamo al bicchiere, nella degustazione di eccezione di scena, oggi, a Firenze.
I due vini sono accomunati da un’annata tendenzialmente un po’ “nascosta”, poco alla ribalta, la 2008 (inverno freddo, primavera piovosa ed estate calda, con i mesi di settembre ed ottobre molto favorevoli per la vendemmia), ma dagli esiti qualitativi molto interessanti e, ad un decennio della sua raccolta, addirittura affascinanti, che la pongono fra le possibili migliori della Toscana.
Il Tignanello 2008 di Antinorioffre grande intensità olfattiva, che passa dal frutto maturo e sotto spirito alla liquirizia e alla vaniglia. In bocca, possiede progressione gustativa contrastata con dolcezza e acidità in continuo incrocio, finale lungo e persistente con tannino risolto e morbido.
Di grande spessore, come gli capita con sorprendente continuità, il Sassicaia 2008 della Tenuta San Guido. Il naso è complesso e sfaccettato, chicchi di caffè, macchia e piccoli frutti rossi ancora fragranti. La bocca è assoluta per equilibrio, rotonda ma vivace, dolce ma freschissima, senza cedimenti arriva ad finale a dir poco aggraziato.

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