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Vinitaly 2017 - Corre senza sosta il “bio” nel vino italiano, con export e ettari vitati in crescita a doppia cifra: ma fra biologico, vegan e sostenibilità, qual è la “quadra” che può consentire alle aziende di coniugare mercato e ambiente?

Italia
Cresce il vino biologico italiano, nel Belpaese e nel mondo

Il mondo del vino italiano è ormai ben conscio delle potenzialità di mercato, e non solo, garantite dalla crescita impetuosa del segmento di mercato rappresentato dai vini biologici, vegan o comunque “sostenibili”. Un fenomeno che non è più ascrivibile a una moda passeggera, e che, a prescindere dalle opinioni personali, non può essere ignorato da nessun attore di tutti gli anelli della filiera produttiva vitivinicola, in Italia e non solo. Il rovescio della medaglia di questa nuova realtà, però, è che i consumatori non si accontentano più di autodichiarazioni o di definizioni più o meno fumose, ma si sono fatti più esigenti in quanto agli standard ai quali è necessario sottostare. Ecco, in sintesi, il messaggio che viene dagli enti certificatori Ccpb e Certiquality, che, oggi a Vinitaly, si sono occupati dello stato delle cose a valle del regolamento europeo del 2012 che ha dato, per la prima volta, un quadro normativo definito al settore a livello comunitario.
Non c’è dubbio, in prima battuta, sul fatto che il settore del vino biologico sia avviato su una strada di successo: negli ultimi due anni, secondo dati Wine Monitor - Nomisma, il pubblico dei consumatori della tipologia è raddoppiato, e gli ultimi dati del Report Mediobanca parlano di un aumento del 17% della produzione, e del 38% per quanto riguarda l’export, con la superficie vitata cresciuta del 13% nel 2016 rispetto al 2015 (e che oggi è la seconda più grande d’Europa per estensione, dietro alla sola Spagna). Ma il macrocosmo del vino sostenibile è ben più ampio di questo sottoinsieme, non solo per i prodotti coinvolti, ma anche perché coinvolge ogni fase della produzione e del consumo, dalla vigna alla tavola (o meglio, al cestino della spazzatura). Nelle parole di Fabrizio Riva, ad Ccpb, “i driver di crescita sono molteplici: dal codice appalti, che ha rivolto un’attenzione maggiore alle certificazioni, alla carbon footprint e alla sostenibilità sociale, alle politiche regionali, come le misure Ocm vino della Sicilia, passando per gli standard della grande distribuzione organizzata e infine per il ruolo dei consumatori”. Consumatori che, se convinti della bontà delle dichiarazioni di sostenibilità di un prodotto, sono disposti a un cambio di brand nel 50% dei casi, e a un cambio di punto vendita addirittura nel 40% di essi. E consumatori che, a livello europeo, sono disposti a spendere di più per un vino certificato come biologico in tutte e tre le fasce di prezzo comprese in 5, 10 e 15 euro a bottiglia - sebbene siano più sensibili a quello che percepiscono come un plus tanto meno sono esperti di vino. E particolarmente per quanto riguarda gli onnipresenti Millennials, che sono la coorte demografica in assoluto più attenta ai temi della sostenibilità ambientale e della produzione biologica nelle aziende vitivinicole. Aziende che, da parte loro, vedono sì come un costo le azioni necessarie a passare alla produzione biologica, o per aumentarne il tasso di ecosostenibilità, ma che sono ben consapevoli sia dei ritorni sull’investimento che delle molteplici esternalità positive che genererebbero, sia a livello reputazionale ed etico che di consumo di risorse finite. Dall’altra parte dello scaffale, infine, la gdo vede sì la qualità etica come più importante di quella ambientale, a livello reputazionale, ma per quanto riguarda il settore dell’alimentare - e quindi anche del vino - l’ecosostenibilità è il secondo fattore più importante (anche perché il settore è quello che, nel suo complesso, ha il maggior impatto ambientale nel nostro Paese, poco sopra quello edilizio).
Questo, quindi, lo stato attuale delle cose: ma a livello italiano, dato il fatto che l’era delle improvvisazioni e delle autodichiarazioni è senza dubbio concluso, cosa è necessario fare per consolidare la forte posizione nazionale nel settore? Secondo Lucrezia Lamastra, ricercatore presso l’Università Cattolica di Piacenza (e una delle creatrici del programma V.i.v.a. del Ministero dell’Ambiente), “c’è bisogno di standard chiari e certificabili. I numeri ci dicono che i consumatori sono interessati ai temi dell’ecosostenibile e del biologico, abbiamo visto che soprattutto i giovani sono molto interessati al tema. Il problema è cercare di farlo in un modo che soddisfi il bisogno del consumatore di avere la consapevolezza che dietro c’è una procedura certificata: V.i.v.a., nato nel 2011,è riuscito in questo senso a permettere di avere una cornice per misurare la sostenibilità di una produzione enologica, studiando quattro indicatori di ambiti diversi e rendendoli capaci di esaminare l’impatto in tutto il ciclo produttivo. Penso che sia necessario riconoscere l’importanza di quello che si sta facendo: convincere sempre più aziende che quello che fanno può essere fatto meglio, e verso una direzione che migliora non solo le proprie performance, ma anche la qualità della vita della propria comunità di riferimento. E il mondo in cui operano, e opereranno nel tempo”.

