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Oggi in Italia più domanda di vini bianchi che di rossi, che però sono ancora colonna dell’export, e storia del vino italiano. Numeri e riflessioni da “Rosso come il vino”, nei 50 anni della Doc Rosso Conero, prima denominazione rossista delle Marche

Italia
Il vino bianco corre più del rosso sul mercato dei consumi italiano

“I vini rossi sono la storia di questo Paese”, ha detto Giuseppe Liberatore, ex dg del Consorzio del Chianti Classico, da oggi alla guida di Valoritalia. “Ed esprimono il territorio molto più dei bianchi”, ha aggiunto il presidente di Assoenologi Riccardo Cotarella. Eppure, se la domanda esplode a Oriente e cresce ancora in Canada e Usa, diminuisce invece in Europa e soprattutto in Italia. Dove i bianchi, con un sorpasso storico, battono al fotofinish i rossi nei consumi rilevati nel 2016, (40,6% per i bianchi fermi, 40,2% per i rossi fermi). Complice, la progressiva contrazione della domanda interna e il relativo calo delle vendite (-14%) nell’ultimo quinquennio. All’estero va meglio grazie alla crescita (+50%) del prezzo medio negli ultimi 10 anni, con la forbice di prezzo con la Francia che si è ridotta per l’imbottigliato (nel 2006 3,88 contro 2,86 dollari al litro, oggi siamo a 5,18 per i francesi e 4,29 per gli italiani), per vincere occorre spostare l’obiettivo più a Est, dove la domanda corre. Emerge dall’analisi di Wine Monitor nel convegno “Rosso come il vino”, di scena oggi a Camerano dall’Istituto Marchigiano di Tutela Vini (Imt) per i 50 anni della Doc Rosso Conero, prima denominazione rossista delle Marche, nella tappa di “Collisioni Jesi” del “Progetto Vino” di Collisioni, guidato da Ian d’Agata. “Assistiamo a una repentina migrazione della domanda di vino rosso - ha spiegato Denis Pantini di Wine Monitor Nomisma - e alcuni nostri mercati storici sono depressi. In Germania negli ultimi 5 anni i volumi globali di rossi fermi importati sono calati del 7%, in Svizzera del 9% e in Gran Bretagna del 10%; allo stesso tempo volano quelli di Giappone (+26%), Cina (+25%) e Corea del Sud (+16%), oltre a Canada (+16%) e Usa (+11%).Sebbene nell’ultimo quinquennio le dinamiche di crescita dell’export italiano di vini rossi imbottigliati siano state nettamente inferiori a quelle degli spumanti (+18% contro +118%), questa categoria continua a rappresentare il 41% di tutto l’export in valore di vino dall’Italia, compresi gli sfusi. È tuttavia innegabile come sia sul mercato nazionale che in quelli più tradizionali europei (Germania e UK), i consumi di vino rosso stiano diminuendo mentre aumentano nei mercati asiatici, in Nord America e in Scandinavia dove il vino rosso viene maggiormente apprezzato per motivi salutistici, di maggior facilità nell’abbinamento alla cucina locale ed anche per ragioni climatiche - come nel caso del Canada o dei Paesi scandinavi - o “scaramantiche” (Cina). Questi cambiamenti di mercato implicano necessariamente modifiche nell’approccio e nelle strategie dei produttori di rossi italiani, il che non significa snaturare né il prodotto né le proprie tradizioni ma ragionare sul potenziale delle altre leve di marketing”.

L’Italia dei vini rossi mantiene la leadership mondiale nella produzione mentre rimane dietro la Francia nelle esportazioni, con 2,3 miliardi di euro di vendite dell’imbottigliato all’estero nel 2016 contro i 3,7 miliardi dei transalpini. Un divario rimasto quasi invariato negli ultimi anni, in cui però si è ristretta la forbice del prezzo medio a vantaggio dell’Italia: se nel 2011 un litro di rosso francese valeva in media il 35,6% in più di quello italiano, oggi la differenza si è ridotta al 20,7%. Tra i principali consumatori globali, la Cina consolida il primo posto con 16 milioni di ettolitri di vino consumati nel 2016, davanti a Usa, Francia, Italia e Germania, dove la domanda vale meno della metà rispetto a quella del Paese del Dragone. Nello speciale confronto Francia-Italia, tra le Dop stravince il Bordeaux che nel 2016 ha registrato un valore di 1,6miliardi di euro. Segue la Toscana con 531 milioni di euro, la Borgogna con 352 milioni di euro (con un super prezzo medio: 23,5 euro al litro), il Veneto a 272 milioni di euro e il Piemonte con 243 milioni di euro. La ricognizione sui valori esportati nei primi 5 mesi di quest’anno vede infine la Francia allungare le distanze, con un export dei fermi imbottigliati a +19,4% sul 2016 e l’Italia a +4,4%.

