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“Il Sangiovese nel territorio del Chianti Classico”: convegno al Castello di Brolio dove 230 ettari di vigneto sono il “riassunto” dell’incredibile varietà dell’intero Chianti Classico, per studiare criticità e attitudini del re dei vitigni toscani

Discutere attorno al Sangiovese, potrebbe apparire un esercizio di stile più che una ricerca avanzata su un vitigno di antica coltivazione, tanto siamo abituati a trovarlo protagonista di grandi vini e tra gli obbiettivi più ricercati da appassionati e dagli stessi addetti ai lavori. Eppure, il vitigno toscano per eccellenza, nonostante il suo trascorso lungo e articolato, deve ancora svelarci tutti i suoi segreti.
Ha provato a districarne alcuni il convegno “Il Sangiovese nel territorio del Chianti Classico”, promosso a Brolio da Barone Ricasoli il 20 maggio scorso.
Uno sguardo che ha come focus uno dei territori più belli e importanti del patrimonio viticolo del Belpaese, che più che una zona di produzione può essere considerato quasi come un micro universo a se stante.
Il comprensorio del Chianti Classico si estende su 71.000 ettari tra le provincie di Firenze e Siena; comprendendo per intero i Comuni di Castellina in Chianti, Gaiole in Chianti, Greve in Chianti, Radda in Chianti e, in parte, quelli di Barberino Val d’Elsa, Castelnuovo Berardenga, Poggibonsi, San Casciano in Val di Pesa e Tavarnelle Val di Pesa. La superficie vitata è di oltre 10.000 ettari, di cui a Chianti Classico 7.200 ettari, che producono tra i 35 e i 40 milioni di bottiglie annue. Un comprensorio predominato dall’incredibile varietà di suoli e microclimi che lo rendono affascinante e al contempo difficile da riassumere.
In realtà proprio i vigneti di Barone Ricasoli, una delle realtà storiche del vino italiano e del Chianti Classico, dove il Barone Bettino Ricasoli “inventò” la ricetta del Chianti di allora, riescono in questa sfida non facile perché “i 230 ettari di vigneto sono posti in un areale molto vasto - ha spiegato Carlo Ferrini, storico enologo consulente di Ricasoli - di oltre 1000 ettari, con altitudini variabili dai 500 mt s.l.m. nella zona a nord del Castello di Brolio, sino ai 230 mt s.l.m. nella zona a sud della proprietà, dove il fiume Arbia fa da confine. Durante la preparazione dei nuovi vigneti era emerso in maniera molto evidente la variabilità dei suoli e dei microclimi che caratterizzavano le diverse parcelle vitate, e per questo motivo - ha sottolineato l’enologo toscano - negli anni passati il reparto tecnico, assieme alla proprietà, ha deciso di affrontare uno studio scientifico al fine di conoscere nel dettaglio le differenze esistenti delle aree aziendali maggiormente vocate - conclude Ferrini - alla produzione di Sangiovese ed iniziare il progetto Cru aziendali”.