Focus - La viticoltura biologica in Europa per Wine Monitor Nomisma

Nel periodo 2004-2015, la viticoltura biologica è cresciuta del 295% in Europa, e del 280% nel mondo: emerge dall’analisi Wine Monitor Nomisma su dati Fibl, predisposta in occasione di Vinitaly 2017 per il convegno FederBio “Il successo del vino biologico in Europa e nel mondo”. La viticoltura biologica europea - con 293 mila ettari - ha un ruolo di primo piano, tanto che rappresenta l’88% della superficie vitata bio del mondo. Il primato dell’Europa si segnala anche attraverso l’incidenza delle superfici vitate bio sul totale - che nel 2015 ha superato il 7%, a fronte di una quota mondiale che non raggiunge il 5%. In tale scenario l’Italia (83 mila ettari di vite coltivati con metodo biologico) ha il primato mondiale per incidenza di superficie vitata biologica (11,9% della vite coltivata è bio), seguita dall’Austria, con l’11,7%, e la Spagna, con il 10,2%.
In Italia nel 2016 le vendite di vino bio hanno raggiunto 11,5 milioni di euro nella sola gdo, registrando un +51% rispetto al 2015 (a fronte di un tiepido +1% delle vendite di vino in generale). Nonostante questo balzo in avanti, i dati Nielsen mostrano però come l’incidenza del vino bio sul totale delle vendite di vino sia pari allo 0,7%. Secondo i dati Nielsen, il vino rosso è la tipologia di vino bio preferita dal consumatore italiano (57% delle vendite in gdo, +42% rispetto al 2015), tuttavia i vini bianchi crescono in maniera più significativa (+93%) assieme alle bollicine (+59%). Il prosecco è comunque il vino bio più venduto nella gdo nel 2016 (17% delle vendite di vino bio a valore, +143% - una crescita che è effetto sia di un forte interesse da parte del consumatore ma anche da una ampliamento delle referenze in assortimento). Seguono il Montepulciano d’Abruzzo (15% delle vendite 2016 a valore, in flessione del 7% rispetto al 2015), seguito dal Nero d’Avola (7%) e dal Chianti (7%). L’indagine Nomisma - Ice ha rilevato che il 25% della popolazione di età compresa tra 18 e 65 anni (circa 12 milioni di persone) ha avuto almeno un’occasione di consumo di vino biologico nell’ultimo anno. La percentuale è in continua crescita (nel 2015 era pari al 21%), grazie al forte apprezzamento da parte del consumatore, che riconosce al vino bio naturalità (per il 24% dei consumatori il principale elemento distintivo), salubrità (20%) ma anche qualità (17%). Per tutti questi motivi questi, è disposto a spendere di più per acquistare un vino bio (con un differenziale medio di prezzo in gdo è superiore al 20%). I canali preferiti per l’acquisto di vino bio rimangono iper e supermercati (33%) e gli acquisti diretti dal produttore o in cantina (23%), seguiti da enoteche (19%) e negozi alimentari specializzati in prodotti biologici (18%); la quota di consumatori che acquista vino bio soprattutto online raggiunge il 6%.
Inoltre, allargando lo sguardo a due mercati fondamentali per l’Italia del vino, bio e non, una survey Wine Monitor Nomisma in Germania e Uk ha rilevato che nel secondo le vendite di vino bio in gdo nel 2016 si attestano a 20,7 milioni di euro (esclusi sparkling e Champagne), con una quota di biologico dello 0,4% sul totale dei vini venduti - e con una crescita significativa nell’ultimo anno (+24%, a fronte di un lieve decremento del vino in generale, -0,1%). Ma un quarto delle bottiglie bio vendute è italiano e, solo nell’ultimo anno, nel Regno Unito l’incremento a valore è stato dirompente (+82% a valore e +72% a volume). La quota di consumatori che negli ultimi 12 mesi ha consumato almeno una volta un vino biologico è del 12% in Germania e del 9% in Uk (dove è molto più alta la quota di chi lo consuma fuori casa, il 34% rispetto al 18% della Germania). Per il consumatore inglese, la reputazione dei vini bio italiani è elevata: l’Italia è prima nella classifica dei Paesi che producono i vini biologici di migliore qualità, e lo pensa il 22% dei consumatori della tipologia in Uk, il 15% di chi oggi non beve vino biologico. Secondo i consumatori (42% in Uk e 40% in Germania), i vini bio “made in Italy” hanno qualità mediamente superiore rispetto ai vini bio di altri paesi, e l’84% di loro in entrambi i Paesi è interessato ad acquistare un vino biologico tricolore, se lo trovasse presso i ristoranti e i negozi abituali.
“Nel nostro Paese, da 52.000 ettari nel 2010, si è raggiunta quota 83.000 ettari nel 2015 sui 332.000 totali a livello mondiale, e si prevede di superare la soglia dei 90.000 per il 2016”, ha commentato Paolo Carnemolla, presidente Federbio: “In Sicilia gli ettari sono oltre 32.000, in Toscana sono 11.500, quasi 11.000 in Puglia, più di 4.000 nelle Marche e nel Veneto, e più di 3.500 in Abruzzo: non c’è una denominazione d’origine per la quale non ci sia un’offerta di vino biologico. L’intero comparto vitivinicolo”, ha concluso Carnemolla, “è chiamato ad approfondire il fenomeno della produzione biologica, che con la costante crescita dell’apprezzamento del consumatore italiano e globale, con i risultati qualitativi e il forte background ambientale costituisce un’alternativa sempre più rilevante in chiave di sostenibilità, reputazione del marchio, diversificazione e opportunità commerciali”.

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