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Il “ciclone” Brexit-Trump sul mondo del vino - Tra svalutazione della sterlina e vini del Commonwealth che avanzano nel Regno Unito, incubo protezionismo e nuovi dazi in Usa, ecco i possibili scenari del futuro che emergono da un’analisi WineNews

Italia
I dazi che Trump potrebbe introdurre in Usa e la Brexit tengono in apprensione il mondo del vino, Italia inclusa

Il Regno Unito, lo sappiamo, uscirà dal mercato unico europeo e dall’unione doganale. E negli Stati Uniti al nuovo inquilino della Casa Bianca, Donald Trump, non sembra mancare una decisa aggressività economica riassunta dalla slogan della campagna elettorale “American First”. Cosa implicheranno questi due fatti internazionali per il vino italiano? È questa una domanda registrata da WineNews, uno dei siti più cliccati dagli amanti del buon bere, che sarà al centro di Vinitaly, la rassegna internazionale di riferimento del settore (Verona, 9-12 aprile; www.vinitaly.com).

Appena giunta la notizia della decisione del popolo britannico, tuttavia, il made in Italy in bottiglia non sembrava molto preoccupato, forte del suo appeal e della difficoltà per la ristorazione britannica, come per le enoteche, di fare a meno dei vini italiani. Ma “Global Britain” è ormai la parola d’ordine di Theresa May nel suo piano per la Brexit. Ovvero una posizione che porterà il Regno Unito a un taglio netto con l’Ue e il passaggio ad accordi bilaterali di libero scambio. E il mondo del vino italiano quale atteggiamento dovrà adottare di fronte a questo nuovo scenario? Nel 2017 la parola d’ordine per i produttori enoici del Bel Paese sarà inevitabilmente prudenza, sulla scia dell’evoluzione delle trattative con l’Ue. Intanto, tutte le importazioni in Inghilterra sono diventate più costose per gli acquirenti e l’inflazione sta aumentando. Il prezzo del vino, mediamente, nel Regno Unito è in aumento ed è già più difficile il commercio con la grande gdo inglese, forte di margini di contrattazione favorevoli in rapporto alla media dimensionale delle imprese vitivinicole dello Stivale. Dietro l’angolo, probabilmente, anche un elemento positivo nei rapporti con la gdo di Sua Maestà: l’aumento dell’acquisto di vino sfuso da utilizzare per le private label, già molto diffuse nel mercato Uk.

Una prospettiva, quindi, tutta da decifrare per il vino italiano che già nel corso del 2017 dovrà fare i conti con la svalutazione che ha toccato il 15% della sterlina sull’euro, arrivata nei mesi appena successivi all’annuncio della Brexit. Dalla votazione di giugno, infatti, il cambio contro l’euro oscilla tra 0,835 e 0,90 senza scongiurare ulteriori fluttuazioni, visto che la sterlina è nettamente sottovalutata contro il dollaro sulla base dei tassi di cambio reali di lungo periodo e, in misura meno marcata, anche nei confronti dell’euro. Si tratta di una valuta che resta vulnerabile nel breve, ed è difficile definire quanto oltre possa andare la svalutazione. Alcuni economisti, sulla base dell’elasticità della domanda ai prezzi e del deficit della bilancia commerciale britannica, ipotizzano che un equilibrio si potrebbe trovare a un -30% dai valori pre-referendum, che significherebbe che avremmo già assistito a due terzi della correzione. Ma il rischio di un’elevata inflazione, causata proprio dalla debolezza della moneta, incombe con la conseguenza di un ulteriore ribasso della sterlina.

La Gran Bretagna non può mettere ancora in campo una produzione vinicola nazionale molto importante (il “global warming” potrebbe eventualmente cambiare la situazione, ma certo non potrebbe garantire un’autarchia enoica per il Regno di Sua Maestà), ma è un consumatore chiave di vino. La Gran Bretagna, infatti, occupa la seconda posizione dietro gli Stati Uniti (e prima della Cina) in termini di valore delle importazioni di vino in bottiglia, ed è anche dietro gli Stati Uniti nelle importazioni di vino spumante (ma nel 2016, mentre è cresciuto il valore, del 2,3%, a 763.807 milioni di euro, a calare sono stati i volumi, con un importante -7,4%, a 2,9 milioni di ettolitri; dati Osservatorio del Vino). Al secondo posto (dopo la Germania) in quelle di vino sfuso, sempre in termini di valore. Questo rende il mercato del Regno Unito il “target” fondamentale per molte aziende internazionali di vino, ancora più importante del mercato degli Stati Uniti che è regolato in modo complesso e frammentato. Soprattutto i produttori di vino più piccoli possono ottenere l’accesso a tutto il mercato del Regno Unito al costo dell’ingresso in un paio di Stati americani. Poi, naturalmente, si deve vendere il vino, che è sempre la parte più difficile.

