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Campari, parafrasando Jack Frusciante, “è uscito dal gruppo”. Almeno, da quello dei vini fermi, con la cessione della sua ultima azienda dedicata, ovvero la francese Château de Sancerre, che passa a Maison Ackerman per 20 milioni di euro

Campari, parafrasando Jack Frusciante, “è uscito dal gruppo”. Almeno, da quello della produzione di vini fermi, con la cessione della sua ultima azienda dedicata ancora di proprietà, ovvero la francese Château de Sancerre, che passa a Maison Ackerman, tra i più importanti produttori della Loira (66 milioni di euro di fatturato, il 69% realizzato con gli spumanti, www.ackerman.fr), “la divisione vinicola di Terrena, un’azienda con sede in Francia e operante in diversi ambiti dell’industria agricola. Il corrispettivo dell’operazione - spiega una nota ufficiale del Gruppo Campari - è pari a 20,5 milioni di euro”. Il business ceduto comprende i vini Sancerre, nonché degli immobili, i vigneti, gli impianti per la vinificazione e la produzione e il magazzino. Nell’anno fiscale terminante il 31 dicembre 2016 la cantina Château de Sancerre ha registrato vendite nette pari a 3,5 milioni di euro”. Operazione fatta ma che, per essere conclusa, deve aspettare un’autorizzazione amministrativa finale, dopo aver già ottenuto il via libera da Safer, l’organismo locale dedito allo sviluppo agricolo.
La cantina Château de Sancerre possiede più di 55 ettari di vigneti e il suo portafoglio comprende vini altamente rinomati della valle della Loira in Francia. Fondata nel 1919 da Louis-Alexandre Marnier Lapostolle, l’ideatore del liquore Grand Marnier, era entrata a far parte del perimetro del Gruppo Campari nel contesto dell’acquisizione di Grand Marnier, completata nel giugno 2016.
“Con l’accordo per la vendita della cantina Sancerre, che segue le cessioni delle cantine vinicole in Italia e in Cile completate nell’ultimo anno, il Gruppo Campari - spiega il Ceo Bob Kunze-Concewitz - esce completamente dal business dei vini fermi, in linea con la strategia volta a razionalizzare le attività non strategiche e aumentare il focus sul core business degli spirit. Dall’inizio del 2016 abbiamo ceduto attività non strategiche per un valore complessivo di 117 milioni di euro”.
E, così, il Gruppo Campari ha completato la sua “exit strategy” dal mondo dei vini fermi, iniziata dall’Italia nel 2015, con la cessione della cantina piemontese Enrico Serafino alla Krause Holdings Inc per 6,1 milioni di euro (marchio, impianti per la vinificazione e la produzione, il magazzino e l’attivo immobiliare, e 12 ettari di vigneti, al momento della cessione, tutti nel comune di Canale d’Alba, 6 a Nebbiolo, 4 ad Arneis e 2 a Barbera), proseguita con l’affare più importante, ovvero la cessione di Tenute Sella & Mosca Spa (541 ettari vitati in Sardegna, di cui 520 a corpo unico: uno dei più grandi appezzamenti d’Europa) e del 100% del capitale sociale di Teruzzi & Puthod srl (una delle realtà più importanti della Vernaccia di San Gimignano, con 800.000 bottiglie prodotte), per 62 milioni di euro, alla società Terra Moretti Distribuzione srl, partecipata da Terra Moretti spa (61%), Simest Spa (9%) e N.U.O. Capital S.a (30%), Investment Company promossa con il supporto della famiglia Cheng Pao di Hong Kong, e ancora con quella dei vini Lapostolle in Cile, per 30 milioni di euro (compresi il marchio Lapostolle, altri marchi minori, i relativi vigneti, impianti per la vinificazione, magazzino e attività immobiliari, di cui 23,3 milioni di euro di debiti, tramite la vendita di Marnier Investissments SA ad Alexandra Marnier Lapostolle).
E così il Gruppo Campari (www.camparigroup.com/it), fondato nel 1860, con sede principale in Italia, a Sesto San Giovanni, 18 impianti produttivi in tutto il mondo e una rete distributiva propria in 20 Paesi, con 4.000 persone impiegate, e tra i maggiori player a livello globale nel settore degli spirit, con un portafoglio di oltre 50 marchi come Aperol, Appleton Estate, Campari, SKYY, Wild Turkey e Grand Marnier, rimane nel mondo del vino “solo” con i suoi sparkling wine, con i marchi Cinzano, Ricadonna e Mondoro.

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