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Tra una nascente (e promettente) produzione spumantistica locale e l’enorme incognita della Brexit, la Gran Bretagna va al voto: e insieme ai “Manifesto” elettorali di Labour e Tories arriva anche quello della Wine & Spirits Trade Association

Le imminenti elezioni britanniche per il rinnovo dei 650 membri della Camera dei Comuni arrivano in un momento nel quale regna un’incertezza palpabile nella politica d’Oltremanica: l’attuale Primo Ministro, Theresa May, aveva deciso di indirle per rinnovare il mandato popolare alla politica dei Tories dopo il successo del referendum sulla Brexit, ma nel frattempo i sondaggi, complice più di un passo falso in politica interna e l’obiettiva difficoltà di negoziare trattati “a la carte” per preservare l’economia del Regno, hanno visto i Laburisti arrivare a soli sette punti percentuali di distacco. L’appuntamento con le urne si preannuncia nodale per il futuro del secondo mercato enoico del mondo, e infatti ai tradizionali “Manifesto” elettorali dei due partiti se n’è aggiunto un terzo, firmato dalla Wine & Spirits Trade Association (https://goo.gl/HTrZys), nel quale l’organizzazione di categoria di produttori e operatori del settore ha delineato i suoi auspici e consigli per chi, dopo l’appuntamento con le urne, si troverà a fare i conti con lo svolgimento pratico del processo di uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea.
La principale differenza tra i due documenti politici, da questo punto di vista, risiede nel come affrontare un “no deal”, ovvero la possibilità che non si giunga a un accordo di libero scambio con l’Ue ritenuto soddisfacente per il Regno Unito: per il partito che fu di Margaret Tatcher sarebbe comunque meglio questa possibilità che quella di un accordo svantaggioso, mentre per il Labour targato Jeremy Corbyn la possibilità di un “salto nel buio” è da evitare a ogni costo. Entrambe le piattaforme politiche puntano però molto sull’istituzione di una sorta di “network” di ambasciatori commerciali, per promuovere le esportazioni e gli interessi commerciali delle aziende britanniche sia sull’isola che all’estero. E mentre il Labour non ha specificato chi ricoprirebbe questo ruolo, i Tories hanno dichiarato la volontà di creare una rete di segretari commerciali governativi da porre a capo di “nove nuovi incarichi esteri, per promuovere le esportazioni, gli investimenti e la politica commerciale”. Eccezion fatta per una fugace citazione in ottica di esportazioni nel documento elettorale dei laburisti, comunque, il commercio agroalimentare non è giudicato degno di menzione specifica: fatto senz’altro discutibile, se si considera che il Regno Unito, come puntualizzato dalla Wsta, è il secondo esportatore di superalcolici del mondo (per un controvalore di 1,83 miliardi di Euro), e il secondo importatore di vino, sia in valore (2,18 miliardi) che in volume, soddisfacendo così il 99% dei propri consumi.
Certamente non secondario è anche l’apporto economico del settore wine & spirits all’economia della Corona: tramite il complesso di distillerie, cantine, imbottigliatori e aziende di logistica e vendite al dettaglio, il comparto impiega più di 550.000 persone, genera un’attività economica quantificata dalla Wsta in 57,3 miliardi di Euro e paga imposte per più di 20 miliardi.
Imposte che, in gran parte, provengono dalle accise: 4,7 miliardi solo dal vino e 3,78 sui superalcolici, ovvero il 68% e il 28%, rispettivamente, del totale delle accise raccolte da tutti gli Stati membri dell’Ue. Prelievi monstre se comparati agli standard della Vecchia Europa, e che sono stati aumentati del 62% e del 47% nel corso degli ultimi dieci anni, fornendo al Governo britannico una facile fonte aggiuntiva di introiti, ma non certo facilitando la crescita dell’industria. Non a caso la Wsta chiede ufficialmente al nuovo Governo di abbandonare il piano esistente, che prevede entro la fine della prossima legislatura un’ulteriore inasprimento delle accise di ben il 26%, ovvero un esborso aggiuntivo pari a 2,18 miliardi di Euro. Il documento dell’associazione esorta quindi il Governo prossimo venturo a controbilanciare questo evidente squilibrio fiscale, per poi passare all’auspicio che all’atto pratico la Brexit venga gestita saggiamente e con frequente uso di accordi di transizione, in modo che il settore possa continuare per la sua strada di crescita senza rischiare battute d’arresto a ogni piè sospinto. Questo sia nei confronti dei Paesi membri dell’Unione Europea che extra-Ue, anche e soprattutto con un occhio al prossimo futuro, dato che il settore della spumantistica britannica è decisamente sulla cresta dell’onda dal punto di vista degli investimenti, anche se ancora in stato embrionale per quanto riguarda i volumi (https://goo.gl/n98A43).
Infine, la Wsta ha menzionato anche la legislazione in tema di abuso di alcol e consumo minorile, suggerendo al Governo entrante che l’autoregolamentazione sembra essere la strada da percorrere: il consumo di bevande alcoliche nel Regno è calato del 18,1% dal 2004 al 2015, i crimini associati al consumo di alcol di un terzo e il consumo da parte di minori è ai minimi storici dalla creazione delle relative serie storiche. La percentuale di giovani inglesi tra gli 11 e i 15 anni che non hanno mai provato bevande alcoliche è passata dal 38% del 1988 al 62% attuale, e solo l’8% dei minorenni britannici hanno consumato alcolici nel corso della settimana passata, contro il 25% del 2003. In conclusione, la Wine and Spirits Trade Association ha esortato il Governo a varare una serie di accordi settoriali che vadano ad incastonarsi in una singola strategia industriale, e che abbraccino con pari attenzione vino e spirits, cibo e bevande e strutture ricettive, in modo da sviluppare organicamente queste tre componenti in una vera e propria “politica agroalimentare” a tutto tondo.
Un “Manifesto”, quello della Wsta, chiaramente apartitico, e che punta ad esercitare, con tutto il diritto di farlo, quell’attività di lobbying e di moral suasion che è giusto vedere da parte di un’organizzazione che riunisce oltre 300 aziende della catena produttiva, distributiva e di vendita. Ma anche se fosse evitato il rischio di un “Parlamento appeso”, ovvero una maggioranza dai numeri risicati come conseguenza del sistema uninominale maggioritario secco su base distrettuale, i condivisibili auspici della Wsta potrebbero infrangersi contro un potere negoziale verso l’Unione Europea ben minore rispetto a quello a cui era stato abituato negli anni scorsi l’inquilino del 10 di Downing Street.

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