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I “tempi d’oro” dei prezzi bassi appartengono al passato, ma investire negli en primeur garantisce ancora ritorni sull’investimento doppi sui tassi di crescita di indici azionari e oro. Almeno per i nomi dell’empireo bordolese ...

Italia
Investire in grandi vini en primeur è e rimane redditizio, almeno per i nomi dell’empireo bordolese

Negli ultimi anni il mercato della vendita en primeur ha mostrato una variabilità decisamente notevole: con il definitivo arrivo degli investitori asiatici tra 2009 e 2010, infatti, i prezzi sono volati verso l’alto, spesso senza un’adeguata giustificazione in termini di qualità, col risultato che nel quinquennio successivo il mercato si è quasi fermato. Ma a ben vedere, investire (a ragion veduta) nei futures dei vini più blasonati del mondo enoico può garantire ritorni sull’investimento di quasi il 50% nel giro di due anni, in un contesto di tassi di interesse a zero - e con la crescita sia degli indici azionari che dell’oro che non è arrivata sopra al 17%. A dirlo, conti alla mano, un’analisi del ricercatore di mercato Philip Staveley, pubblicata da “The Drinks Business” (www.thedrinksbusiness.com), nella quale l’ex banchiere d’investimento prende in esame gli ultimi dieci anni circa delle performance, in termini di valore, dei future sia dei premier cru che di altri nomi di assoluto rispetto del panorama enoico francese.
Sebbene, come premesso da Staveley, i tempi d’oro degli anni Ottanta (nei quali gli investimenti iniziali richiesti erano di tutt’altra caratura, in termini monetari) siano ormai tramontati, il mercato ha dimostrato di essersi saputo riprendere agevolmente dalle pessime performance del periodo 2009-2011, a propria volta frutto anche dei ritorni favolosi garantiti dalle annate 2007 e 2008. Se si prendono in esame i ritorni garantiti dalle annate 2012, 2013 e 2014 di più grandi nomi, le cifre sono a dir poco rilevanti: nel caso di Lafite, ad esempio, si parla di percentuali pari al 20, al 57 e al 61%, in quello di Margaux di una forchetta compresa tra il 40 e il 55% e per Haut-Brion di un’intervallo compreso tra il 22 e il 56%.
Mutatis mutandis, il fenomeno si è replicato anche per le etichette di Saint Emilion, anche se in questo caso a registrare i risultati meno lusinghieri sono stati nomi del calibro di Cheval Blanc e Ausone, come conseguenza della loro “promozione” a grand cru classé A. In ultima analisi, conclude quindi Staveley, un investimento negli en primeur è ancora uno dei più redditizi che si possano fare, posto che si conoscano a sufficienza il contesto storico e le performance recenti delle etichette in cui si decide di farlo.

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