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Il sistema delle autorizzazioni all’impianto ancora non funziona. Troppe le domande, specie da imprenditori lontani dal vino. La soluzione? Secondo Paolo Castelletti (Uiv), passa per una sinergia tra la filiera enoica, i Consorzi e le Regioni

Italia
Il sistema delle autorizzazioni all’impianto dei vigneti ancora non funziona

Il sistema di gestione del potenziale viticolo nel nostro Paese non pare ancora efficace. Manca l’intervento delle Regioni e dei Consorzi di tutela per arginare le domande di impianto superflue. È questa la proposta avanzata dall’Unione Italiana Vini, perché si proceda all’individuazione di criteri selettivi qualitativi, legati realmente al fabbisogno del comparto vino.

È passato un anno e mezzo da quando è andato in pensione il sistema dei diritti di impianto dei vigneti per lasciare il passo alle autorizzazioni all’impianto. Un passaggio che, ricordiamolo, rappresenta una soluzione di compromesso alla quale si è giunti dopo la vera e propria levata di scudi di Italia e Francia in testa, dopo che Bruxelles, con l’Ocm vino del 2009, aveva sancito una completa deregulation degli impianti.

A differenza dei diritti di impianto, le autorizzazioni non possono essere commercializzate. Pertanto, mentre in passato un produttore che voleva realizzare un nuovo vigneto poteva acquistare sul mercato il relativo diritto (rilevandolo dalle aziende o dalle Regioni che lo detenevano in portafoglio), da ora in avanti l’unica possibilità di realizzare un nuovo impianto produttivo è legata alla riserva di nuove autorizzazioni (nella misura dell’1% del potenziale produttivo nazionale) che ogni anno saranno messe a bando da parte di ogni Stato membro.

Sembrerebbe tutto chiaro e, soprattutto, tutto agevole. Invece, proprio su questo punto si sono sviluppate delle criticità non secondarie. Nel 2017, in Italia, come sappiamo, sono 165.000 gli ettari richiesti, a fronte di una disponibilità di 6.600. La responsabilità di questo abnorme differenziale tra domanda e offerta non pare dipendere dalle normative nazionali (Circolare Agea, 1 marzo 2017, in attuazione del D.M. 15 dicembre 2015 e D.M. 30 gennaio 2017). In particolare, l’ultimo decreto ministeriale ha infatti modificato i criteri di attribuzione delle autorizzazioni, prevedendo nuovi elementi di priorità. Il 50% delle autorizzazioni saranno riservate alle aziende viticole piccole e medie, con una superficie complessiva compresa tra 0,5 e 30 ettari, e ad aziende che, negli ultimi 5 anni, hanno applicato le norme relative alla produzione biologica all’intera superficie vitata aziendale. Ma, evidentemente, non basta.

“Non è un problema l’ultimo decreto, magari si potrebbe introdurre qualche miglioramento, ma non sta qui il problema - spiega a WineNews Paolo Castelletti, segretario generale dell’Unione Italiana Vini - Quello che manca davvero è un intervento delle Regioni e dei Consorzi di tutela per convalidare oppure no le domande di autorizzazione all’impianto”.

Dato che il Ministero delle Politiche agricole ha solo il ruolo di coordinare questa materia, bisognerebbe che qualche altra Istituzione fungesse da controllore dell’afflusso delle domande, per operare una necessaria scrematura.

“I Consorzi di tutela, ma soprattutto le Regioni - prosegue Castelletti - devono prendere una iniziativa in questo senso. E, soprattutto, bisogna innescare dei meccanismi tali per cui si possano fissare dei tetti alle domande. Per esempio creando dei vincoli economici, come le fideiussioni sugli ettari richiesti, che poi dovranno essere necessariamente rispettate a concessione avvenuta e quindi fungeranno da prima selezione”.

Uno sbarramento, dunque, ma necessario perché “il numero gigantesco di domande per ettari di vigneto da impiantare del 2017 non è frutto di un’esigenza del comparto - sottolinea il segretario generale dell’Uiv - quanto il risultato di un afflusso di richieste provenienti da soggetti non appartenenti al comparto vino. Insomma, si tratta di imprenditori agricoli che hanno empiricamente registrato il fatto che un ettaro coltivato a granturco, rende molto meno di un ettaro a vigneto”.

Se l’attività dei Consorzi potrebbe essere più squisitamente di indirizzo, e cioè se una denominazione è in crisi non dovrebbe solo per il fatto di essere una denominazione aspettarsi degli ettari da impiantare, le Regioni dovrebbero davvero approntare delle azioni più decise, visto che le molte Igt e le sempre più numerose Doc regionali occupano porzioni di territorio anche non favorevoli alla viticoltura.

“Non è possibile considerare l’Italia interamente vocata alla viticoltura - continua Castelletti - In Francia esistono dei criteri di accesso ben precisi, stabiliti dai rispettivi distretti amministrativi che hanno posto dei paletti così stretti che alcune centinaia di ettari non sono stati alla fine distribuiti. Forse con qualche esagerazione in questo caso, ma è evidente che anche da noi occorre trovare una sinergia tra Regioni e filiera produttiva, da un lato per evitare che la maggior parte delle richieste provengano da soggetti non appartenenti al comparto del vino e, dall’altro - conclude il segretario generale dell’Uiv - per evitare che si impiantino vigneti in zone non vocate”.

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