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“Imitare Champagne o cercare di riprodurlo altrove è inutile, ogni territorio cerchi la sua strada e valorizzi le sue origini e le sue radici”: così, a WineNews, Richard Geoffroy, “chef de cave” del mito delle grandi bollicine francesi, Dom Perignon

Italia
Richard Geoffroy, “chef de cave” del mito delle grandi bollicine francesi, Dom Perignon

Quello degli spumanti è, senza dubbio, il fenomeno vinicolo mondiale dell’ultimo decennio. E se il Prosecco è stato l’assoluto protagonista di una crescita tumultuosa ed inarrestabile, il mito, il sogno, il modello di riferimento mondiale rimane quello dello Champagne. Ma “cercare di copiare lo Champagne o di riprodurlo altrove non è la strada giusta, oggi ogni vino nel mondo deve puntare a esprimere il suo territorio, le proprie origini e radici, non si deve cercare di imitare altri, ma di esprimere al massimo il potenziale di ogni regione”. A dirlo, a WineNews, niente meno che Richard Geoffroy, “chef de cave” del marchio più prestigioso delle grandi bollicine francesi, Dom Perignon (del gruppo del lusso Lvmh). Il messaggio è chiaro, per tutti i territori che hanno investito da tempo sulle bollicine, come in Italia la Franciacorta, il Trentodoc, l’Asti, il mondo Prosecco: nessuno deve imitare nessuno, ma ognuno deve trovare la sua strada, perchè con un’identità forte nel mondo c’è posto per tutti. Anche se, confessa Geoffroy, “prima di arrivare a Dom Perignon ho lavorato molto all’estero, tra Australia, Nuova Zelanda, California e così via, e se un giorno dovessi andare fuori dalla Champagne, di certo non farei altre bollicine, ma qualcosa di diverso”.

D’altronde, spiega ancora lo chef de cave, “lavorare per Dom Perignon è un compito complesso, io sono un guardiano, la persona che ha ricevuto una grande eredità da tutte le generazioni che ci sono state prima di me, e che avrà poi il compito di trasmetterla. Dom Perignon è stato l’iniziatore, il “padre spirituale” dello Champagne, è oggi è un esempio per tutti da seguire. Noi continuiamo a lavorare per l’eccellenza e a promuovere l’eccellenza, e vogliamo continuare su questa strada, per essere di esempio e stimolo per il territorio e per i produttori più giovani”. Altra mission di Dom Perignon, spiega ancora Geoffroy, è quella di “spingersi oltre i limiti”, come con il progetto dello Champagne Plenitude, iniziato nel 2014 con la vendemmia 1998, e che “consiste nell’andare più lontano e più in profondità, arrivare alla conoscenza e all’incontro con questo vino attraverso il tempo, per far scoprire sempre qualcosa di nuovo”.
Il concetto è semplice: “la Première Plénitude - ha spiegato la Maison, nel lancio del progetto - si realizza dopo almeno sette anni di maturazione sui lieviti, a seconda dell’annata. Il vino racchiude quindi l’equilibrio perfetto di Dom Pérignon, la sua migliore promessa. Questo è Dom Pérignon Vintage, la Plénitude dell’Armonia. La Deuxième Plénitude si ottiene dopo almeno 12 anni di maturazione sui lieviti. In questa fase, Dom Pérignon esprime la sua grandiosa intensità, manifestando le proprie potenzialità di ulteriore sviluppo. È Dom Pérignon Plénitude 2, l’età dell’Energia”.
Ma non ci si ferma qui, perchè secondo Dom Perignon, le “plenitudini” di un suo champagne sono almeno tre: “la Troisième plénitude si ottiene dopo almeno 20 anni di maturazione sui lieviti. Lo champagne incarna ora una dimensione completamente diversa, assumendo un’essenza ignota. Si tratta della Plénitude della Complessità. Dopo tre metamorfosi, l’unicità di Dom Pérignon è quasi completamente conquistata e svelata. Tale processo è l’incarnazione stessa della visione creativa di Dom Pérignon, la cosiddetta “Power of Creation””. Non resta che aspettare.

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