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Lasciare o raddoppiare? Certezze, opportunità, rischi ed evoluzioni delle denominazioni sui mercati globali: uno degli assi nella manica della produzione vinicola italiana fa i conti con le evoluzioni geopolitiche di un mercato globale mai statico

La ricchezza e la varietà delle denominazioni enoiche d’Italia è, insieme alla sterminata quantità di vitigni autoctoni, senza dubbio uno dei principali punti di forza del nostro Paese sui mercati internazionali: ma rimane il fatto che quando si parla di mercati non si può mai dare niente per scontato, nemmeno per quelli più che maturi e tradizionali, come gli States, o con più volatilità ma un enorme potenziale, come la Cina. A fare il punto della situazione, per quanto riguarda l’evoluzione delle performance delle principali denominazioni di origine protetta sui mercati del mondo, ci ha pensato l’istituto di analisi privato International Wine and Spirits Research (www.theiwsr.com), e i risultati sono tutt’altro che scontati.
Prendendo avvio dai dati Eurostat, con le esportazioni che nel 2016 sono calate in volume dello 0,8% (126,2 milioni di casse da nove litri) ma aumentate in valore dello 0,3% (a 6,99 miliardi di Euro), l’analisi di Iwsr puntualizza che, come prevedibile, Bordeaux (25,8%) e Rioja (19,2%) sono state responsabili, da sole, di esattamente il 45% di tutte le esportazioni europee di vini a denominazione - ma l’Italia può comunque vantare un rispettabile 24,5% del mercato, come sommatoria delle esportazioni di vini a denominazione da Toscana (10,9%), Veneto (8,4%) e Trentino Alto Adige (5,2%). Le performance di queste regioni vitivinicole, però, sono tutt’altro che uniformi: mentre il Trentino si è conquistato il titolo di regione più performante nel corso del 2016, con una crescita del 32% in volume anno su anno, a circa 6,07 milioni di casse (e una crescita quinquennale del 3,3%), Veneto, Bordeaux e Toscana si sono viste affibbiare dal mercato le “medaglie” di regioni con le performance di mercato peggiori. Numeri tutt’altro che confortanti, quindi, per le denominazioni venete, che hanno lasciato sul campo il 3% in volume nel 2016 sul 2015 e quasi il 6% negli ultimi cinque anni (a 10,32 milioni di casse), e per quelle toscane (-1,2% e -3,5%, rispettivamente, a 10,64 milioni di casse), e con Bordeaux che ha visto contrarsi le sue esportazioni dell’1,7% nel 2016 sul 2015 e dell’1,8% nel quinquennio - questo nonostante il fatto che nel 2016 le esportazioni enoiche europee a denominazione verso gli States abbiano superato per la prima volta quelle verso il Regno Unito.
Ed è proprio l’andamento dei quattro principali mercati di riferimento delle denominazioni europee (Usa, Uk, Germania e Cina) a spiegare molte di queste performance. Per quanto riguarda i soli vini a denominazione, gli States sono cresciuti di oltre il 7% in volume (19,16 milioni di casse) e del 4,8% in valore, portando ad un raddoppio secco delle spedizioni in volume dal Trentino Alto Adige e facendo volare le esportazioni enoiche italiane oltreatlantico oltre quota 25 milioni di casse (il 30% delle quali sono appannaggio delle sole Toscana e Trentino); il Regno Unito, come si sa, è invece da tempo preda dell’incertezza, e da questo punto di vista i risultati della recente tornata elettorale non fanno ben sperare per il futuro del secondo mercato enoico del globo, particolarmente se si considera che le esportazioni di vini a denominazione oltremanica si sono contratte, in media, di un 1,2% secco ogni anno dal 2011 ad oggi. Altrettanto fosco è il quadro per quanto riguarda la Germania, che pur rimanendo il terzo mercato più importante per le denominazioni dell’Unione ha lasciato sul campo il 10,6% in volume nel 2016, e il 4,2% rispetto al 2011, a 15,42 milioni di casse. La piazza globale che più di ogni altra, però, spiega la flessione dei vini a denominazione bordolesi è la Cina, con il meglio del meglio del vino d’Oltralpe che, nonostante una leadership indiscussa in termini di penetrazione di mercato, visibilità e nomea, ha risentito in maniera molto forte del “giro di vite” anti-corruzione e anti-sprechi avviato nel 2013-2014 dal governo cinese, pur in un quadro nel quale le importazioni nel gigante asiatico sono cresciute del 12,8% anno su anno e del 7,6% nel periodo 2011-2016, arrivando a 10,51 milioni di casse. Altrettanto bene non si può dire per quanto riguarda l’Italia, che nella top 10 stilata da Iwsr delle denominazioni regionali più esportate in Cina non va oltre il settimo posto, con la Toscana (2,4% del mercato, 256.000 casse spedite nel 2016, -3% sul 2015 ma +4% nel quinquennio), e il Veneto alla posizione n.8 (1,5% del mercato, 161.700 casse nel 2016, +22,7% anno su anno ma -1,2% nel periodo 2011-2016).
L’analisi Iwsr, quindi si conclude su una nota interrogativa: se infatti le radici enoiche italiane negli Stati Uniti possono essere viste come una garanzia di solidità nei confronti di un mercato che sembra essere tra i più affidabili del mondo, appare sicuramente necessario recuperare l’enorme gap competitivo con i concorrenti europei in mercati forse più volatili, ma dai tassi di crescita potenzialmente enormi, come la Cina. Particolarmente per quanto riguarda vini che, come quelli a denominazione, possono vantare un legame chiaro, riconoscibile e tangibile con il proprio territorio di riferimento.

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