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Investire in “cultura” per far crescere il vino italiano, in patria e nel mondo: dal Forum n. 10 di Fondazione Italiana Sommelier, le “ricette” di Franceschini, Farinetti, Vespa, Fiorio e non solo, con la “lode” dell’Università Luiss “Guido Carli”

Parlare di cultura del vino “perché siamo il Paese che ne produce di più ma, in realtà, uno di quelli che lo conosce di meno, perché molti dei 60 milioni di italiani che lo bevono ne sanno troppo poco”, dice Franco Maria Ricci, alla guida di Bibenda, e farlo nell’aula magna di un’Università prestigiosa come la Luiss, tra le più importanti private in Italia, perché “intorno al vino si studiano aspetti giuridici importanti, al punto che l’Italia ha la normativa più avanzata di tutti in tema di produzione, controllo e di agricoltura in generale, ma anche l’economia, perché introno al vino e all’enogastronomia si sviluppa un business di 38,6 miliardi solo all’export, e la geo politica e le scienze sociali, perché il vino si vende ovunque e si deve conoscere il mondo”, ha rilanciato il Magnifico Rettore (ed ex Ministro della Giustizia) Paola Severino. Parlarne con il Ministro dei Beni Culturali, Dario Franceschini, perché “il 2018 sarà l’anno del turismo legato all’enogastronomia, ma anche perché il vino e il cibo sono pezzi di cultura di questo Paese - ha detto il Ministro - eccellenze che fanno grande la nostra immagine nel mondo e, perché no, possono entrare sempre più nei luoghi della cultura, come i grandi musei, come già fatto dalla moda”.

Da qui è partito il Forum della Cultura del Vino e dell’Olio di Fondazione Italia Sommelier e Bibenda. Da dove il produttore ed imprenditore Oscar Farinetti, fondatore del fenomeno Eataly, rilancia: “un Paese come l’Italia deve avere un “Ministro del Vino”, una personalità come Angelo Gaja o Piero Antinori, persone che sanno capire prima quello che succederà. Anche perché servono competenze per semplificare il settore, dove c’è una burocrazia enorme, che penalizza soprattutto i piccoli produttori. Penso alla dematerializzazione dei registri di cantina: idea meravigliosa, ma non sta funzionando affatto, e dobbiamo sistemarla”.
Un Farinetti provocatorio, dunque, ma convinto come non mai che, grazie al vino e all’enogastronomia, l’Italia avrà un grande futuro, se saprà muoversi velocemente e unita: “il mercato del vino nel mondo è una cosa piccola, vale 60 miliardi di euro, la Coca Cola da sola ne fa 110. Ma sta esplodendo: presto lo berranno anche i 2/3 del mondo che oggi non lo bevono, penso a Paesi come la Cina e l’India, ma non solo. Per l’Italia è una cosa enorme: siamo a 12 miliardi tra mercato interno ed export, secondo me possiamo arrivare a 20 in pochi anni. Abbiamo la varietà più grande del mondo, oltre 1.000 vitigni, e ne vinifichiamo poco più di 350. Siamo “condannati” alla produzione di qualità, ma dobbiamo raccontarci meglio, perché il nostro vino non vale la metà di quello dei francesi, che però hanno tre secoli di vantaggio su di noi, sanno raccontarsi meglio al mondo, e vendono al doppio di noi”.

