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Veneto Agricoltura presenta i suoi “Piwi”: vitigni resistenti alle patologie fungine, ottenute tramite incroci e selezioni, per venire incontro alle esigenze sia dell’ambiente che di un consumatore sempre più sensibile alla sostenibilità

Bronner, Sauvigneir Gris, Muscaris, Solaris e Cabernet Cortis: sono questi i cinque vitigni - a bacca bianca i primi quattro, e a bacca rossa il quinto - che Veneto Agricoltura ha presentato, e che rappresentano un nuovo passo avanti nella ricerca e nella sperimentazione della selezione genomica come soluzione al problema dell’uso dei fitosanitari in vigna, oltre che come risposta alle esigenze di un consumatore sempre più informato e sensibile ai temi ambientali nel bicchiere.

I cinque vitigni, denominati “Piwi” (pilzwiderstandfahig, ovvero vitigni resistenti ai funghi), sono frutto di un attento lavoro, da parte di Veneto Agricoltura, di ricerca di varietà che presentano le caratteristiche desiderate, provenienti anche da altri continenti, per poi procedere a una selezione genetica tramite i soli incroci. Non si tratta, quindi, di modificazione genetica da parte dell’uomo, ma di un processo completamente naturale, sul quale si sono da tempo rivolte le ricerche scientifiche anche in altri paesi produttori europei, come Germania ed Ungheria. Con lo scopo di generare, ha puntualizzato Stefano Soligo di Veneto Agricoltura, varietà tolleranti alle aggressioni delle patologie fungine, e che quindi non necessitano di interventi fitosanitari. La sperimentazione, da questo punto di vista, è estremamente giovane: basti pensare che le prime varietà di questo tipo inserite nel registro nazionale risalgono al 2013, e le più recenti, tra le quali le cinque presentate da Veneto Agricoltura, vi sono state inserite nel 2015.

Una sperimentazione sicuramente promettente, anche nel calice, ma che al momento presenta un forte limite, dato che ad ora le varietà di questo tipo non possono essere utilizzate nei vini a denominazione, ma esclusivamente in quelli da tavola o Igt. “Chiaramente”, commenta Soligo, “questa è la cosa che forse limita maggiormente l’uso di queste varietà, perché nelle denominazioni, dove i vitigni sono già consolidati, è difficile, non solo legislativamente, far capire che c’è spazio per questi vitigni. Sarebbe interessante un loro utilizzo per il 10 o 15 per cento, ad esempio nel Prosecco, col Glera, e sarebbe bellissimo poterle coltivare nelle zone sensibili: non necessitando di trattamenti, risolverebbero molte delle problematiche che attualmente emergono dall’opinione pubblica”. C’è un limite normativo, però, e non nazionale, ma comunitaria: di conseguenza, ha concluso Soligo, è necessario fare da questo punto vista fronte comune con gli altri Paesi membri dell’Unione che sono altrettanto attenti e attivi al tema delle varietà resistenti - come Germania, Ungheria e persino Francia.

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