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La Cina è il secondo Paese vitato al mondo e, se il presente è del Cabernet Sauvignon, il futuro ha un nome diverso: quello di una varietà dimenticata in Occidente, il Marselan, come racconta, a ProWein, il wine consultant Li Demei

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Li Demei, il più famoso degli enologi di Cina

Nel 2015 la Cina è diventato il secondo vigneto del mondo, a quota 820.000 ettari, dietro la Spagna, saldamente al primo posto con oltre un milione di ettari vitati, per una produzione annua di 11 milioni di ettolitri. Un potenziale enorme, ancora tutto da scoprire e, in un certo senso, da misurare, che deve le sue fortune, fin qui limitate al mercato interno, ai territori maggiormente vocati, nel Nord del Paese. Paese che, è bene ricordarlo, si estende su un territorio vasto più del doppio dell’Europa, per questo non possiamo paragonare la Cina con un singolo Paese europeo per capirla davvero. Anche la “struttura” del vigneto cinese è peculiare e difficile da confrontare quella dei produttori storici: a grandi linee, si può ridurre ad una sorta di gerarchia, in cima alla quale ci sono le Zone, suddivisibili in Regioni, di cui si possono individuare sotto Regioni e quindi Vigneti. In tutto, si possono distinguere tra le 30 e le 40 Regioni, decisamente diverse sotto ogni punto diverso, dal Nord al Sud e da Est ad Ovest.

In questa enorme complessità, il futuro della Cina enoica ha un nome ben preciso, quello di un vitigno di origine francese, il Marselan, molto poco conosciuto in Occidente, e finito per lungo tempo nel dimenticatoio dell’ampeleografia mondiale, pronto a conquistare un ruolo da protagonista in un panorama dominato dalla produzione rossista, in cui, a farla da padrone, è senza ombra di dubbio il Cabernet Sauvignon. Il Marselan, “una varietà figlia dell’incrocio di due vitigni, Cabernet Sauvignon e Grenache”, come ricorda dall’incontro “Marselan: il futuro del vino cinese”, di scena alla ProWein di Dusseldorf (fino al 21 marzo, ww.prowein.com), Li Demei, docente di enologia a Pechino e tra i massimi esperti di vino del Celeste Impero, oltre che firma di punta dell’edizione cinese del magazine britannico “Decanter”.

“Fin quando l’obiettivo, per il mondo del vino, come è stato fino a qualche decennio fa, era quello di produrre grandi quantità, così il Marselan, con i suoi piccoli acini, non era adatto allo scopo, e fu messo da parte. È stato riscoperto negli anni 90 del Novecento - ricorda Demei - per la sua incredibile capacità di resistenza alle malattie della vite, e grazie al lavoro dell’Inra (l’istituto della ricerca agronomica francese, ndr) si è arrivati alla creazione di un clone specifico, il “980”, entrato nel registro ufficiale delle varietà ammesse al commercio nel 1990. Nel 2001, così, arrivano le prime barbatelle in Cina, su un piccolo appezzamento, di 3 ettari, ma già nel 2003 è arrivato il momento della prima vendemmia. I primi a puntarci sono stati quelli di Great Wall, ma oggi - aggiunge l’enologo cinese - si trova anche tra i vigneti di Lafite e Changyu, Grace Vineyard, diventando il vitigno perfetto per un Paese intero, per una superficie complessiva di 400 ettari. Una produzione - conclude Demei - ancora limitata, ma pronta a conquistare il Paese, forte di prezzi medi decisamente importanti (15 euro a bottiglia, ndr)”.

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