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Millennials, è arrivato il momento di parlarne sul serio. Dal seminario “Millennial wine drinkers: myths and realities” di Wine Intelligence miti da sfatare e realtà da rivelare per capire davvero chi sono i consumatori del futuro (anche del vino)

Italia
I Millennials tra miti e realtà visti da Wine Intelligence

Accolti nel mondo dei consumi enoici alla stregua di salvatori, celebrati come generazione in grado di rivoluzionare il panorama dei consumi, i Millennials sono ormai sulla bocca di tutti. Ma quanto ne sappiamo realmente, quanto il mito supera la realtà, e cosa li accomuna alle generazioni che li hanno preceduti? La risposta, o almeno una parte della risposta, arriva da seminario “Millennial wine drinkers: myths and realities”, che Wine Intelligence ha presentato oggi a ProWein (www.prowein.com). “È arrivato il momento di parlare davvero di Millennials - esordisce Richard Halstead, Coo di Wine Intelligence - una categoria generalmente abusata nel mondo del marketing, e non solo del vino ovviamente”. Prima di tutto, però, occorre mettere un punto fermo che metta ordine tra le diverse generazioni: i Millennials sono i nati tra il 1981 ed il 1995 (21-35 anni), la Generazione X è quella dei nati tra il 1961 ed il 1980 (36-55 anni) ed i Boomers sono invece i nati tra il 1945 ed il 1960 (56-71 anni).
“Ci sono almeno tre grandi preconcetti - spiega Halstead - che accompagnano i Millennials: si pensa che siano una generazione fondamentalmente differente da qualsiasi altra che li abbia preceduti, che possono essere definiti come un segmento preciso per una proposta di marketing e che siano, essenzialmente, la generazione che rivoluzionerà il mondo del vino. Ma è davvero così? Troviamo conferma di questo nella realtà? Innanzitutto, i Millennials spesso non sono ciò che crediamo, né ciò che essi stesso raccontano di essere. Si pensa ad esempio che la tv sia guardata essenzialmente dai baby boomers, ma non è così. Un americano guarda in media 5 ore di tv al giorno, i Millennials ne guardano 4 ore e 8 minuti, dhe crescono a 4 ore e 40 minuti se mettono su famiglia: poco meno della media americana. Non hanno abitudini e stili di vita così diversi dal resto della popolazione, e neanche una mentalità così distante: i Millennials - continua il Coo di Wine Intelligence - hanno essenzialmente la stessa mentalità della Generazione X, e differisce di pochissimo dalla media della popolazione, dal rapporto con l’innovazione a quello con i circoli sociali. Non è un segreto che i Millennials, in realtà, siano una generazione molto più simile a quelle precedenti di quanto si possa immaginare”.

Una tesi che poggia su decine di studi, dai risultati a volte sorprendenti. A differenza di quanto si potrebbe immaginare, ad esempio, quando si parla di matrimoni gay e legalizzazione del consumo di marijuana è la Generazione X la più favorevole, mentre i Millennials sono i più propensi a farsi un tatuaggio, ma anche ad ascoltare le news in radio (al pari della Generazione X, che è anche quella che spende con maggior leggerezza i propri soldi. Di certo, però, i Millennials sono i più inclini ad approcciare un brand che non conoscono, e quindi si rivelano anche i più curiosi rispetto a vini sempre nuovi. Ma di pochissimo, e non ovunque: in Canada è la Generazione X la più aperta, in Germania ed Usa le due si equivalgono. “Un altro mito da sfatare è quello che vuole i Millennials come particolarmente attenti al mondo del vino: non è vero. I consumatori - spiega Richard Halstead - conoscono in media 14 brand e 10 territori del vino, i Millennials appena 12 e 7,5 in media, almeno in Usa. In Germania la situazione è leggermente diversa: i brand conosciuti dai consumatori e dai Millennials sono mediamente 9, mentre i territori conosciuti sono, rispettivamente, 19 e 14.: i Millennials ne sanno meno di quanto si immagini”.

E che tra Millennials ed altre generazioni non ci siano poi enormi differenze lo racconta uno studio australiano incentrato sulle etichette: i giovani wine lovers sono più attratti dalle etichette di prestigio, eleganti, importanti, lo stesso risultato ottenuto sottoponendo le identiche etichette ai Boomers. “Pensiamo a prodotti per i giovani, che siano cool, attraenti, ma evidentemente non conosciamo la categoria. Tutto ciò che si allontana troppo da ciò a cui sono abituati - riprende il Coo di Wine Intelligence - non li attrae, fa loro storcere il naso. Il fatto è che la segmentazione per età, nel marketing, è eccessivamente cruda, persino superficiale e poco utile: c’è una devianza tra segmenti diversi di età del 6-8%, non una grande differenza. Segmentando per comportamenti ed abitudini, invece, la devianza cresce al 16%-19%, questo vuol dire che per individuare un segmento di mercato non basta certo raggruppare il consumatore per età, semmai per passioni e visioni”.

Smentito così il primo “mito”, ed ampiamente ridimensionato il secondo, non resta da capire altro se non la reale possibilità, da parte dei Millennials di rivoluzionare il mondo del vino. Di certo, per ora non è così, specie perché di tutto il vino bevuto dai Millennials, solo il 48% è pagato direttamente dai Millennails, un dato che limita molto la portata dei consumi giovanili. Ci sono però degli aspetti che li accomunano, di cui chiunque produce vino deve imparare a tenere conto: sono naturalmente inclini ad assaggiare cose nuove, sono clienti potenziali per i prossimi 30-40 anni, hanno la loro testa e la usano, senza farsi influenzare troppo, hanno opinioni ed approccio assai diversi, e la prima differenza è tra chi è dentro il mondo del vino e chi no, nel primo caso spendono in media (sul canale off premise) tra i 15 ed i 25 dollari a bottiglia.

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