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“Alla fine, è un prodotto agricolo”: a valle dell’approvazione della “Proposition 64”, che ha legalizzato (quasi) del tutto la cannabis, la California punta su denominazioni, informazioni in etichetta e controlli sulla filiera

Nel novembre 2016 la popolazione della California ha approvato la “Proposition 64”, l’iniziativa di legge popolare che ha legalizzato la coltivazione, il possesso e la vendita della cannabis. Con il “Golden State”, quindi, sono diventati nove gli Stati dell’Unione che, in contrasto con la legge federale, hanno deciso di cambiare rotta rispetto al tradizionale approccio della “tolleranza zero” esemplificato da decenni di (fallimentare) guerra alla droga; ma quel 57% di “si” rappresentano un punto di svolta rilevante nella storia degli Usa, non solo per il fatto che la California è lo Stato più popoloso dei 50 e la sesta economia del mondo, ma perché si sta pur sempre parlando del cuore agricolo del Paese più ricco e potente del pianeta, oltre alla sua punta di diamante vitivinicola. Un’industria florida e pienamente integrata nel tessuto produttivo e sociale dello Stato, al quale ha garantito consistenti benefici economici e di immagine a livello globale - e un’industria che, senza pregiudizi e preconcetti, sta affrontando questo cambiamento in maniera aperta e realista, sia per quanto riguarda la coabitazione della coltivazione della canapa con quella dell’uva che per quanto riguarda la compresenza dei due prodotti nei rispettivi terroir d’elezione.
Il concetto di terroir è infatti il primo, ma non l’unico, punto di contatto tra le due industrie: nella sola contea di Mendocino, ad esempio, è già allo studio una suddivisione delle “appellation” della cannabis in undici sottozone, dalla zona costiera di Albion alla Ukiah Valley, proprio sulla falsariga delle Ava statunitensi, le Doc d’oltreatlantico. Il bacino di produttori che la “Prop 64” mira a far emergere alla legalità, inoltre, è il quintuplo di tutti i produttori vinicoli dello Stato, e il gettito fiscale ipotizzato dalla messa a regime del sistema di vendita legalizzata (con le accise fissate al 15%) è secondo alcune stime pari a un miliardo di Dollari l’anno. Una cifra rilevante, oltre la metà della quale verrà impiegata per programmi di informazione al consumo corretto per i giovani, e un ulteriore 20% per progetti di conservazione ambientale. La legislazione statale, inoltre, prevede anche l’introduzione di una filiera controllata dalla pianta allo scaffale, tramite tecnologie come droni e codici QR, oltre a una standardizzazione delle informazioni in etichetta - un elenco che include le varietà usate, luogo e tecniche di coltivazione (incluso l’uso o meno di trattamenti), il contenuto di principio attivo e altre molecole che influiscono sul “palato” del consumatore e così via.
Punti di contatto non secondari, se si è disposti a cambiare prospettiva: e a quanto pare il settore vitivinicolo californiano lo è eccome, a giudicare non solo dal fatto che la contea di Napa ha creato da tempo una tavola rotonda permanente tra soggetti pubblici e privati per discutere della futura coabitazione, ma che, come riportato dal Napa Valley Register (www.napavalleyregister.com), lo studio legale più importante dell’area, Dickenson Peatman & Fogarty, ha deciso di aprire un gruppo di lavoro focalizzato esclusivamente sulla nascente industria della cannabis. Punto non secondario, DP&F ha tra i suoi principali clienti alcuni dei soggetti aziendali più noti dell’intera filiera produttiva e distributiva del vino californiano, e le similitudini, in termini di necessità legali, dei due settori sono evidenti, come sottolineato dalla managing partner dello studio Carol Kingery Ritter. “Siamo uno studio dedicato al vino. E’ il nostro pane quotidiano, ed è quello che continueremo a fare. Ma l’industria della cannabis è un’opportunità, perché ci sono molte similitudini tra le due in termini di supporto legale. Alla fine, la cannabis è un prodotto agricolo”, ha concluso. Nel giro di cinquant’anni, le ha fatto eco Erin Calstrom, membro del gruppo di lavoro dello studio, “vedremo questo periodo come vediamo oggi quello che ha seguito la fine del Proibizionismo”.

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