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Più “casual”, attento a vini meno costosi, soprattutto dal nuovo mondo, ma sempre cercando soprattutto l’abbinamento con il cibo: il mercato enoico del Giappone, il più maturo in Asia per l’Italia, analizzato da WineIntelligence

Il Giappone, mercato asiatico più maturo per l’Italia del vino (nel 2016 400.000 ettolitri importati per un valore di 150 milioni di euro, dati Ice), sta vivendo profondi cambiamenti, con il consumo del nettare di Bacco che sta diventando più “casual”, e sempre più appannaggio delle generazioni più giovani, nonostante una popolazione che sta invecchiando. È quanto sostiene il “Japan Landscapes 2017” dell’agenzia Uk Wine Intelligence, che rileva però anche delle criticità, come la sostanziale mancanza di preparazione sul vino nei punti vendita che rischia di minare la crescita del mercato enoico giapponese, dove invece, una cultura ipertecnologica apre tante possibilità di comunicazione, formazione e promozione attraverso i social media.

Un mercato che, spiega il report, sta registrando una diminuzione nei volumi, almeno nel breve termine, dopo un lungo periodo di crescita, e vede i consumatori regolari di vino (30 milioni di persone) ridurre i loro consumi anche a causa dell’invecchiamento della popolazione, con oltre la metà dei maggiori bevitori che supera i 55 anni. Calo che ancora non è compensato dall’arrivo delle nuove generazioni di bevitori di vino che, tra le altre cose, prediligono quelli del Nuovo Mondo che sta costruendo con loro connessioni forti ed incisive grazie agli investimenti su web e social. Come confermano, per esempio, le ottime performance del Cile, primo esportatore in volume, che vede 6 marchi tra i primi 10 più quotati in Giappone, ma molto bene fanno anche Australia, Nuova Zelanda e Sudafrica. Dove il canale On-Trade (fuori casa) rimane molto importante, soprattutto sul fronte della garanzia del prestigio e dell’origine dei vini, ma nel contempo crescono gli acquisti nei convenience store, con sempre più vini di basso prezzo che arrivano sul mercato, soprattutto a discapito delle etichette del Vecchio Mondo produttivo, percepite come meno accessibili e convenienti rispetto a quelle che arrivano da altre parti del pianeta. Molto apprezzato, infine, il tema della naturalità dei prodotti e del biologico. Ma sottolinea Wine Intelligence, c’è grande confusione su questo aspetto sia tra i consumatori che tra gli addetti ai lavori. Nel frattempo, la produzione domestica, che vale il 32% del mercato complessivo, vede la sua qualità percepita in crescita.

Tra i principali criteri di scelta di quale vino bere, secondo il report, al top c’è l’abbinamento con li cibo (76%), seguito da Paese di provenienza (62%) e territorio di origine (60%), poi le indicazioni sul profilo organolettico che si trovano in etichetta o sugli scaffali (57%), il vitigno (55%) e il consiglio di un amico o di un familiare (50%). In fondo alla classifica, invece, premi ricevuti dal vino o consigli di critici e wine writer (31%), offerte promozionali (32%) e giudizi e suggerimenti di guide e pubblicazioni a tema (33%).

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