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Da valorizzazione del vino italiano al ruolo dei Consorzi, da sburocratizzazione a macro doc, da ristrutturazione dei vigneti alla ricerca: analisi oggi nel Forum Nazionale Vitivinicolo by agricoltori Cia (con Chianti, Prosecco, Uiv, Cooperative)

Dalla promozione/valorizzazione del vino italiano al ruolo dei Consorzi, dalla sburocratizzazione del comparto alle macro denominazioni, dalla ristrutturazione dei vigneti alla ricerca vitienologica: ecco i temi “caldi” del Forum Nazionale Vitivinicolo Cia (Confederazione Italiana Agricoltori) dal titolo “Vigneto, Cantina, Mercato. Investimenti, valorizzazione, ricerca”, di scena oggi a Montepulciano, la “roccaforte” del Consorzio del Nobile, che ha ospitato questo importante “Think Tank” sul mondo del vino italiano.
“La recente riforma delle autorizzazioni ai reimpianti comprendeva anche dei paletti regionali - ha sottolineato Ruenza Santandrea, coordinatrice vitivinicolo Alleanza delle Cooperative Italiane - che però le Regioni stesse non hanno predisposto e questo ha complicato molto la situazione. Va detto, però, che abbiamo scongiurato la liberalizzazione, che sarebbe stata molto più devastante per il nostro assetto. Sui Consorzi, il problema della rappresentanza non è poi così enorme e d’altra parte non entra in conflitto con la progettualità di queste associazioni verso i mercati esteri. Sulla questione della promozione, ci vogliono delle grandi denominazioni con sottozone, per poter fare squadra sul concetto di italianità e puntare decisamente sulla sostenibilità generalizzata. Lo Stato ci deve aiutare con tutti i suoi mezzi - conclude Santandrea - sugli accordi privilegiati con gli altri Stati”. Un problema questo evidente se guardiamo alla situazione internazionale con alcuni esempi. Il posizionamento competitivo del vino italiano rispetto alle agevolazioni commerciali (dazi nulli o ridotti all’import) vede infatti il Cile che ha dazi zero nelle transazioni con Ue, Usa, Cina, Canada e Giappone; l’Australia che ha dazi zero verso gli Usa e dazi ridotti in Cina e Giappone (che diventeranno zero dal 2019); la Nuova Zelanda che ha dazi zero verso la Cina e dazio ridotto verso il Canada; il Sud Africa dazio zero in Usa e dazio ridotto nella Ue; mentre Stati Uniti, Francia, Spagna e Italia hanno dazio zero solo verso il Canada (dati WineMonitor by Nomisma).
In una riflessione generale e di ampia portata, non poteva mancare la case history di maggior successo del vino italiano degli ultimi anni, quella del Prosecco.
“La Doc Prosecco nasce nel 2009 - afferma Stefano Zanette, presidente del Consorzio del Prosecco - con l’appoggio anche della politica e senza improvvisazioni, come qualcuno sempre più spesso va dicendo. Dal 2009 ad oggi il valore delle uve è raddoppiato e il numero delle bottiglie e quadruplicato, e questo con una ricaduta economica sul territorio decisamente positiva. In più stiamo progettando un piano organico sulla sostenibilità che parte dal divieto di usare il glifosato. Sostenibilità economica e ambientale con l’obbiettivo di ottenere anche la sostenibilità sociale, in una terra che è piena di contrasti. Credo che in questo scenario - prosegue Zanette - i Consorzi debbano mantenere il loro ruolo di organizzazione interprofessionale per garantire la stabilità del valore del prodotto con adeguati accordi quadro tra gli attori della filiera, basato su ricchezza e scelte condivise. E non c’è bisogno di leggi per realizzare questa situazione. Pesi e numeri degli associati devono naturalmente valere, ma in una situazione di equilibrio tra le diverse componenti. Sul piano della ricerca poi - ha aggiunto il presidente del Prosecco - mi preme sottolineare che la questione dei vitigni resistenti alle malattie è una grande opportunità ma anche un terreno scivoloso. Queste possibili realizzazioni non sono la panacea a tutti i mali sia perché saranno pronte davvero tra 15-20 anni almeno, sia perché anche la sostituzione delle varietà precedenti con questo nuovo tipo di piante, per fare l’esempio del Prosecco che conta su 30.000 ettari vitati, avrà bisogno di molto tempo. Da ultimo - conclude Zanette - le regole per i nuovi impianti. Continueremo ad accettare diritti d’impianto rivendicati fuori Regione che continuano a poter essere spesi in quella stessa Regione?”
“Valorizzare tutte le denominazioni è impossibile purtroppo - ha aggiunto Antonio Rallo, presidente della Doc Sicilia e dell’Unione Italiana Vini - puntare al marchio Sicilia per noi è stato un primo passo per entrare con una immagine più consolidata nei mercati esteri, per creare cioè quella “confidence” con il consumatore finale. Abbiamo, ci pare, creato una grande denominazione che aiuta anche quelle più piccole. Può essere considerato un modello, applicabile in altre Regioni. Il caso Prosecco - ha concluso Rallo - mi pare che ripercorra un po’ la strada fatta dal Lambrusco negli Usa quasi quaranta anni fa , cioè fungere da “apripista” a tutta una serie di vini del Belpaese. Una cosa molto positiva”.

