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Il futuro del vino in Cina, e le possibilità per il vino italiano, nel dialogo tra WineNews e Li Demei, professore di Enologia al Beijing Agriculture College. “Per competere davvero con la Francia bisogna investire in promozione ed educazione”

Italia
Li Demei, professore associato di Wine Tasting ed Enologia al Beijing Agriculture College e firma di “Decanter China”

Il presente del vino in Cina parla di consumi medi ancora bassissimi, ma anche di un valore complessivo al consumo di 15,5 miliardi di dollari per 632,4 milioni di litri commercializzati, di cui il 40% importato dall’estero, ma a quali dinamiche assisteremo i prossimi anni, considerato che il Governo di Pechino ha deciso di investire in maniera massiccia sull’impianto di migliaia di ettari di vigneto, e quindi su una risposta autarchica alla crescita della domanda. Un quadro complesso, che WineNews prova a “dipingere” con uno dei massimi esperti del mondo enoico di Cina, Li Demei, professore associato di Wine Tasting ed Enologia al Beijing Agriculture College e firma di “Decanter China”.
“Il consumo di vino in Cina è in costante crescita, e di conseguenza le importazioni, ma anno dopo anno anche la produzione interna sta facendo lo stesso. Al momento - racconta Li Demei a WineNews - i consumi di vino domestico e di quello importato sono quasi alla pari, con quote di mercato del 50% ciascuno, ma credo che nel futuro si berranno più vini internazionali che domestici, perché produrre vino in Cina è molto difficile. Però, penso anche che berremo più vino, e meno liquori e altre bevande alcooliche”.
La posizione dell’Italia, però, sembra ancora difficile, schiacciata com’è tra il primato inattaccabile della Francia e la concorrenza di Australia, Nuova Zelanda e Cile, che con la Cina hanno stretto accordi commerciali particolarmente vantaggiosi, capaci di abbattere sensibilmente i dazi. “Dal mio punto di vista - riprende il professore cinese - come da quello di tanti amici e colleghi, il vino italiano è unico, per la sua personalità, che è molto diversa da qualsiasi altro. Risponde ad una necessità ben precisa del consumatore, quella di trovare qualcosa di nuovo e interessante da bere: il vino italiano ha un futuro molto buono di fronte questo punto di vista, ma deve ancora farsi conoscere. Per ora siamo ancora agli inizi, alcuni vini italiani hanno normalmente molti polifenoli e un’acidità importante, caratteristiche che i neofiti non sono in grado di apprezzare. Sono convinto che il vino italiano è destinato a conquistare una buona quota di mercato, e anche oggi non sta facendo poi così male, anche se ha davanti Francia, Australia, Cile e Spagna ...”.
Il punto, allora, riguarda l’educazione al vino italiano, che in Cina passa ancora, troppo spesso, per iniziative sporadiche, volute da consorzi o associazioni di produttori, senza però che il mondo del vino riesca ad essere presente, anche con le proprie strutture, sul territorio cinese. “Sì, credo anch’io che sia così. Il motivo per il quale importiamo più vino francese è proprio perché lavorano davvero molto sulla promozione, sulle diverse regioni produttive, fanno tante degustazioni ed eventi e, a confronto con loro, le associazioni italiane fanno molto meno, nonostante Italia e Francia abbiano posizioni simili nel mondo del vino. Ho suggerito a un amico italiano di invitare produttori diversi di diverse regioni - spiega ancora Li Demei - per creare un’unione e lavorare insieme per promuoversi in Cina, e ha funzionato per tutti. Una iniziativa lodevole, inoltre, potrebbe rivelarsi la Vinitaly International Academy di Ian D’Agata, che forma gli influencer di domani”.
Un altro aspetto critico, sul grande mercato cinese, è la difficoltà di far incontrare l’offerta del vino italiano più performante, ossia il Prosecco, con la domanda che, sotto la Grande Muraglia, è ancora legata quasi esclusivamente ai vini rossi. “Al momento si consuma quasi esclusivamente vino rosso, ma per me, quando ho una bottiglia in casa, è quasi sempre bianco, perché il sapore del cibo cinese è più adatto ai vini bianchi. La gente, però, compra più vino rosso, pensando principalmente agli effetti benefici più che al sapore del vino in sé e per sé: inevitabilmente, in futuro, in un futuro vicino, le persone berranno il vino per il suo sapore - ribadisce Li Demei - più che per i benefici sulla salute, che sono comunque importanti, ma alla fine beviamo vino perché ci piace il sapore del vino, e il suo abbinamento col cibo, e da questo punto di vista il vino bianco è destinato al successo, proprio per il sapore della cucina cinese”. E chissà che non sia proprio la cucina la risposta alle necessità del vino italiano, intesa come luogo ideale per le attività di educazione al consumo e la promozione. “Si, certamente, e se l’industria del vino italiano farà promozione ed educazione in Cina penso che i consumatori cinesi si appassioneranno al vino italiano: credo che il vino italiano abbia tutte le carte in regola - conclude il professore di enologia cinese - ma se non si fa promozione, probabilmente non si otterranno così tanti risultati rispetto all’industria internazionale del vino, per quanto grande possa essere la produzione italiana”.

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