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Idee, richieste e spunti per il vino italiano: la filiera unita (Federvini, Unione Italiana Vini, Federdoc, Assoenologi, Confagricoltura, Cooperative, Confederazione Italiana Agricoltori) parla al Ministro delle Politiche Agricole. Che non c’è …

Italia

La necessità di avere risposte chiare sulla questione Ocm Promozione, ma anche una maggiore programmazione sugli investimenti; la voglia di conoscere nel merito il contenuto dei primi decreti attuativi del Testo Unico per poter contribuire alla loto struttura come fatto per lo stesso testo che norma il quadro generale della materia; la voglia di crescere ancora in competitività sia sul mercato italiano che su quelli esteri, con la ricerca (eterna) di maggiori sinergie tra imprese e anche istituzioni. Sono queste le macrotematiche che la filiera del vino, unita (da Federvini ad Unione Italiana Vini, da Federdoc ad Assoenologi, da Confagricoltura ad Alleanza delle Cooperative Agroalimentari, alla Confederazione Italiana Agricoltori) ha affrontato a Vinitaly, nell’area del Ministero delle Politiche Agricole, lanciando tante richieste e spunti rivolti soprattutto al Ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina che, però, non ha partecipato all’incontro, “bloccato da altri impegni”, con il disappunto più o meno esplicito di molti.

In ogni caso, è emerso un quadro in cui la filiera ha voglia di continuare a lavorare unita per crescere, “con lo stesso spirito che ha guidato la battaglia, per ora vinta, contro la liberalizzazione dell’utilizzo, nell’Ue, di nomi di vitigni tipici di alcune denominazioni italiane poco più di un anno fa, o quello che ci ha portato ad essere il primo Paese europeo ad avere un Testo Unico del Vino.
E con questo stesso spirito - ha detto Ruenza Santandrea, coordinatrice settore Vitivinicolo Alleanza Cooperative Agroalimentari - come filiera andiamo verso i decreti applicativi, aspettiamo che ci vengano esplicitati, perchè è necessario che la semplificazione annunciata diventi reale.

Per esempio, oggi ci sono tanti dati dentro al sistema dei controlli, e allora che si mettano a sistema e chi fa i controlli li utilizzi, così non dobbiamo darglieli 1.000 volte. E poi ci sono tanti fronti aperti anche in Europa: non piace a nessuno, per esempio l’idea di inserire le informazioni nutrizionali nelle etichette del vino, come vuole la Commissione Ue. I produttori dovrebbero cambiare tutte le etichette, per arrivare ad una sorta di bugiardino che, secondo noi, non vogliono neanche in consumatori. Poi c’è la revisione del regolamento 607, ed in particolare ci preoccupa la volontà di abolire il regime di tutela transitoria delle denominazioni, e non ne vediamo il motivo, visto che fino ad oggi ha funzionato bene. E poi chiaramente c’è l’Ocm Vino per la promozione nei Paesi Terzi: non possiamo sprecare occasioni, le vicende che conosciamo sulla campagna 2016-2017 che abbiamo vissuto hanno fatto danni. speriamo di essere ancora in tempo per riparare, ma soprattutto vogliamo parlare presto del 2017-2018”.

“Dobbiamo lavorare per la competitività del settore - ha detto il neo presidente di Confagricoltura Massimiliano Giansanti, la cui associazione rappresenta quasi la metà delle aziende che espongono a Vinitaly - lo dicono i dati: in 15 anni gli ettari vitati sono passati da 770.000 a 630.000, le aziende da 500.000 a 380.000, la media dimensionale delle aziende che producono uva è passata da 1 a 2 ettari. E oggi, con 2 ettari, sul mercato si fa fatica a starci. Nel frattempo i consumi interni diminuiti del 24%, ma le aziende più strutturate hanno aumentato i fatturati del 27%, il che vuol dire che la politica della qualità legata al territorio, e ai numeri, premia. Lo dicono anche gli oltre 10 miliardi di fatturato delle cantine italiane, che per la metà arriva dall’export. Insomma, è un settore che, in generale è in salute - sottolinea Giansanti - ma ci servono politiche per la crescita del settore, e anche con il confronto con il Ministero. Anche sul fronte degli investimenti, a proposito di Ocm Vino, e non solo di promozione, perchè si deve lavorare a lungo termine per fa crescere il valore aggiunto. Coscienti che non è più il tempo del “piccolo è bello”, ma quello del “grande (che vuol dire anche tanti piccoli uniti insieme) è meglio””.