Visione condivisa dal produttore e giornalista Bruno Vespa: “dobbiamo raccontarci davvero meglio, perché su qualità e cultura non siamo secondi a nessuno. Non è possibile che i francesi abbiamo creato un fenomeno mediatico e commerciale sul Beaujolais, che non è un vino eccellente, per esempio, mentre noi non riusciamo a fare altrettanto con tutto quello che abbiamo. Ma c’è tanto da fare. Penso alla rubrica di Jancis Robinson sul “Financial Times”, che è una delle più importanti, e dove l’Italia è praticamente quasi assente. Ma dobbiamo fare più squadra, e cambiare tante cose: la doppia competenza nazionale e regionale sul vino, per esempio, è caotica”.
Insomma, si può crescere ancora tanto, e diventare davvero il Paese n. 1 del vino al mondo. “Anche puntando su una cosa che già esiste, nei fatti: oltre il 70% dei produttori italiani, soprattutto i piccoli - dice ancora Oscar Farinetti - ma sempre più anche grandi, non usa più concimi di sintesi chimica ed erbicidi, e allora perché non fare una legge nazionale che li vieti ufficialmente? Ne parlerebbe il mondo, il vino italiano sarebbe riconosciuto come il più “pulito”, come già è, e i consumatori di tutto il pianeta lo comprerebbero con maggiore confidenza. Anche perché il mondo va in questa direzione: io ho 9 aziende, che presto saranno tutte certificate biologiche. Già lo erano, di fatto, senza certificazione perché non mi interessava. Ma i mercati la chiedono, e dico di più: tra 5 anni chi non lavorerà così non venderà più una bottiglia di vino”.
Certo che da lavorare, sulla cultura del vino, ce ne è eccome, anche sul “fronte interno”: “non si capisce perché, per esempio, se si parla di libri o di dischi si può nominare l’autore o il cantante, annunciare il concerto o l’uscita di un volume, mentre se si parla di vino non si può nominare il produttore o nome del vino”, chiede Federico Quaranta, il Fede che, con Tinto, è la voce di “Decanter” su Radio2.
Un esempio di come, forse, in Italia, paradossalmente, manchi un po’ di orgoglio nazionale nel riconoscersi nella cultura del vino.
“Ed è anche per questo che il Testo Unico del Vino che all’articolo 1 sancisce il vino come patrimonio culturale della Repubblica Italiana è a suo modo epocale - ricorda il vicepresidente della Commissione Agricoltura alla Camera, Massimo Fiorio, che ne è stato il relatore - e ora dobbiamo lavorare tanto perché l’insegnamento della cultura del vino entri nelle scuole a più livelli, e non solo nei professionali alberghieri, che è un grande obiettivo che abbiamo. Il passaggio deve essere quello di far capire che se si insegna al cultura del vino ai giovani non si insegna loro la cultura dello sballo, ma il suo esatto contrario”.
Lo testimonia, per esempio, il percorso legato alla produzione e alla conoscenza del vino che viene fatto a San Patrignano, la comunità fondata da Vincenzo Muccioli, “dove oltre alla produzione di vino, con Riccardo Cotarella, si fanno anche corsi di sommelier con la Fondazione Italiana Sommelier (Fis) di Franco Ricci, che ringrazio - ha detto Letizia Moratti, che guida Sanpa con il marito Gian Marco Moratti - e anche attraverso questi percorsi ritrovano voglia di reagire, di vivere, voglia di riscatto attraverso un percorso che spesso porta anche a reinserirsi nel mondo del lavoro”.
E poi, “come diceva il presidente americano Thomas Jefferson - ha ricordato il celebre sommelier Paolo Lauciani - il vino è il miglior metodo preventivo contro l’ubriachezza. perché bere è un atto istintivo, quasi animale, mentre degustare è un atto cognitivo, è una scelta culturale ed edonistica, ma servono gli strumenti per farla, e un corso di formazione sul vino cambia la mente, perché vuol dire conoscere la storia, la cultura, i territori. E da questo passa anche il nostro futuro”.
Tematiche che sembrano finalmente ritrovare spazio, anche in “un Paese strano come l’Italia, dove oggi c’è chi propone un Ministro del Vino ma dove pochi anni fa si pensava di abolire quello dell’Agricoltura”, ricorda il Sottosegretario all’Agricoltura, Giuseppe Castiglione.
“Se si guarda alla motivazione di viaggio dei turisti del mondo, arte, shopping ed enogastronomia sono ai vertici, e noi abbiamo l’eccellenza in tutto - ha detto ancora il Ministro Franceschini - ma dobbiamo lavorare meglio, amalgamarle di più. Soprattutto perché si parla in generale, di un Paese che deve uscire dalla crisi, mentre in questi settori di parla di come governare la crescita, perché ogni anno si aggiungono turisti da Paesi del mondo che prima sulla scena non esistevano, di fatto”.
E allora, perché non portare il vino, la sua cultura, nei grandi musei, facendoli diventare luoghi di divulgazione e conoscenza anche di questo patrimonio, chiede Vespa a Franceschini in una specie di “Porta a Porta” estemporaneo? “Non vedo perché no, nei modi giusti e nei luoghi giusti, come già successo con la moda. L’importante - sottolinea il Ministro Franceschini - è mantenere l’offerta sempre di alto livello qualitativo. Come del resto vogliamo fare con la ristorazione nei musei, che deve essere della massima qualità possibile e legata al territorio, perché oggi chi fa turismo di qualità cerca sempre più un’esperienza completa che, in Italia, non può non passare anche dal piatto e dal calice”.

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