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Innovazione e sostenibilità in viticoltura vuol dire anche creare nuove varietà di vite resistenti ai patogeni, ma a frenare i risultati della ricerca ci sono normative poco evolute e l’“incubo” Ogm trai consumatori. Parlano scienziati e produttori

La ricerca e l’innovazione nel mondo del vino passa anche dal dare vita a nuove varietà di vite più resistenti agli agenti patogeni, come la peronospora, e quindi più amiche dell’ambiente perché richiedono meno trattamenti ma la normativa Ue e nazionale non aiutano e anche tra i consumatori manca una cultura in materia per superare paure e l’“incubo” Ogm. Questi alcuni dei temi trattati oggi in un incontro organizzato oggi al Vinitaly dal Crea, il Consiglio per la ricerca in agricoltura, dal titolo “Vino 4.0: ricerca e nuove tecnologie”.

Tra i relatori Michele Morgante, professore ordinario di genetica dell’Università di Udine e Direttore Scientifico dell’Istituto di Genomica Applicata, Emilio Pedron, presidente della Bertani Domains, e Mario Pezzotti, professore ordinario di genetica agraria Università di Verona.
“Già 15 anni fa, come università abbiamo iniziato a parlare di innovazione genetica in viticoltura - ha osservato Morgante - e oggi c’è grande entusiasmo perché è maturata la sensibilità verso i problemi ambientali e della sostenibilità. La viticoltura, almeno in Italia ha un problema di sostenibilità perché le varietà che utilizziamo non sono resistenti a una serie di patogeni perché negli ultimi secoli il miglioramento genetico è stato quasi nullo e stiamo ancora coltivando le stesse varietà da centinaia di anni a differenza di tanti altri settori agricoli dove la genetica ha contribuito a rendere le varietà più resistenti. Le varietà su cui abbiamo lavorato sono sul mercato da 2 anni e sono 10 varietà che sono state ottenute con uno schema di incrocio molto semplice tra varietà tradizionali con altre resistenti ma pur sempre di vitis vinifera. Abbiamo prodotto migliaia di progenie e abbiamo selezionato quelle più promettenti, guardando non solo alla resistenza ma anche alla qualità”.

Secondo Morgante “queste dieci varietà sono interessanti per la semplicità di gestione del vigneto che presentano ma abbiamo avuto un percorso complesso per portarle sul mercato per una serie di motivi. Il primo, che è dipeso dal Ministero, è che in Italia vengono considerate come varietà non di vitis vinifera e per cui non possono essere usate per i vini Doc. In Germania, invece, gli stessi tipi di varietà sono state inserite come varietà di vitis vinifera. A nostro avviso l’Italia commette un errore perché la classificazione si basa su caratteri ampelografici e da questo punto di vista le nostre varietà sono identiche alla vitis vinifera. Poi sono subentrati problemi con le singole regioni perché ognuna può decidere come vuole e al momento sono ammesse alla coltivazione solo in Veneto, in Friuli, e altrove il problema sta andando a rilento con le motivazioni più strane”.
A livello normativo, ha ricordato ancora, “la direttiva comunitaria in materia, del 2001, non distingue tra interventi transgenici come gli Ogm, che non possono avvenire in natura per incrocio perché i geni provengono da una specie diversa, e invece piante cinsgeniche in cui gene trasferito nella sua maniera naturale con un risultato uguale a quello di un normale incrocio. Si dovrebbe cambiare la normativa per semplificare il processo per gli interventi cinsgenici. Per l’editing genetico la situazione è ancora più complicata perché al momento assistiamo a un vuoto normativo”.

Per il professor Pezzotti “con la nuova tecnologia del genoma editing è possibile intervenire sui geni in maniera chirurgica e modificarli o trasferirli senza lasciare nessuna traccia. Abbiamo lo stesso effetto naturale della mutazione con gli incroci tradizionali e quindi si dà vita a specie indistinguibili da quelle coltivate e indotte alla mutazione dall’uomo. La tecnologia non è completamente matura per la vite ma lo è in altre specie agrarie e in altre paesi come Usa che sono definite non come Ogm”.

Il punto di vista dei produttori è stato offerto da Pedron che ha sottolineato come “il bisogno di dare sicurezza al consumatore è molto alto, ed è molto alto anche quello di coltivare in maniera sostenibile che fa parte dei nostri doveri etici per il rispetto dell’ambiente. La risposta semplice è quella di coltivare biologico ma è una risposta debole che si presta anche a degli inganni. Guardiamo con grande interesse alla ricerca ma abbiamo davanti due enormi problemi. Il primo è il consumatore che non è ancora maturo per sentir parlare di genetica e la seconda è la perdita di caratteristiche. Abbiamo lavorato per decenni per selezionare il clone o il cultivar più giusti che ci differenziano da quello del nostro vicino. Il tempo dovrà risolvere questo problema perché non c’è soluzione. La genetica dovrà essere spiegata al consumatore meglio di come fatto fino ad oggi”. Per Pedron “il biologico non può essere la risposta, anche perché spesso non è praticabile e porta alla perdita di prodotto. D’altra parte dobbiamo difendere le nostre tradizioni e caratteristiche e quindi ansiosi per quello che la ricerca può darci ma va cambiato l’approccio verso la genetica e l’approccio con cui il mondo della ricerca parla la consumatore. Oggi coltivare un vigneto in annate difficili che richiedono molti trattamenti non è più proponibile”, ha concluso.

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