Certo è che le sfide che attendono il vino italiano sono strettamente legate a quelle generali dell’agricoltura, come ha sottolineato il presidente della Cia Confederazione Italiana Agricoltori Dino Scanavino: “Ocm e Pac sono strumenti fondamentali. Dobbiamo far funzionare bene la Pac, e intervenire sul regolamento Omnibus per renderla più flessibile e meno pesante nella burocrazia.

Dobbiamo rafforzare il sistema delle imprese agricole, che sono alla base della filiera vinicola, sono quelle che garantiscono competitività e qualità. L’Ocm, poi, è fondamentale, e c’è questo grande problema sull’assegnazione dei fondi per la promozione. Certo è che serve una visione strategica: la Pac post 2020 la stiamo scrivendo ora, dobbiamo immaginare come sarà la viticoltura oltre quella data, e non è facile, ma lo dobbiamo fare. Le rigidità che la Pac presenta sono quelle che bloccano i psr oggi, e che non consentono al settore di evolvere. Ci sono oltre 50.000 imprese che producono vino in Italia, oltre la metà è sotto i 50 ettolitri: tutto questo ci dice quanto c’è da fare in termini di aggregazione e semplificazione”.

Quello che più conforta, per ora, è il mercato, e non è poco. “Le cose ne complesso vanno bene - ha detto il presidente di Unione Italiana Vini Antonio Rallo - finalmente è tornata a crescere l’Italia, sia in horeca che in Gdo, e l’export come sappiamo ha toccato il record dei 5,6 miliardi di euro, ma solo grazie al prosecco, perchè in vini fermi sono in negativo. Dobbiamo fare grande attenzione a questo aspetto, e lavorare di più per far crescere il valore delle nostre bottiglie, su più mercati. Perchè è vero che in molti siamo leader, come in Usa, con oltre 1,3 miliardi di euro, e in Germania, con 977. Ma se guardiamo alle dinamiche di crescita, in Europa i consumi calano del -2%, in Usa crescono del +2%, ma la crescita vera è in Asia e in Cina in particolare. Solo che in Cina ancora non ci conoscono, dobbiamo fare un lavoro di base, di educazione, e per questo è positivo anche il lavoro che stiamo facendo con l’Ice, e quello del Tavolo del Vino che vede le più importanti associazioni della filiera lavorare con i Ministeri della Sviluppo Economico, degli Affari Esteri e delle Politiche Agricole. Ma penso anche agli accordi di libero scambio che il Commissario all’Agricoltura Ue ci ha promesso di concludere a breve, come quelli con il Messico o con il Giappone”.

Certo è che, come emerge chiaramente, uno dei grandi obiettivi è quello di far crescere il valore aggiunto riconosciuto al vino italiano.

E per farlo, serve uno “sforzo collettivo - ha detto il presidente di Federvini Sandro Boscaini - e complementare sui mercati, per mettere a sistema le tante sinergie possibile, e rafforzare la nostra presenza nei mercati. Ma serve anche maggiore efficacia e tempestività delle istituzioni, non solo proclami di principio, deve esserci un atteggiamento collaborative e fattive.
Abbiamo il Testo Unico, ma ci servono i decreti attuativi - sottolinea Boscaini - e vorremmo che le nostre rappresentanze fossero coinvolte lo è stato per i testo generale, che però ora va messo in pratica. Noi siamo tutti i giorni in vigna, in cantina e nel mercato, conosciamo la materia, possiamo dare il nostro contributo. Serve un alleggerimento normativo, ma anche cose pratiche: si parla tanto di digitalizzazione, ma ancora ci manca la banda larga in molti territori”.