A parlare del ruolo dei consorzi, anche chi guida quello che di fatto è il più grande nel panorama del vino italiano. “Il Consorzio è uno strumento fondamentale per arrivare sui mercati in modo aggregato - ha spiegato Giovanni Busi, presidente del Consorzio Chianti - è il primo modo con cui produttori diversi trovano un’unione. Altra cosa è la frammentazione della nostra promozione. Per esempio, in Cina, se le cose non stanno andando come vorremmo dovremmo confessarci che la colpa è nostra, e ripartire da qui per correggere le nostre azioni. Investire sulla ristrutturazione dei nostri vigneti resta fondamentale, perché altrimenti non possiamo raggiungere l’obbiettivo della qualità e, in questo senso, portare avanti la ricerca viticola è altrettanto fondamentale”.
Ma il vino, in Italia, è anche questione di economia, di consumi interni, e di promozione all’estero. “Qualcuno ci ha accusato di pagare troppo le uve e vendere il vino a prezzo basso. Mi sembra un discorso contraddittorio - ha affermato ancora Ruenza Santandrea - a ben guardare le grandi cooperative viticole sono ai primi posti per fatturato tra le aziende del vino italiano, perché sono in grado di fare economia di scala ed investire all’estero in modo sostenuto oltre a rappresentare quella massa critica che in larga parte manca al vino italiano”. “Nel 1980 consumavamo 50 milioni di ettolitri di vino, oggi sono diventati 25, in termini di bottiglia stiamo parlando di quasi quattro miliardi di pezzi - ha ricordato Antonio Rallo - che fortunatamente abbiamo saputo vendere all’estero. La sfida è ancora più dura e in Cina, per esempio, dobbiamo andare tutti sotto il “cappello” Italia. Attraverso Consorzi e Denominazioni possiamo aiutare i brand aziendali, muovendoci in senso opposto a quello che abbiamo percorso negli anni Ottanta, quando abbiamo conquistato i mercati grazie alla forza delle aziende”.
Guardando ai prezzi medi all’export per tipologia, nel 2016, a primeggiare negli spumanti è ancora la Francia con 12,65 euro al litro, seguita dall’Italia a 2,68, dall’Australia a 2,48 euro litro e dalla Spagna a 1,88. Nei vini fermi, sempre nel 2016, al primo posto c’è la Nuova Zelanda con 3,96 euro al litro, seguita dalla Francia a 3,74, dall’Australia 2,72 e dall’Italia a 2,58 euro al litro, seguono il Cile a 2,06 e la Spagna a 1,62 (dati WineMonitor Nomisma). Sono numeri che inducono a pensare che l’Italia ha margini di crescita interessanti e in qualche misura obbligatori. Ma “Bisogna fare attenzione quando parliamo della valorizzazione del vino italiano - ha commentato Stefano Zanette, presidente del Consorzio del Prosecco - il successo del Prosecco è dato dal buonissimo rapporto qualità/prezzo. Magari altre denominazioni che avevano puntato su prezzi alti, oggi sono in crisi”.
Altra variabile con cui il mondo della produzione di vino dei fare i conti, discorso valido più che mai quest’anno dove prima il gelo e poi la siccità stanno mettendo in difficoltà le cantine del Belpaese, è quella del clima. Ma questo i produttori lo sanno, e contro il meteo più di tanto non si può fare. Contro la burocrazia “monstre”, invece, si potrebbe intervenire eccome. “A preoccuparci, prima ancora degli ingenti danni climatici che possono coinvolgere le nostre colture, è un sistema burocratico contro cui ci dobbiamo scontrarci quotidianamente - ha constatato Giovanni Busi - un freno per la nostra economia e per le nostre aziende che soccombono sotto i colpi di insostenibili procedure. Non dobbiamo mai dimenticarci che l’80% delle nostre aziende è rappresentato da piccole e medie imprese che hanno bisogno di snellezza e velocità, sono aziende che non hanno uffici commerciali, né uffici di amministrazione, sono aziende dove è l’imprenditore stesso ad assolvere tutti questi compiti e quindi dobbiamo venire incontro alle loro esigenze riducendo quello che è il sistema burocratico. In un quadro che ci impone di guardare con sempre maggiore interesse ai mercati mondiali, manca però ancora un sistema italiano, prima ancora che regionale - ha aggiunto - in grado di riunire tutto il made In Italy del mondo vitivinicolo e metterlo in grado di lavorare insieme sui mercati internazionali. Abbiamo un potenziale da tutti riconosciuto - conclude Busi - che non dobbiamo sprecare solo perché è ancora lontano il concetto di “fare squadra”. Se prima lavorare da soli è sempre stata la regola, oggi rappresenta un lusso che non possiamo più permetterci.”
A conclusione dei lavori il presidente nazionale Cia, Dino Scanavino ha ribadito la posizione del sindacato verde, resta aperta “la questione della dematerializzazione dei registri di cantina - ha detto - innovazione opportuna, ma introdotta in un sistema quello Sin-Agea, che svilisce il ruolo degli operatori del settore. Accanto a questo chiediamo una revisione del funzionamento delle regole sulle accise, che vanno adeguate alle esigenze degli operatori del settore e una ricerca per il vino non solo privata, per evitare un’involuzione, su argomenti cruciali come la transgenesi, i vitigni resistenti, le tecniche di vinificazione”.
Ma per la Cia occorre anche una strategia nazionale unica per la promozione, valorizzazione e tutela del vino italiano che “aggredisca con vigore alcune inefficienze quali le nuove autorizzazioni all’impianto di vigneti - ha aggiunto Scanavino - aspetto ingestibile che non consente nemmeno il recupero di quella quota di potenziale che annualmente viene persa per abbandono. Al pari di quello di arrivare a chiedere - ha concluso il presidente Cia - di indicare i valori nutritivi in etichetta, misura giudicata dai produttori di vino non efficace né utile per una corretta informazione del consumatore”.

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