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Comunicare la complessità del vino italiano, con i suoi oltre 800 vitigni autoctoni, in un mondo in cui vince la semplicità. A Vinovip a Cortina le riflessioni del Master of Wine Ballesteros Torres, di Charlier Arturaola e David Way (Wset)

Per quanto la capacità comunicativa degli italiani sia elevata, spesso è affetta da un certo spontaneismo. Anche nella narrazione del vino, dove la necessità di spiegare la complessità insita nella produzione del Belpaese, si scontra con il bisogno di semplicità della gran parte dei consumatori del mondo Per andare a fondo della questione l’approccio deve essere analitico come quello proposto da Pedro Ballesteros Torres, Master of Wine e wine educator, spagnolo che vive a Bruxelles dove si occupa di tutt’altro, conoscitore dei vini italiani.
“Per comprendere gli elementi della complessità - ha sottolineato Ballesteros - è necessario valutarne i diversi aspetti. La complessità naturale, che è per il vino, come per altri prodotti in cui intervengono fermentazioni ad opera di microorganismi, un elemento fortemente positivo che deriva dalla complessità degli elementi del terroir. La complessità individuale, che cambia nel tempo e nello spazio: per esempio, io amo la Vernaccia di Oristano, mentre a molti non piace, non la capiscono; fino a qualche anno fa nessuno sapeva dell’esistenza del Nerello Mascalese, oggi non solo si conosce, ma è molto apprezzato. La complessità piace a chi lavora nel vino e continua a cercare cose non ancora note per capire, per continuare a imparare con la consapevolezza che più si studia e più si riconosce di non saperne abbastanza. Insomma la complessità non è per tutti. Il terzo aspetto è quello sociale: la complessità è locale, la semplicità è globale. Si comprende la complessità quando si sta “dentro”, ma chi deve comunicare il vino ha bisogno di standard. E ci sono vini standard che prendono tanti punti da “Wine Spectator”, ma non sono complessi. Sugli oltre 260 milioni di ettolitri della produzione mondiale di vino soltanto 10 sono di vini che si possono definire complessi, e facendo una stima questi sono amati da 30-35 milioni di persone soltanto. Alla luce di queste considerazioni forse non ha senso comunicare la complessità, ma piuttosto pensare di condividerla con costoro “aprendo” i territori di produzione e guardare a tutti gli altri con simpatia”.
Considerazioni che riportano a un tema chiave del settore vitivinicolo: la contrapposizione tra brand e land, come puntualizza Ballesteros, in cui “il primo è libero e globalizzato, il secondo invece non può essere diverso da ciò che gli impone di essere il terroir. Il 95% del vino prodotto nel mondo si può considerare come una commodity, il restante 5% dà al primo la ragione di esistere”.
E passando agli strumenti della comunicazione, si può venire dal cinema. È il caso del film “The Duel of Wine”, che ha per protagonista Charlie Arturaola, noto wine educator e sommelier divenuto attore, la cui proiezione spesso si accompagna alla degustazione dei vini di cui si parla nella pellicola.
“Nei miei film, dopo una vita dedicata al vino - dice Arturaola - parlo per forza di cose di pochi vini e cerco di avvicinarli a grandi chef e ai produttori stessi per rafforzarne la comunicazione. Si tratta di un modo facile per arrivare al palato di chi non lo conosce. Spesso nei festival dove andiamo per presentare il film ci chiedono di assaggiare i vini citati. Credo che dopo tutto questo spazio avuto negli ultimi anni ad trasmissioni come “Master chef”, ora siano maturi i tempi per portare il vino in scena. E io lo faccio anche dal web con Facebook e il mio canale Youtube in cinque lingue che mi consente di raggiungere una grande quantità di persone”.
Tra gli strumenti di comunicazione e divulgazione del vino, ovviamente, ci sono anche i corsi di formazione. E recentemente si è innescato un dibattito sullo spazio, troppo ridotto, dato ai vini italiani nei corsi internazionali di formazione. Su questo tema si è espresso David Way, del Wine & Spirit Education Trust – Wset, che in Italia offre tre livelli di qualificazione sui nove della sua offerta e conta un numero crescente di partecipanti ai propri corsi.
“Ci chiedete di parlare di più dei vini italiani - ha risposto Way - ma noi attribuiamo lo spazio nella formazione in base alla notorietà dei vini nel contesto globale e allo stesso modo nei corsi che teniamo in tutto il mondo. Il nostro riferimento è ovviamente il Regno Unito, forte importatore di vini, in cui il mercato dei vini italiani è fatto da tipologie conosciute solo da esperti, ma anche di vini di moda come il Prosecco e il Pinot grigio. Tuttavia ora si stanno allargando anche spazi di conoscenza intermedia. L’interesse sul vino italiano sta crescendo e questo si rifletterà anche sullo spazio che avranno nei nostri numerosissimi studenti”.

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