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Il vino europeo tra crescita e scelte strategiche: nel report Rabobank “Wine Quarterly” Q3 2017 l’effetto degli investimenti, pubblici e privati, su un mondo apparentemente stabile, che deve affrontare le profonde mutazioni dei mercati e dei consumi

Italia
Gli effetti degli investimenti nel vino europeo nel report Rabobank

L’industria del vino, in Europa, è tra le più dinamiche, forte di una leadership internazionale mai in discussione, pur muovendosi in un quadro essenzialmente stabile, sia in termini di produzione che di domanda: il Vecchio Continente rappresenta il 65% della produzione enoica mondiale, il 57% dei consumi ed il 70% delle esportazioni, con le superfici vitate in calo fino al 2015 ed un futuro prossimo che difficilmente vedrà grossi scossoni, vista anche la stagnazione dei consumi globali. Una stabilità apparente, che, come racconta l’ultimo report di Rabobank (www.rabobank.nl), il “Wine Quarterly” Q3 2017, nasconde una realtà diversa, in cui la domanda si sta spostando su mercati nuovi, mentre su quelli più solidi il consumatore medio si scopre più evoluto, “costringendo” l’industria enoica ad affrontare una realtà diversa.

Dinamiche che hanno portato una certa vitalità, in termini di investimenti, tra le aziende europee, come dimostrano le oltre 150 tra acquisizioni e fusioni di un certo peso registrate dal 2010. Inoltre, il settore ha beneficiato in maniera importante del sostegno dell’Unione Europea ad investimenti, innovazione ed efficienza. Insomma, un’attività finanziaria importante, che scorre lungo un settore in evoluzione e particolarmente frammentato, in cui ogni attore deve vagliare bene le proprie opzioni per scegliere la giusta strategia a lungo termine. Ciò che si chiede Rabobank, però, è se i soldi dei privati abbiano portato ad un aumento effettivo degli investimenti o se riflettano esclusivamente i tanti cambi di proprietà, e se i fondi pubblici, nazionali e comunitari, abbiano contribuito ad aumentare le immobilizzazioni delle aziende, o siano semplicemente andati a coprire le spese annuali ed i costi correnti, ma anche se l’eventuale aumento delle immobilizzazioni sia stato o meno redditizio.

Domande alle quali Rabobank risponde attraverso l’analisi di 202 aziende di Italia (76), Francia (74) e Spagna (52), con vendite annuali superiori ai 15 milioni di euro (10 milioni nel caso delle imprese spagnole), da cui emerge come l’immobilizzazione (tangibile ed intangibile, prendendo in considerazione sia le acquisizioni dirette che gli investimenti, ma non quelli di natura finanziaria che, di fatto, non contribuiscono direttamente agli utili operativi) sia effettivamente aumentata/b>, seppur in maniera diversa, nel periodo 2010-2015. In Spagna , in realtà, l’aumento è stato appena del 2%, percentuale che sale all’8% tra le imprese italiane ed addirittura al 28% tra quelle francesi. Per capire poi come, all’interno dello stesso Paese, si siano comportate le diverse aziende, sono state divise in cinque gruppi: “Dynamic asset-builders”, “Moderate growers”, “Maintainers”, “Moderate off-loaders” e “Clear downsizers”.

Non sorprende, così, che le aziende che hanno visto aumentare maggiormente la loro struttura operativa abbiano registrato una crescita delle vendite superiore alla media. Allo stesso modo, a meno che i costi di avviamento dell’attività non siano stati particolarmente alti, anche i margini operativi, per le aziende più strutturate, sono migliori di quelli delle altre aziende, dimostrando così il valore delle economie di scala e dei cambiamenti strategici, in tutti e tre i Paesi
, con i “Dynamic asset-builders” che hanno surclassato gli altri gruppi, a partire da quello dei “Clear downsizers”, che non sono però aziende in recessione, non necessariamente, ma di sicuro sottoperformanti rispetto alle proprie possibilità. L’unico aspetto in cui gli ultimi si scoprono primi è quello del Roce, il rendimento del capitale investito: ma è una mera illusione, gli investimenti hanno bisogno di tempo per diventare realmente redditizi, mentre chi non investe, per forza di cose, non potrà mai avere un rendimento negativo.

Come detto, le aziende “Clear downsizers” sono sottoperformanti rispetto alle altre, sotto tutti i punti di vista (con l’eccezione delle imprese spagnole), ma i numeri aggregati potrebbero nascondere una realtà diversa. Il 40% dei 20 migliori performer, infatti, in termini di miglioramento di margini operativi (Ebitda), sono tra i “downsizer”, ed un trend simile si nota anche quando si prende in analisi il Roce, mentre il gruppo dei “Dynamic asset-builders” mostra come le aziende che ne fanno parte supera la media sia nella crescita delle vendite che nelle prestazioni del margine operativo anche a livello individuale. Come mostrano i dati Rabobank, allora, un passaggio ad un modello aziendale più snello e di tipo “asset-light” può rivelarsi una strategia efficace per migliorare la redditività, ma per qualcuno, ossia i cosiddetti “downsizer”, la contrazione degli asset non è sempre una scelta, ma spesso e volentieri una necessità dettata da performance tutt’altro che brillanti.
In conclusione, l’industria europea del vino sta affrontando, dietro ad un’apparente stabilità, profondi cambiamenti. La prima conseguenza è che un certo numero di player ha puntato sulla crescita, attraverso la crescita organica o le acquisizioni, mentre altre stanno puntando su una struttura più “leggera”, Considerati i consumi globali, in stagnazione, ed il cambiamento del modello della domanda, e la frammentazione del settore, il futuro non può che portare ad una polarizzazione che segua questa linea. Le performance sin qui analizzate, inoltre, indicano che chi ha puntato sulla crescita ha già raggiunto miglioramenti operativi, ma deve scegliere e rispettare i propri piani di espansione, in maniera adeguata agli obiettivi, per evitare, nel breve periodo, un serio deterioramento della profittabilità, che potrebbe mettere le aziende in una condizione di vulnerabilità rispetto a dinamiche imprevedibili, come le oscillazioni dei prezzi o la stessa Brexit. Il passaggio, invece, ad un modello di impresa più leggero, è un’opzione chiara e redditizia per alcuni, ma non per tutti, mentre sono tante le aziende che combattono contro la stagnazione, tra l’impossibilità di investire in crescita e la paura di cedere parti di azienda e snellire così la propria struttura: per loro, secondo Rabobank, è il momento delle scelte, tra una strategia più coerente e l’uscita dal mercato, ovviamente attraverso la cessione.

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