Dallo studio svolto, è risultato che i suoli di Barone Ricasoli sono praticamente gli stessi che si ritrovano nel comprensorio del Chianti Classico, ad eccezione delle argille plioceniche tipiche della parte bassa del comune di Castellina in Chianti.
Uno studio “che ha permesso di conoscere l’esistenza di 19 tipi di suoli diversi - ha aggiunto Ferrini - ed individuare quattro terroir aziendali ben distinti tra loro sia dal punto di vista geologico che climatico, e con una estensione tale da giustificare uno studio anche enologico, con lo scopo di produrre vini da Sangiovese distinguibili tra loro”.
Insomma, i vigneti del Castello di Brolio sono il “riassunto” delle possibili espressioni del Sangiovese a livello generale dell’intero areale del Chianti Classico. Una proprietà che certamente non è da considerare di poco conto visto che “il Sangiovese è la varietà di vite più coltivata in Italia - ha afferma Paolo Storchi, del Centro di ricerca Viticoltura ed Enologia di Arezzo - ma per la sua bassa stabilità ambientale non in tutti i territori fornisce prodotti di alta qualità. In particolare risulta un vitigno “difficile” per il suo potenziale polifenolico e soprattutto antocianico, geneticamente caratterizzato da una scarsa presenza di molecole stabili, che ne rendono talvolta problematica la tenuta nel tempo. Nel suo profilo è infatti minima la presenza di antocianine acilate (solitamente meno del 2%), a vantaggio di composti facilmente ossidabile e di scarso apporto di colore al vino finito. Oltre alle tecniche di cantina - ha proseguito Storchi - per ottenere vini di qualità da Sangiovese in purezza risulta quindi fondamentale ottenere uve con elevato contenuto totale in antociani, parametro influenzabile dalle condizioni ambientali, dalle tecniche colturali e, in parte, dalla selezione clonale condotta negli ultimi decenni per individuare genotipi a maggiore potenziale antocianico”.
Se il Sangiovese è così sensibile al progressivo global warming che sta interessando con fenomeni non certo irrilevanti il Vecchio Mondo enoico “gli aumenti termici degli ultimi anni hanno fatto sì che in molte aree della Toscana - ha puntualizzato Cesare Intrieri del Dipartimento di Scienze Agrarie, dell’Università di Bologna - la vendemmia del Sangiovese, che in passato avveniva tra la prima e la seconda settimana di ottobre, oggi venga spesso anticipata di una-due settimane. Nonostante tale anticipo, le uve possono comunque avere un grado zuccherino già troppo elevato ed una acidità troppo bassa, mentre possono essere ancora insoddisfacenti alcune caratteristiche degli acini, quali ad esempio il colore della buccia”.
Conseguenze che, evidentemente, interessano anche il bagaglio aromatico dei vini da Sangiovese. “Gli aromi, grazie all’enorme variabilità delle note espresse - ha spiegato Claudio D’Onofrio del Dipartimento di Scienze Agrarie, dell’Università di Pisa - rappresentano i componenti che maggiormente definiscono i parametri di qualità e di tipicità del vino. Tra questi, gli aromi varietali, direttamente legati al metabolismo delle uve, sono tra i composti che maggiormente permettono il riconoscimento del vitigno nel vino e del sito di coltivazione, e quindi fortemente legati all’espressione del territorio. Nelle uve di Sangiovese coltivato in Toscana spesso il picco della concentrazione degli aromi precede il raggiungimento delle caratteristiche macro-strutturali più comunemente adottate per stabilire l’epoca di vendemmia - ha aggiunto D’Onofrio - e l’influenza del sito di coltivazione delle uve prevale su quella climatica nella formazione della componete aromatica, consentendo di riconoscere la tipicità territoriale degli aromi dei vini indipendentemente dalla variabilità meteo dell’annata. Evidente l’influenza della tipologia di suolo sul totale degli aromi varietali ed è emersa anche una forte influenza diretta e indiretta della temperatura dell’aria del sito di coltivazione - conclude D’Onofrio - attribuibile direttamente agli effetti delle temperature sulle vie metaboliche degli aromi, e indirettamente agli effetti sulle dinamiche di maturazione della bacca e quindi alle diverse caratteristiche delle uve a vendemmia”.
Di nuovo l’influenza del terroir sembra diventare un fattore ben più che determinante specie in un areale come il Chianti Classico, peraltro molto analizzato. “Il paesaggio del Chianti può essere descritto da nove principali unità paesaggistiche che racchiudono aree relativamente omogenee - ha illustrato Edoardo Costantini del Centro di Ricerca Agricoltura e ambiente di Firenze - In realtà, la morfologia del Chianti è abbastanza variabile, passando dalle alte e basse montagne e colline a est, dove i vigneti sono collocati sulla dorsale del Chianti fino a 500-600 m, alle colline più dolci della Val di Pesa o della Val d’Elsa ad ovest. Le precipitazioni medie annuali si estendono tra i 650 ei 950 mm. La temperatura media annuale è di 13-14 ° C, con inverni freddi e estati calde e temperature massime spesso superiori ai 35 ° C. Le escursioni giornaliere sono abbastanza pronunciate, soprattutto a quote elevate. Le diverse condizioni hanno un notevole effetto sull’acidità del vino - ha aggiunto Costantini - sugli antociani e sul contenuto di zuccheri. Nel complesso, la ricchezza di pietrosità è la principale caratteristica funzionale dei suoli del territorio del Chianti, in quanto regola la fertilità del suolo e il drenaggio dell’acqua piovana, induce un profondo approfondimento della radice, che porta una lenta e costante provvista di acqua e sostanze nutritive e favorisce un ottimale processo di maturazione delle uve. Questi suoli sono particolarmente adatti a alla coltivazione arborea e in particolare della vite. È per questo motivo che le principali varietà di uve del Chianti, come il Sangiovese, le quali esercitano un basso controllo genetico sulla loro fenologia, raggiungono nei suoli rocciosi delle colline del Chianti livelli molto elevati di qualità. La quantità eccessiva di frammenti di roccia - ha concluso Costantini - come del resto la scarsa profondità del suolo, possono però causare un abbassamento insostenibile delle rese e una forte dipendenza del risultato enologico dall’andamento climatico”.

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