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Mentre il Regno Unito consegna la lettera di addio all’Europa, aumentano le preoccupazioni dell’agroalimentare italiano e del settore vino europeo per la Brexit. Il tema anche a Vinitaly dove, intanto, però, aumentano i buyer Uk ...

Italia
Aumentano le preoccupazioni dell’agroalimentare italiano e del settore vino europeo per la Brexit

Oggi è iniziato il vero conto alla rovescia della Brexit, con la consegna della lettera di addio, dopo quasi 45 anni di convivenza nell’Unione Europea, al Presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk. E, con l’occasione, si sono riaccesi i dubbi e le preoccupazioni sulle implicazioni che la Brexit potrebbe avere sui rapporti commerciali fra l’Unione Europea e la Gran Bretagna: la svalutazione della sterlina, che renderebbe più oneroso l’acquisto di prodotti europei nel mercato inglese, e una legislazione sfavorevole decisa al di fuori dei compromessi europei (come le etichette a semaforo imposti a tutti i supermercati anglosassoni), sono tra i principali imputati.
Efow, la European Federation of Origin Wines (www.efow.eu/en/)  che riunisce i produttori europei di vini a denominazione d’origine, ha emesso un comunicato in cui elenca i rischi che potrebbe implicare la Brexit: l’incertezza sull’accesso al mercato del Regno Unito dovuta anche all’eventuale applicazione di tasse e dazi, la svalutazione della sterlina, la diminuzione di tutele per le denominazioni protette (come Dop, Doc e Igp) e l’aumento della concorrenza dai produttori del “nuovo mondo” del vino.
Il Regno Unito, produce poco (36.000 ettolitri, nel 2016) ma consuma molto vino (12,9 milioni di ettolitri). Il consumo di vino è trainato principalmente dalle importazioni, europee al 55%, seconda la Wine & Spirit Trade Association (www.wsta.co.uk): nel 2015, la Gran Bretagna era il sesto mercato del mondo e oggi importa soprattutto da Francia - principale paese importato per volume (988milioni di sterline), Italia - principale paese consumato per volume (41% del consumo di vino importato dall’Ue), Australia - principale paese importato per volume (350 milioni di bottiglie), Spagna e Nuova Zelanda.
La Gran Bretagna svolge, inoltre, un ruolo di piattaforma globale per il commercio di vino, soprattutto per i vini europei a Indicazione Geografica: aste, distribuzione, magazzinaggio ma anche intermediazione per le spedizioni dei vini europei nei paesi terzi, specialmente verso l’Asia. Nei fatti, il Regno Unito è il quinto importatore di vino in Europa e l’ottavo in termini di volume. In questo quadro, “la Brexit apre un periodo di instabilità per i vini provenienti da altri Stati membri dell’Ue”, si legge nella nota sul sito della Efow, in particolare sul futuro assetto delle relazioni commerciali tra Londra e il resto dell’Ue e la tutela delle denominazioni, che senza la protezione del quadro normativo europeo potrebbero essere soggette a contraffazione.
Una possibile soluzione arriva dal direttore di Berkmann Wine Cellars, Alex Canneti, che sarà presente ad un convegno, organizzato a Vinitaly, su “Vino e Gdo”, il 10 aprile: “la Brexit è una sfida per le vendite dei vini europei - commenta Canneti - poiché Australia, Sud Africa e Nuova Zelanda saranno i primi Paesi al mondo a istituire trattati bilaterali con il Governo inglese. L’unica soluzione a questa minaccia è consentire al Regno Unito un periodo di 10 anni per condividere le stesse condizioni commerciali e gli stessi oneri doganali dell’Unione Europea, oltre a negoziare un trattato di libero scambio. Ma certamente i formaggi e il vino sono più esposti ai rischi rispetto ad altre forniture come le auto, le medicine e i prodotti finanziari, e quindi più oggetto di provocazioni politiche, come quella del segretario di Stato per gli Affari Esteri, Boris Johnson, che ha minacciato di alzare i dazi sul Prosecco”.
Ma non ci sono solo nubi all’orizzonte. Proprio per l’avvio ufficiale del processo di uscita di Londra dall’Unione Europea, il dg Veronafiere, Giovanni Mantovani commenta: “seguiamo con attenzione le vicende della Brexit e il suo impatto sul commercio, in particolare del nostro vino. A oggi però sembra stia sortendo l’effetto contrario: a Vinitaly infatti si sono già stati registrati 400 nuovi buyer del Regno Unito mai venuti a Vinitaly, che si aggiungono agli oltre 500 presenti ogni anno. Ovviamente è presto per prevedere cosa sarà del nostro vino nel secondo Paese importatore al mondo, ma ritengo che i freni commerciali non convengano a nessuno. Il Regno Unito esporta verso l’Ue l’equivalente annuo di 2,1 miliardi di euro in liquori e distillati e importa dal Continente 1 miliardo di bottiglie di vino per 2,6 miliardi di euro. Un business, quello del vino Ue, che per la Wine & Spirit Trade Association (Wsta) britannica vale nel Regno Unito il 55% di un settore da quasi 20 miliardi complessivi di euro. Confidiamo - ha concluso Mantovani - nella negoziazione da parte della filiera europea del vino, un prodotto che ha visto incrementare notevolmente i suoi consumi a scapito della birra”.
Ma non c’è solo il vino sotto i riflettori. Anche Coldiretti esterna le sue preoccupazioni, specificatamente al mercato enogastronomico italiano, nonostante i dati più che positivi riguardo l’export di Prosecco in Gran Bretagna, a cui arrivano 1 bottiglia su 3, nonostante la svalutazione della sterlina (nel 2016, il Regno Unito si è rivelato il primo mercato mondiale di sbocco dello spumante italiano con le bottiglie esportate, che hanno fatto registrare un aumento record del 33% per un valore di 366 milioni di euro mai registrato prima). Una dimostrazione dell’apprezzamento conquistato dalle bollicine italiane che le rendono difficilmente sostituibili anche per l’ottimo rapporto prezzo qualità.

