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La case history dei progetti Viva (Ministero dell’Ambiente) & SoStain (Università di Piacenza), dalla Sicilia all’Italia, per un vino italiano sempre più “buono” perchè sostenibile a 360 gradi, con la responsabilità sociale d’impresa in cantina

Misurare l’impatto sull’acqua, sul vigneto e sul territorio; utilizzare solo trattamenti con un impatto sull’ambiente, sull’agricoltore e sul consumatore inferiore a quello del biologico; vini sicuri, con molte analisi e poca solforosa; approvvigionarsi di uve, persone e competenze il più possibile locali; monitorare e proteggere la biodiversità; utilizzare materiali ecocompatibili in vigna; adottare bottiglie sempre più leggere anche per l’aria, per ridurre le emissioni di trasporto; minimizzare gli sprechi, utilizzando solo l’energia che serve davvero lungo tutto il processo produttivo; puntare su accorgimenti e tecniche come quella del mantenimento del prato d’inverno per la difesa del suolo; tradurre tutto questo non solo in un “bollino” da mettere in bottiglia, ma anche in parole e numeri che raccontano un impegno: ecco i “10 comandamenti” di “Viva - La sostenibilità nella viticoltura in Italia”, unico progetto tra i tanti dedicati alla sostenibilità della viticoltura del Belpaese promosso dal Ministero dell’Ambiente (www.viticolturasostenibile.org), sempre più integrato con il progetto SoStain, messo a punto dal centro di ricerca Opera dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, a partire dalla Sicilia, oggi Regione “pilota” anche grazie al lavoro in questo senso della griffe Tasca d’Almerita, dopo 6 anni di sperimentazione in vigna e cantina.
Una integrazione importante, perchè SoStain è un programma che nasce dal basso, ed è frutto della volontà di alcune aziende vitivinicole siciliane che da anni “coltivano” pratiche sostenibili. Per poter ottenere la certificazione da parte di un ente terzo indipendente, le aziende devono soddisfare 10 criteri minimi che descrivono l’insieme di azioni volte allo sviluppo sostenibile aziendale e del territorio. Tra questi requisiti è stata da poco inclusa anche la verifica dei quattro indicatori Aria, Acqua, Vigneto e Territorio, sviluppati nel programma Viva. Una case history importante che si inserisce un contesto più ampio, che vede tanti progetti diversi in campo, per un vino italiano che, in generale, è sempre più sostenibile, perché la sua produzione rispetta l’ambiente, dal vigneto alla cantina, spesso seguendo anche i dettami di un’agricoltura biologia, biodinamica e “naturale”, ma anche perché sostenibile è l’economia che mette in moto nel suo territorio, a tutti i livelli, da quello produttivo all’indotto, ed i cui effetti si misurano anche in termini di sostenibilità sociale verso la comunità, destinataria di progetti che vanno dal restauro di un monumento all’educazione dei bambini, solo per fare degli esempi. Che racconta la bellezza dei luoghi in cui è prodotto, perché con il suo territorio, che non è solo una “vetrina”, ha un legame virtuoso, fondato sullo scambio reciproco di valore aggiunto, e premiato dai consumatori attenti che scelgono su tutte, una sua etichetta. La sua qualità, non è solo dentro la bottiglia, ma anche tutto attorno, e si riflette prima di tutto sul lavoro di chi lo produce, nel rispetto dei diritti e delle persone. È, in poche parole, il vino “buono”, più che un prodotto, una vera e propria filosofia produttiva, registrata da WineNews e adottata dalle aziende, grandi o piccole, non fa differenza, perché non è tanto una questione di numeri, ma di una responsabilità sociale di impresa verso consumatori, ambiente, comunità e territorio che è sempre più fondamentale.
Il vino italiano ha compiuto passi da gigante anche e soprattutto nel rapporto con i propri territori, perché non siano più solo una “vetrina”, ma il valore aggiunto che accompagna la bottiglia, in Italia come nel mondo. Un valore aggiunto che, però, va conservato e accresciuto, e qui il vino può, viceversa, dare qualcosa in cambio al suo territorio, contribuendo al suo sviluppo e alla sua crescita e a renderlo all’avanguardia anche in termini di competitività. Sono molte le aziende italiane per le quali, differenziando non solo i propri prodotti e mercati ma anche i propri interessi, la sostenibilità non è più solo ambientale, ma anche economica e sociale, e la cui caratteristica è il riflettersi sull’intera comunità, in termini di occupazione, indotto, ricerca, tutela ambientale, patrimonio storico-culturale, innovazione. Una sostenibilità, cioè, che, uscendo al di fuori del perimetro aziendale, favorisce lo sviluppo non solo di un settore trainante del made in Italy, ma del sistema Paese più in generale, rivolgendo lo sguardo al futuro.
C’è chi, tra le cantine più virtuose è arrivata ad essere 100% eco-friendly e off-grid, adottando ogni pratica possibile lungo il processo produttivo per rispettare l’ambiente, riducendo, riutilizzando e riciclando, puntando sull’agricoltura di precisione, eliminando ove possibile l’uso della chimica, convertendosi al biologico - su oltre 680.000 ettari totali sono ormai più di 83.600 in Italia quelli iscritti al Sinab-Sistema d’Informazione Nazionale sull’Agricoltura Biologica del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, e quest’anno il numero di richieste di conversione riguardano 30.000 ettari, 5.000 in più sull’anno precedente - o alla biodinamica. Ma sempre di più conservare l’ambiente in cui un vino si produce vuol dire anche preservarne la biodiversità, contro la monocultura, diversificando le proprie scelte colturali nel rispetto della peculiarità del territorio e magari riscoprendole e rilanciandole. Una scelta produttiva che porta con sé la valorizzazione delle competenze e delle tradizioni locali, in un’ottica di economia circolare che crea impresa, occupazione e reddito sul territorio. Un fare impresa che, su tutto, si fonda sul rispetto del lavoro, dei diritti e delle regole nell’ambiente lavorativo, dal vigneto alla cantina, e non solo. Infine, il vino “buono” è motore e ideatore di progetti nella propria comunità, in forma di sponsorship o collaborazioni, anche pubblico-private, culturali, di eventi, di restauro e recupero delle bellezze territoriali, di educazione alimentare delle future generazioni, di inclusione sociale, di miglioramento generale dei servizi e della vita di chi lo abita. Produrlo, per le aziende, vuol dire ridare il giusto valore all’agricoltura, e farla tornare ad essere un punto di riferimento per i territori e le loro comunità.

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