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Congresso Assoenologi - Produrre con sostenibilità e “rispetto” sarà il futuro del vino. Perchè è giusto, e perchè sarà un affare. Ma serve ricerca, e un approccio laico. Il messaggio di Farinetti, Cotarella (Antinori) e Scienza (Università Milano)

Produrre con sostenibilità, etica e rispetto per la terra e per i consumatori sarà il futuro del vino, non solo perchè è giusto, ma anche perchè sarà un affare. Per farlo, però, serve un approccio convinto ma laico, e la volontà, anche politica, di investire, anche economicamente, nella ricerca scientifica, senza ideologie o pregiudizi. Messaggio all’apparenza semplicissimo, nel concreto complicatissimo da mettere in pratica, quello che dal Congresso Assoenologi a Firenze, hanno lanciato, da diversi punti di vista, il patron di Eataly e di Fontanafredda Oscar Farinetti, l’ad della Marchesi Antinori, tra le realtà leader del vino italiano, Renzo Cotarella e il professor Attilio Scienza, ordinario di viticoltura all’Università di Milano.
“Sono anche produttore , ma parlo da mercante - ha detto Farinetti, rivolto agli enologi - perchè sul vino rispetto a voi ho troppe poche vendemmie alle spalle. Ma da mercante dico che il vero affare del futuro, anche per il vino, sarà il “rispetto”, che è la stessa cosa di quello che voi chiamate sostenibilità. Dobbiamo far diventare di moda il comportarsi bene, con rispetto per la terra e per chi il vino lo beve, passare dal farlo per dovere al farlo per piacere, e anche perchè rende”.
Per Farinetti, viviamo in un epoca in cui “la rivoluzione del linguaggio artificiale abbinata ad Internet sta portando un cambiamento pari a quello che ha portato la scoperta del fuoco. Ma è un’epoca dominata dagli ingegneri che creano questo linguaggio. Il “rispetto”, che è alla base della sostenibilità, è un concetto umanistico. E noi che siamo umanisti dobbiamo fare con gli scienziati come fece Lorenzo il Magnifico, mettendo al centro del business il “bello” e convincendo i vari Verrocchio, Leonardo da Vinci e così via che era anche redditizio: dobbiamo convincere gli ingegneri e gli scienziati a lavorare per il buono, per il rispetto della terra, per creare lavoro e non per distruggerlo”. E se in questo scenario il vino con il suo valore simbolico può giocare un ruolo importante, l’Italia, nella scena enoica, è destinata a giocare un ruolo da protagonista, ma a patto che investa tutto sulla “pulizia” dei suoi vini.
“Oggi il mercato del vino mondiale è piccolissimo, vale 60-70 miliardi di euro alla produzione, la metà di quello della Coca-Cola Company - torna a dire Farinetti - perchè 2/3 del mondo oggi non bevono vino, ma lo faranno perchè è la bevanda più buona del mondo, e quando la assaggi poi non la lasci più. E il futuro sarà del vino “sostenibile”, che sia “bio” o “libero”, come lo chiamo io, prodotto con rispetto, con un residuo chimico quasi zero, che non faccia male. È lampante che quel vino li sarà il futuro, si venderà di più, con margini migliori, lo dico da mercante che gira il mondo: c’è una domanda sempre più forte di prodotti con queste caratteristiche, e verso l’Italia in questo senso c’è un’aspettativa forte, perchè siamo già sentiti come il Paese più verde del mondo. Dobbiamo arrivare primi, in questo superare la concorrenza, ed in questo dovrà avere un ruolo fortissimo il vino che oggi ci rappresenta di più nel mondo, che non è il Barolo, non è il Brunello di Montalcino, non è Bolgheri, ma è il Prosecco.E l’Italia può avere un ruolo da vera leader. Io mi sono permesso di scrivere anche al presidente americano Donald Trump, perchè in Usa Eataly è considerato una cosa seria, più che in Italia, per chiedergli di riprendere il mano gli accordi sul clima ed investire nella pulizia dell’ambiente, che sarà il vero business e porterà un sacco di soldi”.
Insomma, per amore e per affari, la sostenibilità è il futuro. Ma non deve essere approcciata in maniera ideologica, perchè è declinabile in molti modi. “Con Antinori abbiamo 2.300 ettari in tutta Italia - sottolinea l’ad Renzo Cotarella - principalmente in Toscana, ma anche in Umbria, Puglia, Lazio e Lombardia. È ovvio che guardiamo alla sostenibilità, e conduciamo i nostri vigneti in maniera diversa a seconda delle condizioni. Nel 71% delle superfici facciamo lotta integrata alle malattie e ai parassiti, nel 9% il biologico, nel 20% seguiamo lo stesso schema del biologico, ma non lo certifichiamo per avere una maggiore flessibilità per gestire le possibili emergenze. Perchè il primo obiettivo, se si pensa alla sostenibilità di chi beve, è avere uve sane per fare un vino sano, e con il biologico, non sempre e non dovunque è possibile. E non è solo una questioni di costi, anche se il biologico ovviamente costa di più: il metodo bio presenta anche una finestra di intervento ridotta quando ci sono problemi, e una minore flessibilità per la difesa fitosanitaria in annate difficili. Di certo ridurre l’impatto ambientale, quale sia il metodo di coltura, è un dovere di tutti, ed in questo aiuterà anche il futuro con lo sviluppo, per esempio di macchinari per lavorare in vigna sempre più alimentati ad elettricità, che non sono una realtà poi così lontana”.

