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Nel 2020 l’Italia continuerà a contendersi la palma di primo esportatore enoico mondiale con la Spagna, con l’export che crescerà del 10% ed i consumi globali che cresceranno del 4%. Così lo studio “Outlook vino 2020” presentato a Vinitaly da Ismea

Italia
Il futuro del mercato del vino mondiale secondo Ismea e Vinitaly

L’Italia continuerò a contendersi con la Spagna il primato di Paese leader nell’export enoico anche nel 2020, mentre la Francia sarà ancora lontanissima in termini di valori, con gli Stati Uniti che si confermeranno come il più remunerativo dei mercati. Ecco i risultati dello studio di Ismea “Outlook vino 2020”, presentato oggi a Vinitaly dal direttore generale Ismea Raffaele Borriello, insieme a Steve Raye, presidente di Bevology, Aline Bao, responsabile acquisti internazionali di Cofco (China National Cereals, Oils and Foodstuffs Corporation), Rodrigo Cipriani Foresio, country manager Alibaba per Italia, Spagna e Grecia e Andrea Olivero, viceministro delle Politiche Agricole. Un’analisi che prende le mosse innanzitutto dagli sviluppi più recenti, a partire da una stabilizzazione dei consumi complessivi, che nasconde però una consistente riorganizzazione tra aree geografiche. Ad un calo nelle aree tradizionalmente consumatrici farà da contraltare una crescita importante nei cosiddetti “new comers”, tra cui vanno ancora considerati gli Stati Uniti, diventati ormai il primo consumatore mondiale, con il Continente Americano capace di assorbire un quarto dei consumi globali.

Anche l’Oceania ha assunto un ruolo sempre più rilevante, anche se la crescita più ragguardevole è quella messa a segno dall’Asia, la cui quota è passata dal 7% al 10%. In questo senso, negli ultimi dieci anni, la Cina ha più che raddoppiato (+117%) i consumi, mettendo nel mirino la Germania, che nel frattempo è rimasta essenzialmente stabile (+2%), al quarto posto tra i maggiori consumatori. Passando alle spedizioni dei maggiori Paesi produttori, la sfida tra Francia e Italia sui grandi mercati registra il primato del Belpaese in Usa, Germania, Svizzera e Russia, mentre la Francia si colloca meglio in Paesi comunque importanti come Canada e Gran Bretagna, dove pesa comunque l’attesa per gli effetti della Brexit, qualsiasi saranno, ma soprattutto la Cina, un mercato ormai strategico ma in cui l’Italia è in estremo ritardo, per ragioni sia endogene al settore. Come la difficoltà ad affrontare come sistema unico un mercato così ampio e difficile, sia esterne, come la scarsa percezione tra i wine lovers cinesi del Belpaese come produttore di vin prestigio a livello mondiale.

D’altra parte, l’arena competitiva mondiale diventa sempre più complessa e articolata, vista l’efficacia dell’azione di molti nuovi produttori. L’analisi mette in evidenza tra essi la capacità di scalare posizioni, in questi anni, della Nuova Zelanda. Non è da sottovalutare, però, nemmeno la dinamica di Sudafrica ed Argentina, mentre Australia e Cile sono su posizioni più stabili. Sulla qualità e sui prezzi all’esportazione si gioca probabilmente la partita decisiva del futuro: in questo senso il prezzo intermedio tra il “premium”francese e il low price spagnolo consente all’Italia maggiori margini d crescita. Il nostro Paese segna infatti un +20% nei prezzi medi all’esportazione nel periodo 2014-2016 rispetto al 2011-2013, con la Francia che cresce del 9% e la Spagna che perde il 5%.
L’Outlook 2020 per il settore del vino indica, in primo luogo, una lieve crescita (+2,4%) della produzione mondiale. In questa tendenza la Cina, con uno stimato +10%, assumerà un ruolo di rilievo, non solo come Paese consumatore ma anche come produttore. I consumi mondiali dovrebbe mantenere un trend positivo, con un incremento stimato di oltre il 4%. A guidare questa crescita saranno ancora gli Stati Uniti (+5,7%) che consolideranno il primato con una probabile espansione dei consumi nelle aree attualmente meno interessate dalla tendenza, la Russia (+6,1%), con un aumento della richiesta di prodotti premium, e la Cina, che nel ranking mondiale dei Paesi consumatori potrebbe raggiungere la Germania al quarto posto.

Sempre a proposito di consumi, a livello nazionale i trend più recenti forniscono indicazioni interessanti sulla possibile conclusione del profondo processo di mutamento degli stili di consumo che, dal dopoguerra ad oggi, ha trasformato il vino da vero e proprio alimento in prodotto con una dinamica tutta sua, portando ad una sostanziale contrazione dei consumi nazionali: ci sono segnali che fanno pensare ad una stabilizzazione. Infine, a fronte della crescita prevista dei consumi, gli scambi mondiali del vino dovrebbero subire un’accelerazione con un incremento di oltre il 5%. L’Italia, con un valore delle esportazioni in crescita del 10%, potrebbe confermare la leadership produttiva, con la Francia che farà un po’ meno bene (+6,1%) ed il Cile che potrebbe ritagliarsi un ruolo importante anche come Paese consumatore.

Ci sono però, come accennato, delle dinamiche imprevedibili con cui fare i conti, “a partire dalla Brexit, perché i termini dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea - spiega a WineNews il direttore generale Ismea Raffaele Borriello - sono ancora un’incognita incalcolabile, in un Paese che per il vino italiano è fondamentale. Senza dimenticare le politiche protezionistiche adombrate dall’amministrazione Trump, che rischiano di mettere in seria difficoltà le spedizioni italiane verso gli Stati Uniti. Più in generale, gli accordi commerciali che l’Europa, e quindi l’Italia, riuscirà a spuntare sui mercati emergenti potrebbero rivelarsi fondamentali: basta guardare alla crescita, a suo modo impressionante, della Nuova Zelanda, capace di imporsi anche su un mercato difficile come quello della Cina, dove esporta a dazi praticamente azzerati”.

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