Eppure, in molte Regioni la produzione rossista continua ad essere predominante: è l’88% del totale in Toscana, l’83% in Basilicata, il 76% in Calabria, il 66% in Abruzzo, il 64% in Valle d’Aosta, il 63% in Molise, il 56% in Piemonte, il 55% in Puglia, il 54% in Sardegna e Campania. E nelle Marche, dove la locomotiva enoica è indiscutibilmente il Verdicchio, la produzione rossista, che nel Conero ha la sua storia, vale il 47%.

“Anche per questo come Istituto Marchigiano di Tutela Vini - ha detto il direttore Alberto Mazzoni - abbiamo intensificato l’azione sui Paesi terzi emergenti, destinando circa il 40% dei fondi della misura Ocm Promozione a Cina, Giappone, Russia e India, ma senza dimenticare Stati Uniti (34,5%) e Canada (19,3%)”. Eppure, a frenare lo sviluppo potenziale della Doc Rosso Conero, l’impossibilità, quasi paradossale, di poter indicare il vitigno principe da cui nasce, il Montepulciano d’Abruzzo (tra i più conosciuti nel mondo) nella retro etichetta, per questioni legate alla diatriba storica tra Nobile di Montepulciano e la stessa denominazione abruzzese: “e su questo siamo pronti a non fari sconti, e ad arrivare anche a Bruxelles”, ha aggiunto Mazzoni.
Nondimeno, il Rosso Conero ha un grande legame con il suo territorio, “è il vino storico degli anconetani, e sempre più con il porto di Ancona che è porta per tanti Paesi del Mediterraneo, può diventare un grande motore anche per l’enoturismo”, ha aggiunto Massimo Bernetti, alla guida con il figlio Michele di Umani Ronchi, tra le aziende che hanno segnato il rinascimento enoico delle Marche.

E anche il suo mercato conferma questo legame, visto che il profilo del consumatore tipo, secondo Wine Monitori, è un cinquantenne, proviene dal Centro-Sud, con un reddito medio alto e padre di famiglia, consuma - soprattutto a casa - oltre 4 bicchieri di Rosso Conero alla settimana, è di origini marchigiane o è stato nelle Marche in vacanza o per lavoro. Secondo la survey, pur essendo un prodotto di nicchia (49 produttori di uve, 45 imbottigliatori e 12.500 ettolitri certificati), il Rosso Conero vanta una caratterizzazione e una riconoscibilità forte se è vero che - dopo il Verdicchio e assieme al Rosso Piceno - è il vino regionale più conosciuto tra i consumatori, che lo acquistano per la propria territorialità e popolarità. “Stiamo lavorando molto sulla qualità di un prodotto molto particolare - sottolinea Mazzoni - e i risultati si stanno notando, ora serve puntare sul marketing e su una maggiore presenza nel fuori casa, anche perché stiamo riscontrando un buon apprezzamento da parte dei millennials”.

“Quella del Rosso Conero è una zona benedetta da Dio - ha sottolineato Ian d’Agata - e la cosa interessante da prendere in considerazione è che se da una parte è un territorio unico, bellissimo, dall’altra è composta da aree molto diverse tra loro. Per questo occorre dare valore alla diversità e alle tante sfaccettature che possono rispecchiarsi nel bicchiere”.

Però, per crescere, ci vuole tempo, come ha raccontato anche Giuseppe Liberatore, da oggi dg di Valoritalia, e storico ex direttore del Consorzio del Chianti Classico. “Denominazione che nel 2008 ha avuto un crollo, -30%, ma raccogliendo i frutti di un lavoro di ricerca che è iniziato nei primi del 2000 con lo studio di nuovi cloni, e tanti investimenti nelle regole della denominazione, come l’introduzione della Gran Selezione, e tanto marketing, oggi siamo al nono anno di crescita consecutivo, ed il Chianti Classico è tornato a correre, superando anche i livelli di prima di quella crisi storica”.

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