È un fatto, comunque la si veda, che molta della sensibilità al tema della “sostenibilità” è dovuta ad una crisi climatica costantemente sotto i riflettori.
“Ma crisi vuol dire cambiamento, e il valore positivo di questa crisi ambientale - ha detto il Professor Attilio Scienza - è che ci costringe a delle scelte. Nel passato le grandi scoperte, gli sviluppi di conoscenza sono frutto delle crisi, da sempre acceleratori del cambiamento, basta pensare a quello che è successo con la fillossera o con le malattie africane, o al Medio Evo, quando la struttura vinicola è cambiata del tutto per la piccola glaciazione, ed è nata vera genetica, con selezione di varietà che resistevano meglio al freddo. Oggi per la viticoltura c’è la grande possibilità di fare un salto in avanti, con la prospettiva di fare vino buono, a prezzi ragionevoli e con tecniche sostenibili, anche con i cambio climatico, che porterà a meno disponibilità di acqua, per esempio, o alla tendenza alla desertificazione, anche in Italia, di territori in cui si produce vino. Ma dobbiamo investire di più in ricerca dell’apparato radicale, che per molti anni è stato trascurato dagli studi scientifici, ma che è il vero cervello della pianta. E quindi sui portinnesti. Quelli che abbiamo creato con il progetto guidato dall’Università di Milano, la serie “M”, stanno già dando buoni risultati in termini di minor consumo di acqua, di resistenza allo stress idrico e termico, e di affidabilità sulla concentrazione zuccherina e sulla quantità prodotta. Ma dobbiamo investirci, anche come scelta politica, perchè serve un sostegno economico, e dallo Stato ne arriva davvero poco. Noi facciamo molta sperimentazione, per esempio con il Wine Research Team, che mette insieme più di 40 importanti aziende italiane, o con Winegraft (società che mette insieme Ferrari, Zonin, Banfi, Armani Albino, Cantina Due Palme, Claudio Quarta Vignaiolo, Bertani Domains, Nettuno Castellare, Cantine Settesoli, insieme a Fondazione di Venezia e Bioverde Trentino, sotto il coordinamento dello professor Scienza, ndr), nata proprio per sostenere questo progetto e poter creare così un innovativo sistema virtuoso di collaborazione tra università, aziende e mercato, che permette alla ricerca di finanziarsi con i proventi derivanti dalla commercializzazione dei nuovi portainnesti affidata, in esclusiva mondiale, ai Vivai Cooperativi Rauscedo”.
Tante visioni, tanti progetti, alcuni, per fortuna, già realtà. Ma se la “sostenibilità” non diventa un valore condiviso da tutti, capace di unire e non di dividere, con posizioni ideologiche opposte, spesso neanche disposte al dialogo, la strada sarà più difficile.

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