La Gran Bretagna è il quarto sbocco estero dei prodotti agroalimentari nazionali Made in Italy con un valore di ben 3,2 miliardi nel 2016, rimasto sostanzialmente stabile (+0,7%).
La voce più importante è rappresentata proprio dal vino e dagli spumanti seguiti dalla pasta, dall’ortofrutta, dai formaggi oltre un terzo dei quali è rappresentato da Parmigiano Reggiano e Grana Padano ma va forte anche la mozzarella di bufala campana. A preoccupare della Brexit non è solo la svalutazione della sterlina che rende più oneroso l’acquisto di prodotti Made in Italy, ma anche il rischio che con l’uscita dall’Unione Europea si affermi in Gran Bretagna una legislazione sfavorevole.
A pagare un conto salato sono state per ora le esportazioni di olio di oliva made in Italy che con l’esito del referendum sono crollate con una riduzione record del 9%, dopo essere aumentate del 6% nella prima metà del 2016, secondo l’analisi della Coldiretti. A pesare sugli acquisti di olio di oliva italiano è stato infatti - continua la Coldiretti - anche il sistema di etichettatura a semaforo che la Gran Bretagna ha deciso indipendentemente di far adottare al 98% dei supermercati inglesi. L’obiettivo del semaforo era quello di diminuire il consumo di grassi, sali e zuccheri ma non basandosi sulle quantità effettivamente consumate ma solo sulla generica presenza di un certo tipo di sostanze, finisce per escludere paradossalmente dalla dieta alimenti come l’olio extravergine d’oliva e per promuovere, al contrario, le bevande gassate senza zucchero, fuorviando i consumatori rispetto al reale valore nutrizionale.

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