Qualsiasi cambiamento significativo delle importazioni enoiche nel Regno Unito ha quindi un impatto dirompente sul mercato globale del vino. Facile ipotizzare, quindi, che i principali esportatori di vino nel Regno Unito, Francia, Italia, Spagna, Cile, Nuova Zelanda, potrebbero essere quelli più colpiti dalle conseguenze della Brexit. Conseguentemente, un calo delle vendite a Londra significherà concentrare una maggiore attenzione sui mercati di Stati Uniti, Canada e Cina, per esempio.
Facile prevedere poi che i prodotti extraeuropei potrebbero essere avvantaggiati dalle barriere che si creeranno al vino europeo nel Regno Unito. Se il Governo di Sua Maestà concederà trattamenti doganali particolari per i Paesi del Commonwealth. L’Australia enoica, un po’ in difficoltà nel recente passato, potrebbe anche spingere in questa direzione, e certo Nuova Zelanda e Sudafrica sarebbero della partita.

E gli Usa? Già anche il mercato americano, che rappresenta per il vino italiano il primo mercato assoluto (l’Italia è il primo fornitore di vino degli Usa, con una quota di mercato complessiva attorno al 30%, un export che nel 2016 ha superato quota 1,62 miliardi di euro, mettendo a segno un +6,1% sul 2015; elaborazione Vinitaly su dati Ismea), potrebbe riservare alcune sorprese, sostenute dal nuovo inquilino della Casa Bianca. Per adesso, pare essere sbocciato un nuovo e più solidale rapporto tra Donald Trump e Theresa May. Di più, a soccorso della Gran Bretagna fuori dal mercato Ue, potrebbe arrivare un accordo commerciale con la nuova amministrazione Trump, peraltro in disaccordo con la politica protezionistica che Trump stesso ha promesso. Sta di fatto però che, fintanto che non ci sarà l’uscita formale dalla Ue, l’accordo non potrà essere negoziato. Ed è proprio la possibile deriva protezionistica di Trump a preoccupare anche il vino del Bel Paese. Non solo perché anche lui è produttore (con Trump Winery, 500 ettari di vigneto e un nutrito portafoglio prodotti), ma anche perché non è difficile ipotizzare che, se ci sarà da dare una mano ai vini a stelle strisce, certamente non si tirerà indietro.

Sebbene destino un po’ di preoccupazione gli iniziali segnali di chiusura di Trump, l’interesse delle rispettive relazioni commerciali dovrebbe prevalere. Tuttavia, come sta accadendo in Gran Bretagna, i produttori italiani non stanno avendo particolari ripercussioni sulle vendite attuali di vino, perché il vero problema è che gli importatori non pianificano acquisti di lungo periodo. Un problema che potrebbe esporre le nostre imprese anche degli Stati Uniti.

Il rischio più grande resta quello di qualche “fiammata” protezionista, con eventuali aumenti dei dazi su import di vino e prodotti alimentari. Il sistema distributivo statunitense per come è strutturato, “3-tier system” (importatore, distributore e dettagliante), normalmente moltiplica per quattro il prezzo di un vino dalle dogane al retail e se ci aggiungiamo anche un dazio all’import più elevato di quello che già oggi esiste, 4% su sparkling e sfusi, 1% su fermi imbottigliati, l’Italia in bottiglia diventa meno competitiva, in primis rispetto ai vini californiani oltre a quelli che già oggi presentano prezzi medi sensibilmente inferiori, come gli argentini. D’altra parte, la non ratifica del Tpp (l’accordo tra Usa e le economie dell’area del pacifico esclusa la Cina) per il vino italiano non sarebbe certo un guaio, perché questo accordo coinvolge tra gli altri Australia e Nuova Zelanda, due tra i principali competitor dei vini tricolore sul mercato statunitense.

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