Tante richieste, suggerimenti e spunti che la filiera rivolge alle istituzioni, e al Ministro delle Politiche agricole in particolare. Che però, non c’è e non risponde: “secondo me viviamo un momento di grande confusione, di incapacità di progettare a lungo termine. È il quarto anno che a questo tavolo c’è tutta la filiera - dice il presidente di Federdoc Riccardo Ricci Curbastro - a chiedere di poter progettare, discutere programmare con capacità, concretezza, visione.

Ma ci mancano delle risposte: abbiamo scritto spesso al Ministro chiedendogli di incontrarlo per parlare dell’Ocm Vino, dei decreti del Testo Unico. L’ultima lettera risale al 31 gennaio, ma è lettera morta, non è arrivata risposta. Noi ci siamo, ma per lavorare, per confrontarci, la risposta deve arrivare”.

Anche perché ci sono questioni urgenti e pratiche da affrontare, come quella già citata da Ruenza Santandrea sulla possibile abolizione del regime di tutela transitorio delle denominazioni: “la riforma del regolamento Ue rischia di metterci in condizioni di non agire. Oggi, se una pratica non viene evasa nei tempi, si deve operare in regime di temporaneità, che ovviamente non può essere eterna. Ma i disciplinari sono “vivi” - sottolinea Curbastro - come le cantine, e cambiano a seconda delle esigenze. Ma oggi a Bruxelles ci sono 900 pratiche inevase, e non abbiamo tempi certi. Per questo un regime transitorio oggi è ancora necessario. Come lo è separare, magari, quello che deve essere gestito a livello Ue e quello che può essere risolto a livello nazionale. Non credo che la modifica delle percentuali di tagli con altri vitigni in un disciplinare possa essere un tema che richiede attenzione a livello europeo come lo è, invece, l’allargamento di una zona di produzione, per esempio. Insomma, servirebbe una riforma in questo senso, con un po’ di pragmatismo”.
Curbastro, da presidente di Federdoc, e stuzzicato sul numero enorme delle denominazioni del vino, risponde indirettamente anche all’assenza del Ministro Martina, annunciato anche in contemporanea, ad un dibattito in Puglia sull’opportunità di costituire una nuova Dop Cellino San Marco: “se mi chiede se c’è bisogno di una nuova Dop come questa rispondo che non ne sento proprio il bisogno. Detto questo, le denominazioni del vino italiano sono un patrimonio, sono l’ancora del successo del nostro vino, che è legato al territorio. Certo forse abbiamo un po’ esagerato: 450 sono troppe, e bisogna anche dar loro una gerarchia, se si pensa che 100, più o meno, rappresentano oltre il 90% del mercato. Allora forse meglio puntare più su sottozone dentro le grandi denominazioni, in modo che siano peculiarità protette, ma non una zavorra, rispetto a tutto il resto. Forse sono maturi i tempi per questo percorso, anche se mi dispiace notare che a volte prevale ancora la logica del campanile”.

Tra le categoria che hanno contribuito alla grande crescita del vino italiano c’è senza dubbio, quella dell’enologo. “Che però è stata trascurata dal Testo Unico, e di questo faccio pubblica ammenda - commenta il presidente di Assoenologi Riccardo Cotarella - e spero che rimedieremo con i decreti attuativi. Io però devo dire, che sono contrario a questo entusiasmo sui primati dell’Italia del vino perchè, in realtà, spesso sono primati “tristi”. Noi facciamo guerra sul mercato con Australia, Cile, Argentina, Paesi che hanno iniziato ieri a fare vino, a cui spesso noi abbiamo insegnato. Siamo il Paese con più ricchezza culturale e storia legata al vino, con più diversità, ma il mercato non ci riconosce questo plus valore. Ed è colpa nostra, che non ci raccontiamo come “Paese del vino”, come invece fanno in Francia, dove lavoro da anni, e dove nessun produttore parla male del suo vicino”. Insomma, tanti spunti, idee, provocazioni, richieste. Nella speranza che chi di dovere, almeno in differita, le ascolti.

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